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 Nr.11 del 19/05/2008
 
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Una intuizione geniale
Insomma, è inutile insistere: le razze non ci sono. Non esistono proprio. Parola di genetista. E se lo dice lui c'è solo da credergli. Perché è uno dei più famosi genetisti al mondo: Luigi Luca Cavalli-Sforza


   Il professor Cavalli-Sforza


Professore di genetica all'Università di Stanford. Da mezzo secolo egli opera in una branca del sapere che si potrebbe definire «archeologia o antropologia genetica». Disciplina che cerca di ricostruire la storia della umanità e delle sue migrazioni. Lo fa partendo da un’analisi della variabilità genetica delle popolazioni.
La scoperta delle leggi dell'ereditarietà da parte del monaco austriaco Gregor Mendel, nel 1865, è seguita da una vera e propria esplosione di ricerche in genetica. Non subito, però. L'opera del religioso naturalista è stata praticamente, e incomprensibilmente, ignorata dai biologi. Fino al 1900. Cioè per 34 anni. Anche questo è uno dei tanti enigmi della scienza. Che cosa aveva scoperto Mendel? In breve, aveva scoperto che i determinanti genetici dei caratteri che provenivano dai due genitori non si fondevano nei discendenti. Una teoria che contraddiceva, in modo radicale, le concezioni allora dominanti sulla ereditarietà nelle quali si diceva, al contrario, che questi determinanti si fondevano. L'opera di Mendel era prematura rispetto alle conoscenze pratiche e teoriche della sua epoca. Ma, soprattutto, intaccava i limiti culturali del tempo.

Nei primi anni del Novecento, in Francia e in Gran Bretagna, ricercatori hanno dimostrato che queste leggi sono valide nel regno animale. Perché, sino ad allora le scoperte sono state enunciate come valide, sia da Mendel che da altri scienziati, solo relativamente agli animali. Allo stesso tempo i biologi, uno americano e uno tedesco, osservano che i cromosomi si distribuiscono, al momento della riproduzione, esattamente come i geni. Ne deducono così che i primi sono il supporto fisico dei secondi. Siamo nella seconda metà del XIX secolo. È una ipotesi, per la conferma della quale si dovrà attendere sino al 1910, prima che venga accettata. Un anno prima un biologo danese ha coniato i termini di gene e di genotipo. Nello stesso anno un biologo americano dimostra che i caratteri a variazione continua (come la statura, ad esempio), sono controllati contemporaneamente da molti geni. Nel frattempo un matematico tedesco e un biologo britannico hanno stabilito la principale legge della genetica delle popolazioni (principio di Hardy-Weimberg).


Per decenni Cavalli-Sforza si è dedicato allo studio dei geni umani. Non lo ha fatto per prevenire malattie del corpo. Oppure per guarirne di già note. L'ha fatto invece per tracciare un percorso dell'evoluzione della specie umana. Un’intuizione geniale. Lo studio delle migrazioni ha lo scopo, e la finalità, di dimostrare l'esistenza di un unico ceppo umano. In questo modo, si sfata anche l'idea della esistenza di razze inferiori o superiori. La genetica geografica di Cavalli-Sforza si fonda sull’idea che i geni dell'uomo contengono ancora una traccia della storia dell'umanità. Alla quale l'86enne scienziato – che si è formato fra Torino, Pavia e Milano per poi emigrare una prima volta a Cambridge, in Inghilterra, e poi definitivamente a Stanford, negli Stati Uniti –, è riuscito a dare una risposta. Precisa e puntuale. In maniera genetica. Ad una cosa che gli antropologi avevano abbozzato, basandosi sui fossili. Questa.

Tutti noi siamo costituiti di cellule. In esse vi sono i mitocondri. Che sono organi addetti alla respirazione cellulare. Sono costituiti da sacchette che contengono enzimi respiratorii. I mitocondri si trasmettono soltanto per via materna. Procedendo avanti nel tempo, i mitocondri delle donne senza figlie si estinguono. Se invece risaliamo indietro nel tempo, si arriva sempre a trovare l'ultimo antenato comune, cioè una donna da cui discendevano tutti i mitocondri che ci sono attualmente: è l'Eva africana. All'epoca c'erano molte altre donne, ma i loro mitocondri si sono estinti nel corso del tempo. Naturalmente c'era anche un Adamo. Che si è determinato in maniera analoga, guardando al cromosoma Y, che è trasmesso dal padre ai figli maschi. C'è un Adamo ma non è contemporaneo di Eva. Perché questa ha fra i 200 mila e i 130 mila anni. Adamo sui 100 mila. E perché mai? Il motivo è che gli uomini hanno più figli in quanto sono più facilmente poligami delle donne. Si sposano più tardi e hanno meno generazioni. Ma muoiono in percentuale maggiore delle donne: sono il 5% alla nascita. A 20 anni sono alla pari con le femmine. Fra i centenari solo il 20 per cento è maschio.

Adamo compare dunque in Africa e arriva in Medioriente. Cento mila anni fa. È l'uomo moderno. Che poi scompare di lì 80 mila anni fa. Perché arriva il Neanderthal che stava in Europa. Ma era troppo freddo ed è emigrato. Poi, 40 mila anni fa, il Neanderthal scompare dovunque e, circa 25 mila anni fa, si estingue. La causa? È probabile la concorrenza con l'uomo moderno. Cioè noi. Sul Dna del Neanderthal sono stati fatti degli studi. Si sono presi tre esemplari di regioni diverse e tutti sono risultati dissimili dall'uomo moderno. Tuttavia, sino a 100 mila anni fa, il Neanderthal e il Sapiens usavano gli stessi strumenti. Poi 50 mila anni fa cominciarono ad emigrare dall'Africa. Invasero il resto del mondo. E i Sapiens avevano strumenti non solo diversi, ma anche migliori. Uno di questi era il linguaggio. Insomma, dice Cavalli-Sforza che non solo non esistono le razze umane, ma siamo tutti africani, perché discendiamo tutti da una stessa madre africana. È in Africa, infatti, l'inizio della nostra specie. Che, in principio, si è riprodotta lentamente. Per il semplice motivo che il cibo era scarso: infatti eravamo cacciatori e raccoglitori. Non sappiamo però quanti fossimo con esattezza, forse fra i 100 mila e il milione. Sappiamo invece che intorno a 10 mila anni fa, eravamo circa 5 milioni. Fu a quel tempo che cominciarono l'agricoltura e l'allevamento, là dove c'erano consistenti concentrazioni di umani. Era quindi necessario produrre il cibo per sostentarli.

Ne consegue che avendo l'umanità una origine comune e africana, le razze non esistono. Di più, pensarle come tali, è ridicolo. Se e laddove vi sono le differenze fra le popolazioni, esse sono sempre all'interno di esse. Ad esempio, il colore della pelle varia con la latitudine: all'Equatore sono neri poi, mano a mano che ci si allontana, si vanno via via schiarendo. Oppure le misure del corpo. Esse dipendono dal clima: al freddo la gente è bassa e tonda. Il motivo è chiaro: il rapporto tra volume e superficie è più vantaggioso e si perde meno calore. Al caldo, invece, gli arti sono lunghi e sottili. Al freddo gli arti sono piccoli per non perdere troppo calore, mentre al caldo sono lunghi per disperdere meglio il calore. Le braccia degli scimpanzé, ad esempio, arrivano sino a terra.

La natura genera molte mutazioni. Che sono casuali. Solo una piccola parte di loro produce vantaggi evolutivi. Mentre la maggior parte non serve a nulla. Cioè rimane "sterile". E sono proprio queste che, essendo selettivamente neutre, permettono di studiare la storia delle popolazioni. Con i metodi statistici propri dei fenomeni casuali. Insomma, discendiamo dalla stessa donna: un'africana. Il colore della pelle è determinato dall'ambiente. La storia della evoluzione non segue schemi fissi. Dunque, noi siamo umani per caso.

Ermanno Antonio Uccelli


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