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Si tratta di un’attività pseudo-culturale che ha il suo portavoce accreditato nel sig. Giampaolo Pansa che imperversa sul mercato, pubblicando a getto continuo da testi di saggistica “quasi storica” a romanzi che hanno invariabilmente per tema le presunte “nefandezze” della Resistenza e del breve periodo post-resistenziale, prima che la cappa del centrismo riportasse ordine e disciplina. Cosa dire? Verrebbe, se l’ammiccante prosa del nostro non avesse fatto sì che i suoi scritti assumessero una valenza di testi di riferimento per un’opinione pubblica troppo disattenta, da citare il Poeta e semplicemente sussurrare “non ti curar di loro ma guarda e passa…”.
Ma le cose non stanno così! Rimane il fatto che il problema è storicamente significativo e non è possibile lasciare che tramite una profonda e continua opera di denigrazione quell’esemplare esperienza, pur con tutte le contraddizioni che sono insite in ogni momento dell’avventura umana, venga stravolta per un disegno manipolatorio che appare fin difficile da comprendere nelle sue componenti psicologiche profonde.
È ben noto che il sig. Pansa è stato giornalista di punta della pubblicistica laica e, se ci si concede il termine, perfino di “sinistra” per alcuni decenni svolgendo un’inesausta attività di fustigatore del Regime (ovviamente quello democristiano, dal titolo di un suo volume del tempo passato).
Crediamo che la via d’uscita migliore sia nello studio e nell’approfondimento della conoscenza di questi argomenti senza paura di mostrare errori e drammi di un’esperienza tragica e insieme carica di un profondo valore etico come fu quella della Resistenza. Tale impegno ci pare debba essere rivolto, quasi come un debito di verità, soprattutto ai giovani che dovrebbero essere sufficientemente estranei agli aspetti più deteriori degli scontri dogmatico-ideologici che segnarono la storia di quegli anni e perciò capaci di leggere quelle pagine della nostra vita nazionale con un occhio più disincantato e capace di distinguere il grano dal loglio.
È in questa prospettiva che sottoponiamo all’attenzione dei gentili lettori alcuni libri che, senza pretese di essere opere che modificano la prospettiva di ricerca con eclatanti novità, offrono utili materiali per una meditazione sulla Resistenza partendo dalla realtà bresciana.
Il primo volume è l’opera d Rolando Anni, Dizionario della Resistenza bresciana, Morcelliana (2 tomi, 2008, pag. 533. L’opera è stata venduta in edicola, ma è facilmente rintracciabile). Si tratta di uno strumento agile quanto ambizioso che si iscrive nel lavoro svolto dall’Anni, che aveva già prodotto una pregevole e sintetica Storia della Resistenza bresciana 1943-1945 (Morcelliana, 2005, pag. 185). Tramite qualche centinaio di lemmi, semplici e chiari, l’autore offre un’aggiornata prospettiva di lettura della variegata esperienza resistenziale bresciana, curando di mettere in luce tutti gli aspetti della vicenda partigiana e cercando di dare una testimonianza anche della realtà della parte repubblichina. In questo modo il lettore può ricostruire un quadro della realtà del bresciano fra il 1943 e il 1945 ed avvalendosi della ricca bibliografia compiere anche tutti quegli approfondimenti che possono permettere di verificare la veridicità di quanto affermato e guidare verso nuove scoperte.
L’altra opera che segnaliamo è invece un agile libretto di Marino Ruzzenenti, Bruno, ragazzo partigiano. Giuseppe Gheda 1925-1945 ( Studi Bresciani, Quaderni della Fondazione Micheletti, 17, 2008, pag. 95). La breve vicenda del Gheda era nelle sue grandi linee ben nota. Entrato giovanissimo nella resistenza venne processato e condannato ad una lunga pena detentiva. In carcere conobbe alcuni dirigenti del P.C.d’I. ed evaso entrò a far parte della 122^ Brigata Garibaldi operante in Val Trompia. Diventato vicecomandante della brigata combatte nella battaglia del Sonclino, morendo da “eroe”. Era il 19 aprile 1945, appena prima della liberazione. Fin qui ciò che era noto. Ruzzenenti tramite lo studio di qualche nuovo materiale ricostruisce la breve parabola umana del Gheda soffermandosi sulla formazione giovanile nella “scuola” della OM, per poi ripercorrere le tappe della avventura politica del giovane partigiano. Basandosi su qualche semplice documento, testimonianza di una formazione ingenua quanto genuina, l’autore cerca di penetrare nell’animo del partigiano e farci capire i motivi profondi della sua scelta che lo porta giovanissimo, per un vero e proprio slancio di volontà di riscatto civile, a divenire combattente per la libertà. Abbiamo parlato anche di un “eroe”. Infatti Gheda ottenne, dopo la conclusione del conflitto, un alto riconoscimento, una medaglia d’argento al valor militare alla memoria. Questo ci appare il versante più problematico di un lavoro nel complesso lodevole, il rischio di cadere in una specie di agiografia del militante di base di quella specifica fase storica. L’autore ricorda il suo “incontro” con Gheda come un momento decisivo della sua formazione intellettuale nell’ormai lontano sessantotto. Il dubbio che ci rimane, alla conclusione della lettura, è se sia possibile assimilare il partigiano Gheda con l’operaio Gasparazzo degli anni settanta e se si vuole con l’anonimo operaio di oggi. Anche da questo punto di vista è forse necessario modificare la nostra prospettiva e liberarci da una concezione della storia che corre il rischio di diventare consolatoria, invece che incidere nelle contraddizioni del nostro essere qui e ora.
Giulio Toffoli |