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lunedì 25 novembre 2024 | 04:44
 Nr.1 del 29/01/2007
 
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2007 – THE SHOW MUST GO ON… …LO SPETTACOLO DEVE CONTINUARE



  


Siamo entrati di prepotenza nel 2007, scivolando sulla corda saponata che è servita ad impiccare Saddam Hussein, il sanguinario. Troppi segreti se ne sono andati con lui. I casi di coscienza non si lavano nel sangue, sia pure quello di un dittatore. …ma sarebbe chiedere troppo.
L’autostima si disistima. La paura dell’altro avanza, acquistiamo cani sempre più grossi, più feroci, più addestrati alla nostra difesa. Non siamo usciti dal Circo del 2006. Non abbiamo abbandonato il “carrozzone”. Semplicemente abbiamo attraversato il tunnel di collegamento, è cambiato il luogo temporale, ma i personaggi sono rimasti gli stessi.
C’è la “Donna Cannone” appena tornata dall’Iraq. Indossa un completo di sangue raggrumato, un velo di sabbia copre il suo viso, gli occhi sono ciechi, offuscati dall’orrore di cui è stata partecipe.
È la prima, della lunga fila dei protagonisti di questo circo mediatico e irrazionale che sarà il nuovo anno. Suo promesso sposo è l’uomo proiettile. Vola come un cherubino con un enorme mazzo di cluster-bomb, che lascia cadere con nonchalance, ora qui, ora là, come America comanda. Alla loro sinistra, il custode degli specchi deformanti, consulente occulto di Con-dolcezza Rice, la quale ama perdersi nei labirinti di luce. Ora alta, ora grassa, ora magra, ora nana, ora bianca, ora povera, ora ricca, ora giovane, ora vecchia. Mai madre. I duri non hanno tempo per quisquiglie del genere. Unica sua debolezza, il bagno quotidiano in una delle molte petroliere della Chevron.
Quarto della fila, il funambolo. Un pensionato minimo, che a tre quarti del percorso, accecato dalla fame, si lascia cadere, morendo infilzato sulle molle rotte degli ammortizzatori sociali. La gente si alza, applaude, e grida con una sola voce: Mors tua, vita mea! Ed arriviamo al quinto, il domatore di disabili. Non ha una vita facile. Non è da tutti schivare morsi avvelenati dall’indifferenza, allineare carrozzelle in piccole roulottes, cambiare pannoloni, e impedire all’autistico di uscire di notte a contare tutte le stelle.Il gorilla cantato da De Andrè, ha il pelo ingrigito, e una nuova gabbia, dalle sbarre rinforzate. Pare volesse fuggire nuovamente, alla ricerca di uno dei protagonisti dei vergognosi depistaggi,(non necessariamente un giudice) sulla tragedia di Ustica. Il primate trovava curioso che tutti i giornali si occupassero del caso Welby, e nessuno dei circa quindici suicidi “assistiti” a causa delle indagini sulla summenzionata strage. Il gorilla aveva manifestato un paio di fantasie sessuali così stravaganti nei confronti dei presunti responsabili di tali turpi accadimenti, che oltre a rinforzare la gabbia, l’hanno dovuta elettrificare.
Riposa in pace il centauro del “muro della morte”, il pilota dalle mille prodezze. Si è suicidato con un gallone di benzina verde (ne sarebbe bastata una tazza), ed ora riposa in una teca di vetro- zaffiro sigillata. Il suo corpo galleggia con la fida cavalcatura eurozero, in una miscela di lubrificanti, gradazione 10w40. Le sue ultime volontà (accompagnate da un cospicuo assegno), sono rivolte al governatore Formigoni. Chiedono, che allo stesso venga recapitata, con i suoi migliori insulti, la replica a grandezza naturale dell’opera del grande artista Salvador Dalì: “La verginità violata”. Noblesse oblige, direbbero i motociclisti. Come non citare la giovane contorsionista pellerossa Donnola Vorace, alla quale tutto deve la stagista Monica Lewinski, che dopo sole tre lezioni fu in grado di ergersi discinta, con la parte inferiore del corpo sulla parte superiore della scrivania di un certo Clinton, mentre contemporaneamente la parte superiore, agiva nella zona inferiore della stessa, con una maestria tale da rimandare un paio di guerre di almeno un lustro.
E i clowns? Quelli che ci fanno morire dal ridere, e anche dal piangere? Tutti uniti in un largo folle girotondo.Hanno le facce dei potenti della Terra, e i bambini che fanno invasioni di campo per portarsi a casa per trofeo una di quelle maschere, si devono arrendere piangenti, davanti a quei volti veri, arrossati dai loro pizzicotti. Sembra caro il biglietto del Circo, hai sborsato 12 euro per vedere due ragazzi che fanno girare due mezze dozzine di piatti su lunghe aste d’alluminio, argentee e flessibili. La tua mente ritorna all’ultima cena coi coscritti, il numero dei piatti era lo stesso, ma avete pagato in sei, quattrocento euro, vino escluso. C’era cibo ricercato nei piatti, ma ricercate e verificate dovrebbero essere anche le dichiarazioni dei redditi di siffatte trattorie o ristoranti, che in fatto di numeri da Circo non sono seconde a nessuno, coperti compresi.
Non voglio minimizzare, o barare. Nel prezzo del biglietto sono compresi anche gli elefanti. Uno smilzo cornac li conduce sulla pista più ampia, e, udite udite, riesce a far poggiare loro la zampa anteriore destra su uno sgabello di trenta centimetri, in cambio di quattro balle di fieno. Far muovere le dita dei nostri dinosauri a vita in una votazione, minimo ci costa 25000 euro ogni mese.
Il clou della troupe è l’incantatore di serpenti. Il suo flauto ha tanti buchi quanti sono i canali televisivi. Donne vipere, uomini topi, bambini ramarro, sciamano come locuste nei centri commerciali ad ogni suo piccolo suono. È lui l’evocatore di strade deserte che conducono a ville principesche, dove bellissime silfidi vestite di niente, aspettano i loro eroici automobilisti metropolitani. Nei miraggi che impone, ci sono biscotti da paradisi artificiali, caramelle miracolose come il chinino, minestre di verdura che risveglierebbero un orso dal letargo. Telefonini speciali con un tasto triangolare che permettono di avere la linea diretta con il Creatore: Dio, e se Lui risulta occupato, con il Distruttore: Bush. Potete chiudere gli occhi, tapparvi le orecchie, ma non basta. Il suo piffero lavora sulla stessa frequenza delle onde cerebrali. È micidiale come l’arma finale del dottor Goebbels, o i messaggi subliminali della Coca Cola. Ho conosciuto un operaio addetto alla manutenzione, che aveva assistito più volte alle sue performances, beh, non ci crederete, ma mi ha confessato che mentre stava ingrassando le guarnizioni di una pressa da tremila tonnellate, ripensando a quelle note suadenti e meravigliose, si è ritrovato su una spiaggia di Honolulu a spalmare ambra solare sulla schiena di Cameron Diaz.
L’immagine era da sogno, il conto dell’albergo, da incubo. Tant’è che la moglie, casalinga e femminista, ha chiesto immantinente il divorzio al giudice di “Un giorno in pretura”.
I trapezisti sono i più numerosi. Volano come libellule o politici sgamati, da destra a sinistra, da sinistra a destra. Ogni tanto, qualcuno di loro, appesantito da tangenti o mandati di comparizione,
cade nella rete e non sapendo più dove rimbalzare, se a destra o a sinistra, pare che la maggior parte
scelga il centro, neutro e ricco di inciuci. Sono dei veri fenomeni, schivano celle e case circondariali con l’abilità prona e fintamente servile di un Andreotti da riferimento. Pagano falangi di avvocati per salvare il buon nome della “Famiglia”. E la “Famiglia” commossa fino alle lacrime di coccodrillo, solitamente li salva. Ma l’orrore, ah l’orrore, di questo circo Barnum, che si perpetua nell’estremo cinismo di un’umanità che ha rinnegato la propria etica, è il padiglione dei fenomeni. Ci vorrebbe un libro intero per elencarli tutti. Per questioni logistiche ho scelto solo alcune delle figure più significative. Nella prima struttura, quasi un monolocale, potrete ammirare il generale a cinque stelle e due “mostrine” d’argento. Due gemelle dalla pelle grigiastra e dagli occhi fosforescenti. Il padre si era improvvisato giocoliere, facendo volteggiare cinque o sei proiettili di mitraglia per dimostrare che le munizioni all’uranio impoverito erano di un’innocuità disarmante.
In uno spazio più grande, protetto da reti metalliche, sono rinchiusi i “condomini dai pugnali volanti”. I vicini di pianerottolo dalle facce paciose e dai volti anonimi. Non lasciatevi ingannare dal loro atteggiamento dimesso o dagli occhi bassi. Basta che cali la notte, e come licantropi feroci, si arrampicano su balconi e grondaie, pronti a tagliarvi la gola per un diritto di parcheggio. C’è poi l’ingoiatore di rospi di ghisa, ex operaio della Breda, morto di crepacuore. Ogniqualvolta stava per andare in pensione, il vecchio o il nuovo governo spostava i termini un anno più in là. Per trasportare la bara vennero impiegati otto facchini nerboruti. La salma pesava al momento della dipartita circa duecentotrenta chilogrammi.

Affascinante come Marilyn Monroe, almeno dalla vita in su, è la Donna Sirena. Fino agli anni settanta, una procace ventenne con un luminoso futuro di cassiera al Supermarket di Marghera.
Ma una notte di luna piena ebbe la malaugurata idea di tuffarsi nuda nel porto.
Sconvolgente è il mangiatore di “fuoco amico”, un’ulcera doc e un consistente senso di colpa, gli hanno lasciato nello stomaco un foro circolare di trenta centimetri di diametro. Ci si vede attraverso, anche se a volte s’intravedono come dei filmati. Sfila un elenco di morti che spingerebbero al riso più d’uno degli insorti irakeni. Dalla visione si evince che buona parte dei soldati americani morti, è stato ucciso dai propri commilitoni. Invece della maga che legge le carte o consulta la sfera magica, abbiamo il cieco che vede il futuro. Sono anni che non sbaglia una previsione. Alla domanda: “Come vedi l’anno che verrà”, lui invariabilmente, laconicamente, sommessamente risponde: “Nero”. Mi sono cadute le braccia (per fortuna solo letteralmente), davanti ad una vetrina (quale solitamente si trova solo ad Amsterdam), dietro alla quale appariva un signore compito e sussiegoso. Una piccola targhetta in oro zecchino riportava: Politico Sincero. Fu allontanato da tutte le cariche pubbliche come esempio di cattiva comunicazione. Qualche mano poco amica gli ha affisso al collo un cartello con la frase che determinò la sua fuoriuscita dal Governo: “Dobbiamo mettere il cittadino al centro delle nostre attenzioni. Così lo colpiremo meglio”.
Lo slavo mutante, è un miracolo di ingegneria genetica. Apparentemente normale, se consideriamo normali le due protuberanze che gli spuntano dalla fronte. Ha dita palmate, e le braccia fino al gomito, sono ricoperte da pelle di daino. Basta una cipolla rossa per l’occhio destro, l’occhio sinistro piange di nostalgia, e con una manciata di lacrime lava almeno mezza dozzina di parabrezza.
L’uomo che sussurrava alla mine è un essere che pare venuto da un altro mondo. Ha la grazia e l’eleganza di un dandy. Lo potete ammirare mentre accarezza il carapace di quegli strani ordigni. Esse fanno tutto quello che egli suggerisce, e non mi stupirei se un giorno consigliasse loro di tornare da dove sono venute, per organizzare una bella festa al padre che le ha abbandonate nelle zone più povere del pianeta. Sapete, non sopportano più di mutilare donne, vecchi e soprattutto bambini. Anche loro hanno un cuore, un cuore molto, molto sensibile.
Ma l’orrore, ah l’orrore, il vero cuore di tenebra, uno dei motivi per cui mi siedo al tavolo tutte le notti, rubando le ore al sonno e al lavoro, sottraendo tempo alla famiglia, fu la visione di quello che resta di “Johnny che perse il fucile” e tutte e due le gambe, e ambedue le braccia, e la vista, e l’udito, e la bocca, e la lingua, e la mandibola. Non è stato difficile allontanare i due agenti della CIA dalla sua cosiddetta prigione. È bastato raccontare loro che un predicatore vagante, ritto su una cassetta della frutta, stava arringando la folla su due o trentanove cose vere sulla strage dell’undici settembre.
C’era una piccola tenda canadese,su un lettino da campo con le rotelle. Un treppiede sosteneva una boccia di liquido strano che entrava da dove presumibilmente era la testa, e un tubo che usciva quasi sicuramente dalle parti basse. E l’orrore, sì l’orrore del messaggio in codice, che la sua testa ritmava sul cuscino rigido della brandina: “Fermate tutte le guerre, fermate tutte le guerre, fermate tutte le guerre, fermate tutte le guerre”.
Per commentare il passaggio finale, ho scelto una poesia di John “Man” Raine, probabilmente un nativo americano, La poesia è stata scritta nel febbraio del 1970, quando scrivere poesie aveva ancora un senso alto, che purtroppo si è perso.

Il soldato

Dopo aver lasciato la gamba destra,
era in Libia credo,
la sinistra a Stalingrado
tra le ultime lettere.
Dopo aver lasciato
gli occhi tutti e due in Corea,
a Danang può darsi.
Dove morendo idiota
e nel corpo altre parti, altre,
l’olfatto e la pietà,
il senso del dolore,
il saperlo anche degli altri.
Dopo aver lasciato tutto questo
in guerre di cui voi sapete poco.
Dopo aver lasciato,
dopo, se qualcosa ancora resta,
io, il soldato che muore
ad ogni battaglia,
se qualcosa resta,
ecco, lo dono brava gente
al vostro banchetto,
affinché dia più consistenza
al vostro spezzatino.


Vorrei continuare a parlarvi di fenomeni, ma in pista è entrato un cavallo. È uno stallone arabo dal mantello pomellato. Una larga ferita gli attraversa verticalmente la fronte. Chiudo gli occhi, nella mente galoppano le immagini di quando ero bambino ed avevo accarezzato il suo muso ferito, consolandolo. Era il cavallo di un piccolo Circo che per la fiera di San Faustino aveva piantato le tende tra Sarezzo e Crocevia. Avevo circa dieci anni e mi ero offerto come tuttofare pur di poter stare in mezzo agli animali. Io e lo stallone fraternizzammo in un baleno, lui mi raccontava con piccoli nitriti la sua solitudine, ed io gli confessavo la mia. Ora mi chiede di narrarvi una storia che
Il grande vecchio della poesia, Prevert, ha scritto per lui tanti anni fa. La storia ha per titolo: Cavallo in un isola.

Quello, è il cavallo che vive tutto solo da qualche parte lontanissimo in un isola. Mangia un po’ d’erba; dietro di lui c’è un battello, è il battello sul quale è venuto il cavallo, è il battello sul quale se ne andrà. Non è un cavallo solitario, gli piace molto la compagnia degli altri cavalli; da solo si annoia, vorrebbe fare qualcosa, rendersi utile agli altri. Continua a mangiare erba e mentre mangia, pensa al suo grande progetto. Il suo grande progetto è di tornare dai cavalli per dire loro: - bisogna che cambi. E i cavalli chiederanno. – cosa deve cambiare? E lui risponderà: - deve cambiare la nostra vita, è troppo miserabile, non si può andare avanti così. Ma i cavalli più grossi, meglio nutriti, quelli che trainano i feretri dei grandi della terra, le carrozze dei re e che portano sulla testa un cappellone di paglia di riso, vorranno impedirgli di parlare e gli diranno: - di che ti lamenti, cavallo, non sei la più nobile conquista dell’uomo? E lo prenderanno in giro. Allora tutti gli altri cavalli, quelli poveri che trainano i carriaggi non ardiranno dire la loro. Ma il cavallo che riflette nell’isola alzerà tuttavia la voce: - se è vero che io sono la più nobile conquista dell’uomo, non voglio esser da meno di lui. “L’uomo ci ha colmati di regali, ma l’uomo è stato troppo generoso con noi, l’uomo ci ha dato il frustino, l’uomo ci ha dato lo scudiscio, gli sproni, i paraocchi, le stanghe. Ci ha messo ferro in bocca e ferro sotto i piedi. Faceva freddo, ma lui ci ha bollato col ferro rovente
per riscaldarci… Per me è finita, può riprendersi i suoi gioielli, che ve ne pare? Perché sta scritto a caratteri cubitali sui muri… sui muri delle sue scuderie, sui muri delle sue caserme di cavalleria, sui muri dei suoi mattatoi, dei suoi ippodromi, e delle sue macellerie ippofagiche: “Siate buoni con gli animali”. Ammetterete che questo vuol dire prendere in giro la gente equina! Allora tutti gli altri cavalli cominceranno a capire e tutti insieme se ne andranno a trovare gli uomini e parleranno loro ad alta voce. “Signori, va bene trainare le vostre vetture, i vostri aratri, farvi le corse e tutto il lavoro, ma riconoscete che ciò facendo vi rendiamo un servizio: bisogna che ne rendete anche a noi.
Spesso, quando siamo morti, ci mangiate, non abbiamo nulla da obiettare, se la cosa piace a voi; è come per la colazione del mattino, c’è chi prende l’avena col caffè a letto e chi l’avena al cioccolato, ognuno ha i suoi gusti, ma voi arrivate a picchiarci, questo non deve succedere più. Inoltre vogliamo avena ogni giorno, e ogni santo giorno che Dio manda in terra vogliamo acqua fresca, e poi vacanze, e che ci si rispetti, siamo cavalli, non siamo mica buoi. Primo che ci picchia lo mordiamo. Secondo che ci picchia, lo uccidiamo. Ecco. E gli uomini capiranno di aver esagerato, diventeranno più ragionevoli”. Ride, il cavallo, pensando a tutte le cose che un giorno certamente accadranno. Ha voglia di cantare, ma è solo, e gli piace soltanto cantare in coro; nonostante ciò, egli grida allora: “Viva la libertà!”. In altre isole, altri cavalli lo sentono e gridano anche loro a più non posso: “Viva la libertà!”. Tutti gli uomini delle isole e del continente odono le grida e si chiedono di che si tratti, poi si rassicurano e dicono alzando le spalle: “Non è nulla, sono i cavalli”. Ma non immaginano quello che i cavalli stanno loro preparando.


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