Caro direttore
ho letto con interesse la lettera pubblicata a pagina 6 del VALTROMPIASET del 19 febbraio scorso. Lettera che indirettamente mi riguarda. Scrivo “indirettamente”, perché l’articolo è stato scritto più di un anno fa da Ermanno Uccelli. Ho letto molte cose scritte da Uccelli: libri, articoli, resoconti di convegni o congressi, e devo dire che è una persona che sa scrivere, che conosce l’arte del giornalismo e che ha sempre saputo separare i fatti dalle opinioni.
L’articolo in questione non è sicuramente il migliore che ha scritto, su questo concordo, ma non mi sento di criticarlo. Diciamocela tutta, il VALTROMPIASET non è una rivista culturale, e “Un’ epoca di corpi perfetti”, lo trovo un articolo equilibrato, corretto (molto più dei miei), e per certi versi, come scrive il lettore, condivisibile. Ben vengano comunque le critiche oneste, sincere, che danno un senso al nostro scrivere, e che ci aiuteranno a migliorare. Ci sono forse troppi complimenti, diretti e indiretti nella lettera che il lettore ha inviato al giornale, che riguardano la mia persona.
Contrariamente al dottor Uccelli, io non ho raggiunto la pace interiore, e quel distacco così necessario quando si scrive. Io scrivo come vivo. Leggo troppi giornali, troppi settimanali, troppi mensili, senza riuscire a coordinare le notizie di cui vengo a conoscenza, senza avere la capacità di sintesi per estrapolarne a volte un articolo decente. Io non sono un giornalista, non sono uno scrittore, sono solo un poeta, e solo di questo vorrei dover rendere conto. Per il resto, fumo troppo, bevo troppo, e troppo spesso vivo con la testa tra le nuvole estraniandomi da una realtà in cui non mi riconosco, se non in poche, rare occasioni. Scriveva Crémer un poeta spagnolo contemporaneo: “Poesia è vivere, essere uno qualunque che lavora, che lotta, che s’immiserisce ogni giorno un po’, che ha visto partorire una vacca, che ha retto la testa ormai di piombo dell’amico morto, che è capace di comprendere e commuoversi dinnanzi alla servitù dell’uomo al suo destino …essere uno qualunque che grida, che piange, cui capita di essere qualche volta poeta”. Fino a quando intorno ci fossero stati: miseria, morte, dolore, ogni altro modo di intendere la poesia per lui sarebbe suonato scandalo. Ecco, io sono solo “un uomo qualunque che piange, che grida, cui capita di essere qualche volta poeta”.
Distinti saluti
Jo Dallera
Villa Carcina, 26 febbraio 2007
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