Così come si sa che, volando, essi fanno molto di più che spostarsi: esprimono emozioni e comportamenti istintivi. La loro biologia è ricca di aspetti molto interessanti. Ad esempio: le spettacolari parate nuziali di alcune specie, la costruzione di nidi con diversi tipi di architettura, le migrazioni di grande ampiezza e così via. È però vero che alcuni dei segreti che li riguardano non sono stati (ancora) svelati.
Fin dai tempi più remoti, gli abitanti delle nostre campagne si sono divertiti a tradurre in onomatopee il canto, o i gridi, degli uccelli. È alla loro voce che, alcuni di essi, devono il loro nome: il chiurlo o il cucùlo, ad esempio.
Di recente, ed in modo più scientifico, le emissioni vocali degli uccelli sono state tradotte in sonogrammi, ovvero grafici che mostrano l'intensità del suono (in kilohertz) e la sua durata e aiutano a comprendere meglio il rapporto degli uccelli con la natura.
Ultimissimo, c'è uno studio del Roslin Institute di Edimburgo che spiega che cosa accade, in primavera, a questa specie animale: la maggior quantità di luce, induce gli uccelli a cantare. La luce viene catturata da sensori che sono nel cervello. L'allungamento delle giornate viene notato da tali cellule che scatenano una serie di reazioni. Alcuni geni spingono l'organismo a produrre degli ormoni. Questi provocano un ingrossamento dei testicoli. Ha inizio in tale modo la stagione degli accoppiamenti. Che prendono il "la" dal corteggiamento. Il quale viene stimolato dal canto. Ecco ciò che incuriosisce gli scienziati: che cosa dà lo stimolo, a ciascuna specie, facendole iniziare i duetti canori in perfetta sincronia a tutte le latitudini del mondo? La risposta sembrerebbe ovvia: la luce. Ma dagli occhi (che captano la luce), alla lingua (che emette il canto) il percorso è molto più tortuoso di quanto si pensi. Lo ha svelato una ricerca inglese e giapponese. È stata condotta all'Università di Nagoya, città dell'isola di Hoshu, in Giappone, e ad Edimburgo, capitale della Scozia, in Gran Bretagna. Qui, nel Roslin Institute (lo stesso dove è stata clonata la pecora Dolly) e a Nagoya, hanno condotto le ricerche sulle quaglie giapponesi, un uccello migratore dell'ordine dei Galliformi. Nei due centri di ricerca hanno scoperto un meccanismo fatto di neuroni, geni e ormoni. Che si attiva con l'arrivo della primavera. E si sviluppa così: le giornate si allungano. Un gruppo di cellule del cervello si attiva. Sono le cellule deputate a registrare l'intensità e la durata della luce per un’intera giornata.
Gli scienziati hanno setacciato 28 mila frammenti di Dna. Uno ad uno. È stato il lavoro più faticoso. Lo scopo: trovare i singoli geni che vengono attivati dalle giornate che si allungano. E, fra questi, individuare quelli che si innescano, in modo esclusivo, con l'inizio della primavera. I geni che prendono l'avvio dalla luce registrata dai neuroni producono, a loro volta, la tirotrofina. È un ormone. Che ha il compito, fra gli altri, di regolare il metabolismo e la crescita. Questa molecola parte dal cervello. Entra in circolo nell'organismo. Trova il suo bersaglio nella tiroide. Conseguenza: una catena di causa ed effetto. Che trova il suo finale nell'ingrossamento dei testicoli dei maschi degli uccelli. Che usano il canto quale stratagemma per ammantare la loro voglia di riproduzione. Infatti, più la melodia sarà articolata e fantasiosa, più il corteggiatore avrà delle possibilità che la femmina risponda e si avvicini.
Tutti gli uccelli cantano. La maggior parte di loro nasce con una melodia in testa. E, per tutta la vita, canta solo quella. Sono davvero poche le specie che riescono ad imparare nuove melodie. Il pappagallo e il colibrì sono fra queste.
La specie con il repertorio più vasto è il mimo rossiccio: conosce duecento canzoni. Chi ha il volume del canto più alto, e i polmoni più potenti, è la specie dell'uccello lira o menura, il più grande uccello dei passeriformi. Le gazze australiane sono fra le (rare) specie capaci di organizzare un coro a molte voci. Più è grande la popolazione di uccelli di una certa zona, più il canto del maschio diventa sofisticato e ricco di variazioni. L'alba è l'ora preferita per cantare. Perché? Nessuno (ancora) l'ha capito. Con delle eccezioni: l'usignolo canta di notte. E il pettirosso non smette di cantare neppure durante l'inverno. Ciò significa che questo uccello fa sentire la sua voce sia in primavera che in inverno. Nel periodo freddo perché ha comunque bisogno di difendere il suo territorio. E, per tenere alla larga i rivali, usa la voce.
Una voce le cui funzioni, negli uccelli, sono essenzialmente due: il corteggiamento delle femmine, che si concentra nel periodo primaverile, e la difesa del territorio. I due canti sono molto simili, anche se non perfettamente uguali. Le differenze nella melodia sono talmente lievi che un orecchio umano (anche esperto) non riesce a percepirle. Ma gli uccelli, ovviamente, riescono ad interpretare il messaggio. Sono delle variazioni impercettibili quelle del canto del maschio, a seconda che stia cantando da solo o stia corteggiando una femmina. La quale, in genere, diffida degli sconosciuti e preferisce il canto di un maschio che le è familiare. Canto che serve sì a corteggiare la compagna, ma anche a cacciare gli altri esemplari che invadono il territorio. Per la difesa del quale le strofe sono brevi e poco articolate.
Così, grazie a questo meccanismo ormonale, la prole nascerà nella stagione più tiepida. E più ricca di cibo. È dunque un meccanismo regolato da un ritmo preciso. Che si trova però a dover fronteggiare un grosso pericolo: il cambiamento del clima. Perché la progressione delle ore rimane costante man mano che la primavera avanza, ma non così è anche per la temperatura dei cicli biologici degli altri animali. E delle piante. Insomma, sono molte le anomalie della primavera che inizia il 21 marzo. Meglio, dovrebbe iniziare in tale data. Che invece è iniziata molto prima. Pare proprio non vi siano dubbi: la stagione riproduttiva è stata anticipata per tutti. Come mai? Perché il riscaldamento climatico ha modificato il calendario.
Adesso, per gli scienziati di Edimburgo e Nagoya si affaccia un nuovo obiettivo: capire se, oltre alle quaglie giapponesi, anche le altre specie di uccelli hanno il canto regolato dal processo ormonale appena scoperto. Perché – spiegano i ricercatori nell'articolo che è stato pubblicato su Nature –, anche l'uomo, nel suo cervello, dispone di un gruppo di neuroni sensibili alla durata della giornata. E tale meccanismo potrebbe aiutarci a spiegare alcuni casi di infertilità.
Ma il ponte fra gli uccelli e gli animali non si esaurisce qui. È stato dimostrato, ad esempio, che lo stesso gene che negli uomini sovrintende alla capacità di articolare il linguaggio (si chiama FoxP2), permette ai piccoli degli uccelli di imitare le melodie cantate dagli adulti. Se si disattiva il gene, i pulcini diventano incapaci di articolare una strofa per intero. Si limitano a balbettare isolati pigolii. E poi, a dimostrazione che il sonno ha, fra le altre, anche la funzione di rafforzare i ricordi importanti che si sono formati durante il giorno, uno studio dell'Università di Chicago ha osservato che, di notte, nel cervello dei fringuelli, si riattivano gli stessi neuroni impegnati durante il giorno in una performance canora. È la evidente dimostrazione che, nel sonno, gli uccelli "ripassano" la canzone da cantare la mattina successiva. Magari per "catturare", più facilmente, la loro innamorata.
Ermanno Antonio Uccelli |