Nell'antichità greca e romana la seconda parte del banchetto era detta simposio. Durante il quale un eletto a presiedere l'incontro, provvedeva a far sì che i commensali degustassero i vini, conversassero, cantassero e recitassero versi d'occasione, carmi conviviali e così via. Durante il convegno i convitati assistevano anche a danze, giochi e intermezzi secondo le prescrizioni del direttore designato a presiedere il banchetto-festino: il simposiarca.
E c'è un banchetto del quale ci parla Platone. Durante il quale avviene una lunga conversazione, un celebre dialogo: il Simposio. Forse la più bella conversazione della letteratura di tutti i tempi, con il clima festoso di una cena tra intellettuali e discepoli. Avviene attorno ad una potenza tanto inesauribile quanto misteriosa: l'Eros, l'Amore.
Platone lo scrive dopo il 385 a.C. ma fa svolgere il banchetto a ritroso di almeno 30 anni. È il tempo nel quale Atene e Sparta sono impegnate nella lunga guerra del Peloponneso, che va dal 427 al 401 d.C. Nel costume, il 427 a.C. è anche l'anno della 88ma Olimpiade; mentre nel pensiero, nell'arte e nella letteratura Sofocle ed Euripide portano sulla scena le leggende del periodo eroico e Aristofane, la "commedia attica". È anche il tempo nel quale nasce Platone. Ad Atene. Figlio di illustre famiglia, egli studia pittura e poesia. Si dedica alla filosofia e conosce Socrate a vent'anni. Filosofo fra i massimi di ogni tempo, nel 387 fonda l'Accademia, scuola filosofica e sodalizio religioso. Della sua dottrina resta un corpus di 36 titoli formato da 35 dialoghi e tredici lettere. Nel banchetto di quasi 2500 anni fa, il filosofo e il drammaturgo, il retore, il medico e il politico parlano. Sono pervasi da una raffinata atmosfera, che l'eccellenza delle loro persone ha contribuito a creare, e si intendono alla perfezione. È il dialogo più perfetto che Platone abbia mai scritto.
Un giovane drammaturgo, Agatone, festeggia la corona di lauro che ha ottenuto con la sua prima tragedia. Il tono del dialogo è gaio e sereno. Corrisponde a quello che è lo stato d'animo che aleggia, in quell'anno, presso gli ateniesi. Perché nel 416 a.C. Atene è il perno politico di una lega poderosa. La città è all'apice della potenza e della gloria. Passeranno pochi mesi, dopo la "laurea" di Agatone, e una flotta di 134 triremi, numerose navi minori da carico, 6 mila armati e 25 mila marinai salperanno dal Pireo per andare a cingere d'assedio Siracusa, in Sicilia. Un’impresa molto audace. Alla quale gli ateniesi sono spinti da Alcibiade. Chi egli sia è presto detto: nipote di Pericle sarà anche, dicono gli ateniesi, il suo successore. È generale e uomo politico. Allorché si finge avvenuto il banchetto (416 a.C.) egli aveva circa 34 anni ed era al culmine della sua potenza politica. Platone lo fa intervenire, ubriaco, in casa di Agatone, nel finale del Simposio. Alcibiade, con la conquista della Sicilia, spera di dare l'avvio ad una grande espansione della potenza ateniese nel Mediterraneo. La realtà polverizzerà questo sogno velleitario. Sarà invece proprio l'impresa siciliana l'inizio della rovina di Atene. E di Alcibiade. Nel 404, Atene sarà espugnata dopo una altalena di successi e di disastri. Lisandro, comandante della flotta spartana, ridurrà Atene ad una misera vassalla di Sparta. Alcibiade fuggirà nei dominii persiani. Il satrapo della Bitinia lo farà assassinare.
Così, nel Simposio, si colgono tutti i tremendi rivolgimenti di cose e di destini avvenuti in pochi anni nella città. E i suoi cittadini catturano la tragica ironia che si cela nella rappresentazione – con punte di comicità aristofanesca – della vita gaia e colma di fiducia di una epoca che era ormai tramontata. Per sempre.
Platone raccoglie le riflessioni sull'amore di Fedro, che parla per primo, di Pausania, l'amante di Agatone, del medico Erissimaco, di Aristofane e di Alcibiade e di altri ancora, nonché di Socrate che affida ad una figura femminile, Diotima, sapiente nei misteri d'amore, il compito di svelare i segreti ultimi dell'amore.
Spiega la veggente Diotima, una donna di Mantinea, che «Eros è sempre povero, e ben lungi dall'essere morbido e bello, come crede il volgo; piuttosto è ruvido e irsuto e scalzo e senza asilo, si sdraia sempre per terra, senza coperte, dorme a cielo scoperto davanti alle porte e sulle strade… E la sua natura non è né di un immortale né di un mortale: in una stessa giornata, piuttosto, ora è in fiore e vive, quando trova una strada, ora invece muore… ciò che si è procurato, peraltro, a poco a poco scorre sempre via, cosicché Eros non è mai né sprovvisto né ricco, e d'altro canto sta in mezzo fra la sapienza e l'ignoranza». Insomma, Eros è divino. Ma non è dio. Pertanto si pone come mediatore tra gli uomini e le loro miserie e la grandezza del nume. È la sintesi estrema del discorso socratico del Simposio platonico sull'Amore.
Poiché i convitati si intrattengono scambiandosi discorsi ed esternano in assoluta libertà i loro punti di vista su una esperienza comune, in questo caso l'Amore, si intrecciano sei discorsi. Quanto mai diversi fra loro. Un ammiratore di Socrate, Apollodoro, è il cronista del memorabile banchetto. Dice Socrate: «Ogni uomo ha l'obbligo di onorare Eros: io stesso onoro e coltivo in modo speciale le cose d'amore, e vi esorto a fare lo stesso; ora e sempre, per quanto è in me, loderò la potenza e il coraggio di Eros».
Ermanno Antonio Uccelli |