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 Nr.23 del 17/11/2008
 
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Un paese che non ammette illusioni
Difficile leggere il libro di Roberto Scarpinato e Saverio Lodato, Il ritorno del principe (Chiarelettere, Milano, 2008, pag. 347, Euro 15,60) senza provare un senso di profondo disagio, vorremmo dire di sconforto, dinnanzi alla dimostrazione che la nostra sovranità di cittadini è stata negata nella sua essenza da decenni di gestione criminale del potere…


  


E nella affermazione, motivata con una disamina criticamente lucida e sostenuta da dati inconfutabili, della permanente eccezione di questo nostro paese. Il testo che sottoponiamo con passione alla vostra attenzione è il risultato dell’incontro fra un giornalista, con alle spalle un pedigree di tutto rispetto sul problema della criminalità mafiosa, e di un magistrato che ha lavorato lungamente alla procura di Palermo nel settore antimafia, è stato accanto a Falcone e Borsellino e si è occupato di alcuni dei più importanti processi di mafia degli ultimi decenni. Questo curriculum da solo dovrebbe rappresentare una garanzia e un elemento di sicuro interesse, ma il valore del libro è in un altrove, è nello sforzo del magistrato di superare la propria dimensione professionale per cercare di dare una risposta alla domanda che tutti ci rivolgiamo su quale sia il male oscuro di questo paese. Quel male oscuro che Sciascia aveva così ben descritto: “Il potere non è nel Consiglio comunale di Palermo. Il potere non è nel Parlamento della Repubblica. Il potere è sempre altrove. Lo Stato per me è Costituzione e la Costituzione non esiste più”.

Il presupposto da cui parte l‘autore, che vorremmo rifiutare ma non ne abbiamo la possibilità storica, è che il nostro sia “un Paese troppo vile e immaturo per saper guardare dentro la propria realtà e proteggere i suoi figli migliori, salvando se stesso”. Scarpinato aggiunge: “All’inizio ero convinto di dovermi confrontare con una sorta di impero del male… Poi lentamente la linea di confine ha preso a divenire sfumata… il mondo degli assassini comunica attraverso mille porte girevoli con insospettabili salotti con talune stanze ovattate del potere…”.
Insomma, quella che emerge nelle duecento pagine del libro, di cui noi vi forniremo solo un limitatissimo frammento, lasciando al lettore il piacere intellettuale di confrontarsi con la tessitura del discorso di Scarpinato e Lodato valutandone la caratura, è il volto di una realtà in cui “la storia nazionale, quella con la S maiuscola, è inestricabilmente intrecciata con quella della criminalità di settori significativi della sua classe dirigente… Questa criminalità si è declinata dall’Unità ad oggi su tre versanti: la corruzione sistemica, la mafia e lo stragismo per fini politici”.
Scarpinato parte da un assunto del grande “reazionario” dell’800 De Maistre: “Non bisogna coltivare la ragione del popolo mai i suoi sentimenti…”.

È quello che avviene oggi nel nostro paese da più punti di vista. Possiamo infatti, ci viene chiesto, parlare di democrazia in una realtà dove il Parlamento, formalmente eletto dal popolo, è nella sostanza nominato da una trentina di “oligarchi”? Similmente ci viene domandato quale sia il rapporto fra i deputati eletti dal popolo e i loro elettori? Queste prime domande che vengono poste a chi voglia leggere oggettivamente la realtà d’oggi portano all’amara constatazione che i parlamentari rispondono ai loro nominatori, ovvero a quella oligarchia politica che nei fatti detiene il potere. Similmente ci si può domandare dove venga costruita oggi una opinione pubblica capace di misurarsi con le strutture del potere: “Più la realtà sociale si fa complessa e frammentata (ed aggiungiamo noi anonima) più il potere si verticalizza… Il nuovo sistema oligarchico replica in peggio quello della partitocrazia e della correntocrazia della prima Repubblica…”.
Queste sono solo alcune della prime constatazioni che saltano all’occhio di chi voglia leggere la realtà senza pregiudizi, seguendo il precetto kantiano del “sapere aude”.
Ed allora vogliamo saperlo, ad esempio, che “negli ultimi dieci anni i profitti della imprese sono cresciuti dell’87% mentre i salari solo del 13%”? Difficile rispondere a questa domanda…
Quello che è certo è che questa realtà di ingiustizie e degrado sociale ha alle spalle un lungo retroterra di contraddizioni. Portiamo uno o due casi. Quello siciliano ne è esempio eclatante.
In Sicilia “dopo la fine della stagione delle lotte contadine (anni ‘50 e primi ’60 n.d.r.) e la breve parentesi in cui Pio La Torre fu segretario regionale del Pci, non si è mai avuta un’opposizione reale”. Quale il motivo? “La capacità del sistema di coinvolgere i vertici delle piramidi, tra cui quello dei partiti dell’opposizione, nei benefici della gestione oscena del potere, svuotando così l’opposizione di reale contenuto”.
Ne fece le spese lo stesso Leonardo Sciascia che, eletto nel 1975 nelle liste del Pci nel consiglio comunale di Palermo, si rese ben presto conto di essere solo una pedina, di essere stato strumentalizzato per attirare i voti di una parte dell’elettorato! D’altronde, sottolinea l’autore, quando i dirigenti del Pci siciliano si resero conto che con la sua politica rivendicativa Pio La Torre correva il rischio di lacerare consolidate “amicizie”, essi lo lasciarono solo a combattere la sua battaglia contro la mafia con il risultato di vederlo cadere sotto i colpi del nemico per poi sfruttarne la memoria in miserande battaglie elettorali.
D’altronde, continua Scarpinato “i Reiina, i Provenzano, i Concutelli, i Fioravanti, i Chiesa, i Poggiolini non sono – come si vorrebbe far credere – dei mostri, ma sono l’espressione di una mostruosa normalità italiana…”. Questa realtà è certificata fra l’altro da un dato curioso, quale la composizione della popolazione carceraria di questo paese dal 1860 ad oggi: “Si tratta in massima parte di persone con basso livello di scolarizzazione e degli ultimi gradi della gerarchia sociale”. All’inizio del ‘900 ne facevano parte i membri di quella che allora era definita la classe “oziosa”: ladri, ricettatori, bari, truffatori, ecc. Oggi finiscono nelle carceri gli stessi soggetti. “L’applauso corale del Parlamento, in tutti i suoi ordini e gradi, al ministro della Giustizia Mastella – aggiunge Scarpinato - quando nel gennaio attaccò la magistratura che aveva tratto in arresto alcuni appartenenti al suo partito è solo uno dei tanti episodi rivelatori della risalente avversione del nostro ceto politico al principio costituzionale che la legge è uguale per tutti”.
Come dimenticare che in Italia “si possono lucrare milioni di euro rubandoli alla collettività, a rischio quasi zero?”.
Se capita che un qualsiasi potente finisca nelle maglie della giustizia c’è subito la soluzione: l‘indulto. “Del resto l’onorevole Francesco Caruso – (aggiungiamo noi in una incredibile eterogenesi dei fini) si è lasciato sfuggire che l’indulto era stato approvato per realizzare “uno scambio di prigionieri!”.

Si può concludere con un auspicio: che questo libro sia letto, letto e riletto e non finisca nella massa dei volumi che vengono mandati al macero, poiché fra le sue pagine emergono alcuni frammenti di quel filo di Arianna che ci può fare comprendere come “il nostro Paese stia barcollando cieco, di fronte al tema della responsabilità. Da un delitto sono nati altri delitti, ma già al primo è mancata la punizione esemplare. Il sentimento di giustizia è stato umiliato. La verità è stata negata.”

Solo eliminando l’offesa alla verità potremo sperare di avviarci su una via migliore.

Giulio Toffoli


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