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Ho letto il tuo nome per caso e, per caso, mi sono trovato a scrivere di te. Il tuo nome tra tanti nomi, tra tante righe, e così ho imparato a conoscerti. Sei scomparso quando io non ero nato e non ho mai potuto ascoltare le tue parole, la tua voce che mi racconta la tua vita, e la mia storia. Mi hanno detto che non amavi che si parlasse di te e forse non ti farebbe piacere scoprire che il tuo nome su un libro. Mi piace però pensare che eri talmente orgoglioso della tua vita, piena di fatiche, sofferenze e sacrifici che avevi voglia di farmela conoscere e quindi, anche con la tua indole, hai lasciato che scrivessero di te.
Eri un giovane che voleva ed aveva bisogno di lavorare per sbarcare il lunario e allora partisti per una nazione che non era la tua per lavorare in miniera.
Ogni giorno era uguale al precedente, il treno si fermava e tu e gli altri scendevate, avendo ognuno la propria lanterna accesa. Alcuni impugnavano la perforatrice, i più giovani tenevano le luci e gli arnesi. Il capo apriva la cancellata che divideva l’ esterno dalla nuda parete di roccia e ripeteva come sempre “ Avanti coraggio, cominciamo il lavoro nel nome di Dio “
Allora rizzavate scale di legno per giungere alla parte superiore d’avanzamento, segnavate i punti per l’esecuzione dei fori da mina. Le punte giravano stridendo nella roccia e penetravano lentamente fra un crepitio assordante. Una fitta polvere vi avvolgeva in quel piccolo mondo di roccia ed essa aveva un odore rivoltante, dolciastro che toglieva il respiro e colorava le vostre facce, i capelli, le barbe di bianco che sembravano coperti di brina. Nemmeno un fascio di luce dall’esterno poteva avvolgere la buia galleria dove vivevate. Potevate vedere la luce del giorno solo quando uscivate per vuotare i vagoncini carichi di materiale e rimanevate alcuni istanti ammirati a guardare il panorama, aprivate il petto d’aria saluberrima e fissavate l’occhio laggiù dietro le alte pareti dei monti dov’era la vostra terra natia.
Arrivava finalmente la fine del turno e mentre vi avvicinavate all’uscita, l’aria pura e salubre vi salutava con la sua freschezza. Un giorno un uomo si rivolse a voi dicendo “ Qui tutti tossiscono, e molti sono malati, ho veduto a cui manca il naso, e un altro ha un occhio di cristallo, ma spiegatemi, perché vi lasciate rovinare così? Le vostre voci si fusero in una dando una sola risposta “ Io sono qui per mangiare, sostenere la moglie ed i figli “.
Quanto vi deve essere mancata la vostra famiglia, il lavoro che avete svolto in tanti anni in miniera vi ha spezzato la schiena, vi ha tappato i polmoni, vi ha privato dell’udito e della vista ma, cosa peggiore, vi ha portato lontani dall’affetto della famiglia, non avete visto i vostri figli crescere e non avete potuto sorreggere vostra moglie diventata l’uomo di casa. In questo posto avete viso cambiare molte cose, avete visto morire molta gente e molta no l’avete più vista camminare, avete visto ragazzi scappare per paura della morte, e avete vissuto il vostro primo sciopero, nel quale avete potuto far valere le vostre ragioni, senza mai dimenticare però che grazie a quel lavoro massacrante siete riusciti a portare qualche soldo a casa, dove c’era chi vi aspettava e che aveva bisogno del denaro che voi mandavate.
Vi hanno accompagnati anni di duro lavoro, forare ed esplodere, esplodere e forare, in una monotonia desolante.
L’avvicinarsi del compimento glorioso dell’opera teneva alto il morale di tutti gli operai. Grandi e piccoli erano pieni di gioia e questo ridonava forza, vi allietava il lavoro e vi faceva sperare ancora in un sole leggiadro e caldo, del quale già da parecchio tempo eravate privi.
Ti sono riconoscente nonno perché sei riuscito ad insegnarmi il significato della parola sacrificio. Voglio ricordare te e tutte le persone che come te si sono sacrificate per darci una vita migliore.
Spero che tutto il lavoro che avete fatto non vada perduto e venga rispettato per sempre. Dobbiamo essere orgogliosi di tutte quelle persone che, come, te, con una vita semplice e piena di povertà, sono riuscite a darci tutto quello che abbiamo oggi. Avrei tante cose da chiederti e da dirti, ma ne conosco una che le raccoglie tutte
Grazie nonno.
Dopo questa lettera riguardante il mondo dei minatori ecco alcune mie pubbliche riflessioni.
In tutta Italia l’otto di dicembre si è festeggiata Santa Barbara che per noi di Pezzaze ricorda la “Miniera” con tutte le sue conseguenze buone e brutte. Sono rimasto molto amareggiato per la scarsa partecipazione sia alla Messa celebrata dentro la miniera che al pranzo, poichè ritengo (e sfido chiunque a smentirmi ) che tutte le famiglie di Pezzaze abbiano avuto uno che ha lavorato in miniera sia in Italia che all'estero e pertanto la ricorrenza dovrebbe essere molto sentita anche per ricordo dei propri avi che con il loro lavoro hanno permesso di avere tutto quello che abbiamo ora, e proporrei (se possibile ) di avere Santa Barbara come patrona di Pezzaze.
Un rimprovero anche all'Amministrazione Comunale che non si è degnata di presenziare alla manifestazione. So benissimo che gli amministratori comunali hanno partecipato alla ricorrenza celebrata al Forno Fusorio di Tavernole, ma essere presenti sul proprio territorio ha un altro valore.
Cari concittadini ricordiamoci che quello che abbiamo oggi, come dico sopra, lo dobbiamo a chi ha lavorato in Miniera e anche alle donne che sono andate alle risaie per guadagnare un tozzo di pane, ai carbonai che con immani fatiche anche loro hanno contribuito allo sviluppo del nostro meraviglioso paese, Pezzaze.
Ados Sedaboni |