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Dopo l’otto settembre, contro la Repubblica di Salò e l’esercito tedesco, tutti i partiti, meno quello egemone, si coalizzarono per combattere i nemici della democrazia, non solo i comunisti, come a qualcuno piace ricordare. I tedeschi avevano motivi razionalmente condivisibili per sentirsi traditi. Questo li portò a considerare gli alleati italiani come dei sottoposti di cui avevano poca fiducia. Mussolini divenne così una pedina facilmente ricattabile, in un gioco dagli esiti scontati. Ma non è mio compito parlare di Storia.
Il mio contributo personale, e il contributo del VALTROMPIASET, alla sottoscrizione voluta dall’ANPI e patrocinata dal Comune di Gardone V.T. che ha messo a disposizione una porzione del parco per il monumento, sta nell’offrire al contributo di 10 euro, un congruo numero di copie dell’antologia poetica frutto del lavoro mio e di un poeta amico. L’intero ricavato sarà consegnato alle persone preposte.
L’antologia ha per titolo “Zimmer frei” e per sottotitolo “Versi dagli avamposti”. Per darvi un’idea sui contenuti vi lasciò alla lettura di uno stralcio dell’introduzione all’antologia curata dalla professoressa Clara Toninelli.
“ …Rimane, … questa, un’opera caratterizzata da due anime, una, esistenzialista, solitaria, in cui l’uomo appare talvolta isolato e alla deriva, l’altra, civile, portata a leggere l’individuo all’interno di un sistema che è, però capace di opprimere la libertà.
Franco Lonati percorre attraverso il divenire della sua anima, i sentieri insidiosi e tortuosi dell’esistenza, con la consapevolezza interiore di essere a volte solo, estraniato, imprigionato in un destino che appare opprimente e a volte con la sensazione di librarsi al di sopra di tutto e di tutti, dove la poesia diventa necessità, autoconservazione, strumento di sublimazione, anche estetica, del dolore di vivere. Il suo verso risulta quindi, spesso volutamente criptico, come se nel mistero della parola si celasse il mistero di un’esistenza, quella del poeta e dell’uomo, che egli invita a scoprire, a cercare, in un dialogo in cui fondamentale bisogno è quello della scommessa della comprensione, in bilico tra il pudore di nascondere i moti del proprio spirito e dei propri dolori, e il sogno di trovare un’anima capace di svelarli, coglierli, consolarli. Lo stile, i temi, l’assoluto della parola nel verso, spesso isolata e senza connettivi, ci richiama al clima poetico alessandrino: le sue immagini sono costellate di richiami all’ape al miele della lirica di Saffo, nel senso che egli non nega l’esistenza dei piaceri, delle illusioni, che stemperano il vuoto del vivere, ma l’essere di tali promesse, effimero, procura una sofferenza lancinante; eppure l’animo non pare capace, né in fondo desideroso di staccarsene, di astenersi dal cercarne la transitoria dolcezza, poiché coglie che in essa vi è vita, non semplice sopravvivenza: se non c’è sistema razionale e universale che possa decifrare i misteri dell’esistenza, dell’amore e del dolore, ciò non significa che l’uomo debba o possa accettare di consumare ciecamente i suoi giorni senza indagare, senza chiedere: la disillusione verrà, questo è certo, è inevitabile, ma ciò non toglie che ci si senta vivi soltanto nell’illusione, nel piacere dell’incontro con l’altro, nella speranza di trovare risposte e segni.
Diversa la voce di Jo Dallera: per lui la parola non è compiacimento, non è specchio tanto dell’anima individuale, sola e spezzata, dell’uomo posto di fronte ad un’esistenza che non offre condivisione, ma è il riflesso di una lettura sociale, civile, di una dimensione più comunitaria, cui appartiene l’immagine dell’uomo non tanto come singolo, quanto come genere, un genere di cui i singoli sono chiamati a condividere le responsabilità, soprattutto nel caso delle scelte più gravi, quelle più critiche, quelle che meno rispettano l’altro. Si avvertono nel profondo, gli echi della poesia di impegno sociale di Neruda, il sarcasmo di Guccini, o l’attenzione agli “ultimi”, ai meno presentabili soggetti di una società patinata, che popolano le canzoni di De Andrè. Anche dalla sua opera si leva la voce di una domanda, sebbene ora non sia rivolta all’uomo esistenziale, bensì a quell’autorità che dell’Umanità dovrebbe essere arbitro, e il pensiero si rivolge più volte alla presenza di Dio, un Dio di cui, però, più che altro si avverte l’assenza, che se c’è, sembra ostinato a rimanere negli intermundia di epicurea memoria, indifferente alla sorte umana e al lamento di dolore che dalla terra si leva”.
Per info e contribuzioni è possibile contattare Joe Dallera (328 1485349 – 030 8980297) o il settimanale VALTROMPIASET (030 8913473) |