Quel linguaggio di cui già Dante e Petrarca seppero descrivere la magia. Se qualcuno ci avrà iniziato ai piaceri della lettura, capiremo come sia bello leggere Dante. I piaceri, appunto. Qualcosa che non sia puramente astratto e intellettuale.
Già Giordano Bruno, nel De magia, parlava di un vincolo potentissimo che c'è nella parola dello scrittore e del poeta. Una forza magica che si insinua nel nostro animo, che lo lega. È questo il vero segreto della letteratura. Sempre Bruno aggiungeva che nei manuali si parla solo delle tecniche, delle figure retoriche. In tal modo però ci si ferma alla superficie, nascondendo quello che costituisce il vero potere del testo.
Sì, forse la lettura racchiude il piacere della riscoperta della magia. Che va attuata oggi più che mai, tempo nel quale abbiamo a disposizione degli strumenti del tutto straordinari che, in pochi minuti, possono sezionare un testo e dirci molte cose che vorremmo sapere.
In effetti, a ben vedere, il computer e le moderne tecniche di comunicazione, hanno modificato l'esperienza stessa della lettura. Nel più profondo. Si potrebbe dire che, per certi aspetti, siamo alla fine di una "èra del libro" che, alle origini, aveva praticato la lettura come un’esperienza etica ed esistenziale di grande spessore.
Certo, c'è l'autore del libro. Quello che ha scritto trova, per così dire, vita e compimento nel momento in cui s’incontra con chi legge. È come se il testo fosse scritto a quattro mani, nel senso che a lui collaborano anche le mani del lettore. Insomma, quella dei testi e dei diversi lettori possibili è uno dei vari modi in cui viene giocata la complessa partita del leggere.
Si può andare di là dalla critica. Inseguire la figura del lettore nella nostra tradizione letteraria. Spiare nei testi. Cercando di cogliere dove lo scrittore celebra la lettura e ne descrive rituali e piaceri.
Un pensiero di Kafka paragona il libro ad una lama affilata che taglia il ghiaccio dell'esistenza. È una metafora che consente di affermare quanto sia importante il possesso di uno strumento per aprire un varco nella comprensione della realtà. Tuttavia, bisogna pur dirlo, imboccata la strada, lo strumento si spunta se manca un metodo. Che deve essere il nostro, autonomo, non dettato dall'esterno (eteronomo), per poter approdare ad un’idea che deve entrare nella vita, nella concretezza quotidiana e dialogare con essa. Un’idea che porti, attraverso la lettura, ad intuizioni forti in grado di generare percorsi di ricerca e soprattutto di cogliere lo slancio che si trasformi in una tensione esistenziale per cogliere la realtà.
Invece, per cercare di cogliere dove lo scrittore celebra la lettura, si potrebbe cominciare proprio da Dante. Vi è una citazione, infatti, che si presenta alla memoria per prima. Quasi con prepotenza.
«Noi leggievamo un giorno per diletto / di Lancialotto come amor lo strinse; / soli eravamo e sanza alcun sospetto. / Più fiate li occhi ci sospinse / quella lettura, e scolorocci il viso; / ma solo un punto fu quel che ci vinse. / Quando leggemmo il disiato riso / essere baciato da cotanto amante, / questi, che mai da me non fia diviso, / la bocca mi baciò tutto tremante. / Galeotto fu il libro e chi lo scrisse: / quel giorno più non vi leggemmo avante». (Inferno, V, 127-138).
Quale più appassionata testimonianza delle parole di Francesca da Rimini, del fascino della lettura? Della sua capacità di incantarci e di rivelare, a noi stessi, i nostri segreti.
Ma è in Petrarca che si costruisce un vero mito della lettura. Del resto, nessuna meraviglia: per lui i libri sono una vera passione. Che egli cerca in tutti i modi di saturare con grande avidità. Ed è proprio Petrarca che ci porta a trovare corrispondenze certe nello scambio fra interno ed esterno, fra testo e corpo del testo, che lo stesso rende visibile tutto ciò che nasconde nella interiorità. È in questo modo che la lettura acquista grande suggestione. E diventa allora incontro fra persone, perché le parole che si leggono permettono di evocare l'altro, di vedere con gli occhi della mente i lineamenti della sua anima. È qui, dove il mito della lettura si incontra e si intreccia, in modo indissolubile, con il mito dell'amicizia.
Ovvio, peraltro, che l'idea della lettura come incontro personale, come dialogo, o come scontro, non conosce limiti di spazio. E di tempo. È per tale motivo che Petrarca tratta come suoi contemporanei gli antichi scrittori: discute e litiga con loro. Lo fa con Cicerone, Virgilio, Seneca, Varrone…
Petrarca vuole dai suoi lettori una totale dedizione. Scrive: «Io voglio che il mio lettore, chiunque egli sia, pensi solo a me, e non stia a pensare alle nozze della figlia, alla notte che ha passato con l'amante, alle trame dei suoi nemici, alla causa in tribunale, alla terra o ai soldi, e almeno mentre legge voglio che sia solo con me». (Fam. XIII, 5, 23). Per Petrarca il tempo della lettura deve essere, dunque, integralmente libero ed egli lo rivendica con un misto di gelosia da innamorato e di bisogno di giustizia. Dice: «Io non voglio che nello stesso tempo faccia i suoi affari e studii, non voglio che si impadronisca senza fatica di ciò che non senza fatica io ho scritto».
La magia della lettura ha dunque leggi proprie: richiede una propria (specifica) fatica che corrisponde a quella dello scrittore e, in un certo senso, la compensa. Richiede, nello stesso tempo, libertà e disponibilità mentale, perché il piacere della lettura non si può comprare e nessuno, per quanto ricco e potente sia, può trovare scorciatoie.
Ermanno Antonio Uccelli
NOTTE IN BIBLIOTECA
Ho perso un terzo delle mie capacità visive, lungo gli infiniti sentieri della lettura. Nel 1962, a dodici anni, frugavo nelle discariche abusive lungo il fiume Mella in cerca di rame, ferro, alluminio. Alla borsa del “rotamat” il ferro valeva 10 lire, l’alluminio 30, il rame 60. A me bastava racimolare le 100 lire per noleggiare in biblioteca 10 libri, che potevo fingere di possedere per 20 lunghi giorni.
Una storia durata molti anni. Spero di riuscire, con i versi che seguono, a comunicarvi l’infinito amore che mi ha legato, e che tuttora mi lega, a quell’oggetto magico che è il libro.
Notte in biblioteca
Poesie agonizzano
nell’arsura della dimenticanza,
racconti sbattono titoli
contro fianchi di cartone,
volumi tentano il suicidio
scivolando da scaffali di legno,
ali rigide, come farfalle in inverno.
È notte in biblioteca.
il dorso teso verso il “Grande Nord”,
Alice danza sui tasti del computer
in cerca del “Paese delle meraviglie”,
strenne per ragazzi si scatenano
in un folle girotondo,
libri orfani di mani
sognano roghi
di televisori ultimo modello,
ma non “Zanna Bianca”,
che rotolato all’aperto
stretto tra gli artigli di un gheppio,
vola, verso l’occhio semichiuso di un bimbo,
che non rinuncia a sognare.
Joe Dallera |