Poi un sabato… Sveglia alle sette, alle otto bisogna essere al punto di ritrovo. Arriviamo puntuali nel piazzale dove dietro ad alcuni fuoristrada ci sono i carrelli con i cani. Stanno dentro a delle casse di legno e quando ti avvicini alla porticina vedi apparire quattro o cinque nasi umidi e mollicci che annusano, e vedi un corpo solo: mutazione genetica! Hanno creato un cane a quattro teste! Nel frattempo si attende che arrivi la notizia della zona di caccia che ci è stata assegnata, ovviamente a sorte, e i cacciatori parlano di storie di caccia, di padelle, di tiri favolosi, di cani persi che tornano anche dopo giorni, di cani feriti da cinghiali, di cani rapiti da UFO. Nell’attesa qualcuno parte e va a “tracciare” cioè va a vedere se nella notte i cinghiali sono transitati dai viottoli verso una certa zona, cercando di capire quanti sono, quanto sono grossi. Arriva il momento di assegnare le poste, ogni cacciatore estrae un numero da un sacchetto e quello sarà il numero della posta per tutto il giorno. Giunta la notizia della zona di caccia assegnata alla squadra, viene stabilito da dove verranno messe le poste, e questo dipende anche da quante poste siamo; il resto della zona la dovranno chiudere i canai.
Si parte, una fila di macchine si avvia nella campagna ancora addormentata e molle di rugiada, si arriva al parcheggio che spesso è più uno slargo nella strada, si lasciano le macchine e in fila ci si avvia alle poste cercando di fare meno rumore possibile. Arrivati alla posta, spesso si cerca di tirare su un riparo occasionale con rametti e ginestre, poi si va ad esplorare la zona da tenere sott’occhio, vedere da dove potrebbe passare il cinghiale e prendere dei riferimenti, poi si va a vedere dove è la posta alla nostra sinistra e dove è quella alla nostra destra e ci si mette d’accordo sui punti oltre i quali non sparare <>. Siamo ad una posta sull’argine di un fosso, la vegetazione non è fitta, il sottobosco è rado, c’è l’acqua che fruscia, l’unica cosa che è cambiata da quando ho padellato il bestione è il punto rosso che questa volta non c’è. Inizia la battuta e dopo poco vengono trovati i cinghiali, i canai iniziano a sparare e urlare, la tensione sale, il cuore batte più forte nel petto, sei teso come una corda di violino e fai respiri profondi per cercare di rallentare il battito. Soprattutto pensavo che se anche questa volta lo avessi padellato, beh allora sarebbe stata l’ultima volta che avrei deluso il mio babbo: non sarei più andato a caccia al cinghiale! Si sentono i cani abbaiare e sembrano avvicinarsi sempre di più; una voce sussurra da dietro le spalle <> e io annuisco col capo e le spalle come per dire <>. Bam, bam, bam spara la posta alla nostra sinistra, ma noi non vediamo nulla perché la posta è lontana e coperta da una collinetta. Un attimo di delusione perché il bestione ha scelto di non passare da me. Ma poi sento frusciare e troncare rami e una macchia nera, grande, si sta aprendo una strada tra la vegetazione dall’altra parte del fosso, correndo a più non posso parallelamente a dove sono io: mi trovavo in ginocchio per vedere meglio la zona di fronte a me, con calma miro alla figura nera che corre spedita, bam e il Diavolo Nero rallenta ma non cade, bam ancora e questa volta china il muso e cade in avanti strusciando per due metri nelle foglie. Quando spari con la carabina, il rumore, o suono a detta di alcuni, è violento, secco e forte. Sussurro <> è il mio primo cinghiale!! <> Due pacche sulla spalla, mi giro e questa volta la faccia esprime soddisfazione, contentezza quasi fosse uno specchio perché per me sono le stesse sensazioni. Restiamo ancora fermi immobili nel caso l’animale non fosse solo, ma niente. Quindi attraversiamo il fosso, e dalla sinistra una voce lontana dice..<>.
Il cinghiale è morto, è un maschio sui 60 kg, hai una ferita di struscio proprio sopra la testa, è solo un taglio, giusto quanto basta a farlo infuriare ed andare come un razzo; poi ha un buco nel torace e quello è il mio primo tiro, che non lo ha fermato, poi un buco dietro l’orecchio e quello è stato fatale. Dopo tre minuti dagli spari arrivano i cani, 7 o 8 e si mettono in cerchio ad abbaiare e mordicchiare la bestia che ormai non può più reagire. Un po’ di feste, di carezze e li rimandiamo indietro, verso la zona di caccia, il mio babbo castra il cinghiale, lo lasciamo lì e torniamo alla posta. Alcune ore e la battuta finisce, si va a pranzo e questa volta la versione ufficiale è che ho tirato io. Il signore della posta di sopra che ha tirato per primo ricostruisce i fatti e dice che è lui che lo ha ferito e che il bestione è venuto a morire lì davanti a me, ma i fori della 30-06 sono diversi da quelli di fucile cal. 12 ed all’occhio esperto del capocaccia i fatti appaiono come sono effettivamente andati. Poi alla fine del pomeriggio finisce la battuta e i cinghiali abbattuti, che sono in tutto tre, vengono portati alla casetta dei cacciatori e appesi a dei ganci dove verranno tolte pelli e interiora, alla domenica verranno spezzati in piccole parti per essere poi distribuiti ai cacciatori. Ho conservato il bossolo della cartuccia, ci ho scritto sopra la data e il numero “1°”. Numero uno a cui è seguito il numero due…
Andrea Vanni
(www.ladoppietta.it)
|