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venerdì 22 novembre 2024 | 10:23
 Nr.3 del 01/03/2010
 
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Il rischio? La disumanizzazione
Conseguenza della nostra insensibilità. Spesso le parole sono fallimentari: suscitano immagini e suggestioni e ad esse attribuiamo semplicemente i nostri punti di vista


  


Scriveva qualcuno che «Le parole sono, il più delle volte, oneste bugie». Oppure che «Con le parole si può fare mercato». Sì, penso davvero che con le parole si possa giocare. Mentre, con le azioni, si può cambiare il mondo. O magari, più semplicemente, noi stessi.
Prendiamo la parola libertà, ad esempio.
Sappiamo bene che c'è libertà e libertà: quella della gazzella per sfuggire agli artigli della leonessa, o quella della leonessa di azzannarla? La libertà delle minoranze di manifestare il proprio pensiero o la libertà delle maggioranze di opprimere le minoranze, nel nome della libertà? La libertà degli elettori di liberarsi di un governo, o quella del governo di mantenersi al potere? Poi c'è la libertà "di" religione che non può essere che la libertà "dalla" religione. Perché una persona è davvero libera di scegliere se credere in una religione e in quale, nel caso decida di credere soltanto, se essa è libera da una religione di Stato. Poi c'è la libertà che io chiamo il "Complesso del liberto", perché vivo come un volere imporre la libertà, non richiesti di farlo. Questo (spesso) ingenera nelle persone che si vogliono liberare, un senso di irritazione che confina con l'intolleranza. Perché esse vedono, in tale atto, in questo tentativo di voler loro aprire le anguste porte della libertà interiore, una sorta di colonialismo. Che, come tale, provoca istinti di rivolta. La persona che si impone compiti e oneri del liberatore, in realtà si sobbarca dell'antipatia cocente di coloro che si vorrebbero liberare. È odioso, infatti, dover ammettere di dovere riconoscenza a qualche potente autore della nostra libertà. Lo chiamo il "Complesso del liberto" perché questi chiudeva il conto assumendosi l'onere e l'onore di "suicidare" il padrone che era stato così sublime da regalargli la libertà. Loro, i liberti – gli schiavi liberati –, accettavano il dono, radicandosi però nel desiderio della emancipazione vera: quella della gratitudine.
Ma, per mettersi sul sentiero di voler cambiare noi stessi, dovremmo imparare a non prenderci mai troppo sul serio, come invece (purtroppo) facciamo assai spesso. Oppure capire come fare per non essere presi dalla tentazione di salire in cattedra. O, ancora, cercare di tenere un profilo basso. Molto basso. Consapevoli che il garbo e la discrezione sono valori relativamente apprezzati in un mondo che dà troppa importanza all'esibizionismo. Un campo, questo, nel quale io non so vendermi. Anche se è pur vero che neppure mi interessa. Mi accontento di poco. E di quel poco cerco di proporre una lettura gradevole. Magari inserendo un dettaglio originale per rendere in modo meno ruvido, o un po' più raffinato, una certa atmosfera. Ecco potrei dire che, senza arroganza e con la sola arma della discrezione, cerco di indossare le lenti di una sensibilità sempre rivolta all'aspetto umano piuttosto che alle alchimie della politica. E in un ambiente come quello del giornalismo, dove tutti sgomitano per raggiungere il centro della scena, io continuo a raccontare il mio piccolo mondo fatto di povere e semplici cose. Sempre con un sorriso.
Cerco solo di tenere la schiena diritta ogni volta che prendo in mano la penna. E di seguire la bussola di un moderato orgoglio professionale; nella consapevolezza del mio assai modesto valore di giornalista.

Un monaco del XIV secolo diceva: «Ogni volta che sono stato fra gli uomini, ne sono ritornato meno uomo». Con ciò significandoci che cosa questo voglia dire: non si è umani perché si appartiene a tale specie. L'umanità è una possibilità, un compito assegnato. Da svolgere. Così come – dice una poesia popolare dell'Afghanistan – «La vita non è un problema da risolvere: la vita è uno spazio di tempo da vivere». Un compito anche questo. Da svolgere. Assolutamente. Per quanto arduo possa sembrare, o per quanto in effetti sia.
Orbene, io credo che, a fronte di ciò, l'umanità deve e può essere più umana. Battendo il sentiero dell'amicizia fra gli uomini. E facendo assegnamento nel futuro. Che potrebbe sembrare davvero una utopia. Ma forse non lo è.
C'è una grande preoccupazione: il rischio della nostra disumanizzazione in conseguenza della nostra insensibilità. Dell'essere tutti centrati – solo e unicamente – su di noi. Infatti, per lo più, che cosa facciamo? Continuiamo a fissarci l'ombelico, atrofizzando le vertebre del collo e non riuscendo a rialzare la testa per guardare oltre il cortile di casa. A me pare molto poco. Anzi, pochissimo. Perché credo che la riflessione debba essere un'altra. Che noi, purtroppo, siamo restii a fare. Questa.
Sono migliaia di anni che lottiamo per liberarci della – e dalla – nostra disumanità per raggiungere l'uguaglianza. E ci ritroviamo pressoché sempre allo stesso punto. Il che sembrerebbe deporre a favore di chi etichetta come "utopico" un comportamento diverso da quello in atto (socialmente parlando). Mi chiedo: non sarebbe più intelligente che ciascuno di noi, anziché "dire" tante cose, "attuasse" dei comportamenti diversi dai soliti e, magari, anche migliori? Anziché riportare continuamente indietro le lancette della nostra mentalità, non sarebbe meglio farle avanzare, anche solo di poco? Per dirla tutta, io credo che dovremmo attivarci, tutti insieme, per un futuro in cui coloro che noi consideriamo diversi per razza, cultura, religione e per molte altre variabili, partecipino con noi, assieme a noi, alla vita quotidiana. Per un futuro in cui siano nostri pari. È indubbio che questa sia una questione di mentalità da plasmare in vista del domani. Un domani che, purtroppo, si protrae – per nostra manifesta (ma non dichiarata) insipienza – da troppo tempo.
Perché se proprio vogliamo continuare ad essere così egoisti, meglio, molto meglio secondo me, che impariamo ad esserlo, anziché con le persone, con la Natura. Che ci conviene salvare. Perché ne abbiamo bisogno. Non solo in quanto ne facciamo parte, ma perché essa è indispensabile al nostro benessere. Invece pare proprio che ciascuno di noi afferri subito le implicazioni di problemi come l'inquinamento, oppure il riscaldamento globale perché sono eventi che ci colpiscono direttamente. Mentre le conseguenze della distruzione dell'ambiente naturale, o quella dell'estinzione di specie viventi, non sono così immediate e dirette. Pur essendo, tragicamente, irreversibili. È vero, è difficile che ce ne rendiamo conto, ma ad essere in gioco è il nostro futuro. Sarà bene che ce ne ricordiamo. Perché tutto sembra ovvio: a parole tutti amano la natura. Ma poi, in realtà, nei comportamenti…


Ermanno Antonio Uccelli


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