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Cinquantotto anni, due metri di uomo, chissà quanto sarà lunga la sua ombra sui ghiacci artici? Il sole gl'illumina il viso mentre – incurante del sopraggiungere della notte – continua a camminare svelto e compassato verso il suo obiettivo, a ovest, da Knik a Nome.
Entrando nel villaggio di Iditarod, “luogo lontano” nella lingua indigena, Roberto Ghidoni ha percorso solo 800km, gliene mancano altrettanti per giungere all'arrivo.
Dalla sua piccola tenuta agricola di Ludizzo a Bovegno, nel 2000, parte per la sua prima Idita Extreme: era rimasto folgorato dalla natura selvaggia e padrona dell'Alaska, dall'idea di affrontarla senza barare. All'esordio fu terzo, poi arrivarono 5 vittorie consecutive sulle diverse distanze (dai 560 ai 1800km). L'idea di partire per l'Alaska era del 1999, ma era frutto di una scelta di 30 anni prima, quando Roberto ventitreenne abbandonò gli studi d'ingegneria a Milano per camminare nella natura.
La prima volta all'Idita Rod fu legata alla volontà di esprimere un corpo e un'anima, le successive esperienze in Alaska furono dettate da profondo innamoramento.
Il via dell'edizione 2005 dell'Idita Trail fu dato il 28 febbraio 2005, esattamente 5 anni prima dell'iniziativa voluta dai ragazzi dell'oratorio di Gardone V.T., che hanno riempito il salone Esodo per incontrare Roberto e guardare con lui il documentario “Tracce” (regia di Marco Preti e prodotto da Fabio Rizzinelli).
Roberto sa che la gara era importante, ma che c'era qualcosa di più profondo. È un atleta, ma anche una persona intellettualmente irrequieta, la cui reintegrazione alla normalità è ormai impossibile. Ora ha occhi nuovi per interpretare il quotidiano, ha una visione panteistica della realtà, ha imparato che il silenzio è un linguaggio di spessore, che è importante arginare il rumore.
Ha sviluppato un pensiero chiaro sulla presenza dell'uomo nella natura. Storicamente è il sistema ecologico a condizionare il nostro pensiero; oggi invece il sistema culturale condiziona l'ecologia: i progressi della scienza sono senz'altro positivi, sebbene gli uomini non siano stati capaci di valutarne le conseguenze e di gestirli al meglio. Nell'uomo c'è il seme della distruzione, ma anche la possibilità di garantire la vivibilità del nostro mondo; cita il frate trappista Thomas Merton che ricordava come “la vita sfugge tra le nostre mani; ma può sfuggire come sabbia o come semente”.
Non ha la presunzione di insegnare qualcosa: “Se dicessi che corro per lanciare un messaggio sarei ipocrita. Ma sapere che la mia corsa lascia un messaggio mi fa un gran piacere”.
Su di lui sono state prodotte alcune opere notevoli, oltre a “Tracce”: il video "Running Wolf" sempre di Marco Preti; la raccolta di poesie "La leggenda di lupo che corre" di Jo Dall’era, Leo Campanella e Mahem Pintossi; la canzone "La via granda" di Charlie Cinelli nell'album “Nom e Cognom”.
Tito Tiberti |