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Ciascun personaggio è titolare di una propria peculiare menzogna del vivere. Che è fatta di impostura, millanteria e corruzione. Ciascuno lo è con una sua autentica schiettezza. Tuttavia l'esito è una specie di provvidenza alla rovescia: tutto congiura alla vittoria del male. Di un male senza grandezza e senza banalità. Di un male ordinario e contagioso. Di cui neppure più ci accorgiamo. Ben lo diceva Franz Kafka, negli "Aforismi di Zürau": «Una volta accolto in noi, il male non chiede più che gli si creda».
In una quotidianità svelta, avvincente, essenziale, siamo avvolti dai conflitti più volgari e indecenti, equivoci e disonesti. Meno male che, in mezzo a tanto sfacelo, esistono ancora persone che scuotono la testa, si asciugano gli occhi e si mettono a sgomberare, ogni volta di nuovo, le macerie.
Quelle dei rapporti con le persone, intanto. Rapporti, relazioni, fra le persone, che io ritengo la cosa più difficile da vivere nella vita. Più difficili in assoluto. Poi, dopo aver sgombrato queste macerie, si passa a quelle delle questioni di ogni giorno. Che, molte volte, costituiscono veri e propri problemi. Che andrebbero risolti. O almeno così è la vita, per quel pochissimo che, di essa, io ho capito. Anche se, ripeto, di certo è il rapporto fra le persone il banco di prova che fa emergere, per ciascuno di noi, fragilità, vulnerabilità e limiti.
Prendiamo la discrezione, ad esempio. Se mai c'è stata, è certo che ora non c'è più. La necessità di farsi vedere, di esserci (non importa per che cosa), di urlarlo al mondo in tutti i modi possibili messi a disposizione dai mass media e dalle moderne tecnologie, fa presa su ciascuno di noi. È sparita (ormai nel modo più completo) la necessità di esserci senza farsi notare. Così come la discrezione. Annullata l'importanza profonda del "vivi nascosto" di epicurèa memoria. E, con essa, il tono di voce pacato, posato, neutro: impèra il do di petto. Insomma, è sparito il desiderio di muoversi con misura. Che è, ormai, lo stile di davvero poche persone. Le più, sono disposte a tutto. Persino ad annoiarsi e ad annoiare. Tutto, pur di dare disturbo. O peggio, pur di scandalizzare.
Oggi, vivere nascosti, potrebbe apparire uno stile di comportamento vecchio, azzimato e forse ipocrita, ma a ben guardare nel bailamme in fondo così decadente del nuovo protagonismo a tutti i costi, delle gomitate per farsi notare, dei toni striduli, delle volgarità sdoganate come segno di esuberanza, ciò che manca a me pare sia proprio la pacatezza, se non altro come controcanto gentile e umile alla quotidiana nervosa eccitazione.
Pacatezza come cosa buona e saggia, dunque, perché le cose siano lasciate in ordine. Anche se è doveroso e necessario che ognuno scelga la sua strada secondo ragione, forza dei sentimenti, inclinazioni: passione o gratitudine, affetto o sperdimento, felicità o serenità.
Scegliere, lo sappiamo, vuol dire rinunciare, quindi perdere una parte di sé, pertanto soffrire in ogni caso. In breve, sappiamo che scegliere è conflitto. Perciò, più che mai vale (o varrebbe) la regola (non scritta) di relazionarsi alla vita con discrezione e pacatezza. Così come a quelli che, in modo inevitabile, percepiamo come problemi. Pacatezza e discrezione a me paiono variabili che possono segnare un percorso di vita dignitoso ed equilibrato. Perché non si tratta di estraniarsi dalla vita quotidiana per cercare una idealistica quanto illusoria tranquillità, ma di attraversare e affrontare il viaggio della vita in modo diverso. E, inutile dire, uno stato d'animo interiore ricco di energia, armoniosa e stabile, non può che essere (qualcuno ne dubita?) un prezioso compagno di viaggio.
Molte volte (se non quasi sempre), cerchiamo di comprendere la vita e noi stessi utilizzando la mente. Che racchiude le conoscenze acquisite e le esperienze vissute. Quando va bene, forse, riusciamo a raggiungere piccoli lampi di comprensione.
Stiamo parlando dell'aspetto psicologico, naturalmente, non di quello legato alla conoscenza pratica del vivere le cose del nostro quotidiano inerente il lavoro e le mille cose che agitano la nostra giornata.
Le profondità dell'inconscio sono insondabili… a meno che non si faccia ricorso allo strumento adatto a penetrarli. I pensieri, a milioni, sfrecciano come meteore: a volte leggeri, chiari, luminosi; più spesso cupi, pesanti, oscuri… I ricordi (tanti) che si sedimentano per riemergere…; molte le emozioni con i loro terremoti, tempeste o albe radiose… Insomma, una visione molto parziale della vita, quella della mente. Visione che, forse, andrebbe invece vissuta con la comprensione del suo intero movimento. Che, quindi, non sia quello della mente. È proprio qui, allora, che la pacatezza e la discrezione possono aiutarci a non venir sballottati da uno stato d'animo ad un altro in maniera confusa. Certo, non vi è dubbio che, l'ambiente in cui viviamo, con le sue pressioni e le sue convenzioni, ci bombarda quotidianamente con migliaia di stimoli, con ciò creando agitazione ed eccitazione. Gli stati d'animo, che ne derivano, influenzano i nostri pensieri che si traducono poi in parole e azioni spesso contorte e condizionate. Che sono null'altro che semplici reazioni alle circostanze. Parole e azioni che sono spesso, se non sempre, comunque, conflittuali.
Sarebbe pertanto fondamentale che imparassimo a guardare (e a vedere) questo movimento vitale con uno sguardo lucido e limpido, affinché la scena sulla quale ci muoviamo venga illuminata senza che la mente intervenga con i suoi meccanismi di giudizio, di confronto, di paragone che ci imprigionano in ansie, disagi, paure e stati depressivi.
A me pare, pertanto, che la pacatezza e la discrezione costituiscano il terreno dove, in modo spontaneo e senza sforzo, possano fiorire l'umiltà, la compassione e la bontà. E il terreno ideale in primo luogo, inutile dire, è sempre dentro di noi. Sempre.
Ermanno Antonio Uccelli
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