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L'attuale situazione di crisi economica ci impone oltre che ricercare nuovi e più incisivi metodi di sviluppo, di metter mano a riforme strutturali che consentano di vincolare le già poche risorse pubbliche all'ottenimento dei risultati attesi.
Si tratterebbe in sostanza di attuare una prassi consolidata nell'economia privata dove investimenti di risorse economiche e umane sono prima programmate e successivamente analizzate in termini di risultati.
Certo, l'impresa pubblica differisce da quella privata non solo per la provenienza delle risorse, per lo spirito dell'intrapresa, spesso per la loro connotazione e oggetto sociale, ma anche (e questo è il punto) per il cosiddetto rischio d'impresa.
Un'impresa pubblica, che utilizza quindi risorse della collettività, non solo non “rischia” alla pari di quella privata, ma spesso gode di benefici che falsano la concorrenza del libero mercato. La siderurgia, la chimica, l'alimentare, ci hanno insegnato quanto il pubblico riesca ad essere fallimentare al di là delle più pessimistiche previsioni e aggiungerei della umana decenza.
Ma è curioso, (forse il termine esatto è vergognoso), il modo con cui la nostra società distingue l’imprenditore pubblico da quello privato di fronte all'insuccesso
Il primo viene nominato in altra società di pari o maggior importanza, gratificato con una congrua buona uscita e i debiti dell'impresa vengono ripianati, nella speranza che il successore sappia fare meglio (leggi sia più fortunato).
Quando un imprenditore privato, fallisce nel suo progetto, non solo perde tutto quello che ha, ma è additato dall'opinione pubblica come un “fallito”, gli viene preclusa una “seconda possibilità”e da quel momento in poi porterà il marchio del suo fallimento.
Emblematica la cronaca degli ultimi mesi dove un manager, un artigiano e un piccolo imprenditore, si sono tolti la vita non sopportando l'idea di licenziare i loro dipendenti, consci che la società moderna non concede sconti, ed è pronta ad acclamare falsi miti, ma al tempo stesso a giudicare senza riserve.
Non è quindi ora, di riconoscere il ruolo che hanno avuto quelle migliaia di imprenditori piccoli e grandi, nel far crescere il paese prima di doversi arrendere?
Non è quindi ora, di verificare come le risorse pubbliche vengono impiegate, impedendo agli incapaci di continuare a fare danni? E se proprio insistono...LO FACCIANO CON I LORO SOLDI!
Dott. Enrico Mattinzoli
Presidente Associazione Artigiani |