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 Nr.10 del 17/05/2010
 
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L'anniversario di Chernobyl
Alla fine dello scorso mese di aprile, sono stati 24 anni da quando è successa la tragedia di Chernobyl. In Ucraìna. Ucraìna è nome in uso dal Cinquecento. Significa "confini", perché questa terra divenne una marca di frontiera fra i dominii polacco-lituani, moscoviti e tatari.


  


Era il XVI secolo. Alla fine del Cinquecento i cosacchi (dal turco kazak, libero) diedero vita a numerose rivolte. Che gettarono le basi della identità nazionale ucraìna. Nel 1686 Kyjiv entrava a far parte dell'impero russo. Nel 1920 l'Ucraìna si trasformò in una repubblica socialista sovietica. E, tre anni dopo, diventò parte integrante dell'Urss. Dal 1941 al 1943 l'Ucraina venne occupata dai tedeschi e sottoposta alla loro amministrazione. Una parte della popolazione collaborò con il regime nazista. Stalin accusò la nazione di tradimento. Scattò la repressione. Che si rivolse in particolare contro la comunità ebraica la quale venne deportata nei campi di concentramento.
Per 24 anni Chernobyl è stata blindata nella vergogna e nel mistero. La centrale e l'area di 30 chilometri attorno ai reattori è rimasta sigillata perché le radiazioni sono ancora molto alte. Non bisogna toccare nulla.
Nella notte fra il 25 e il 26 aprile si sta effettuando una manutenzione all'unità 4. Una operazione consueta. Una diminuzione di potenza controllata. Ad un certo punto la situazione sfugge di mano. Alle ore 12:28 minuti, l'unità 4 sta andando fuori controllo.
Alle ore 1:23 minuti, una prima esplosione libera vapore. Una seconda esplosione fa uscire il materiale radioattivo: fuoco, fumo e materiali incandescenti vengono sparati nel cielo ucraìno. I venti lo trasporteranno in mezza Europa.
In pochi secondi si è scatenata l'apocalisse. Nei quali i pompieri (a mani nude e senza protezioni) e poi i militari, tentano di domare le fiamme. Questi ultimi sono passati alla storia come "liquidatori". Una catastrofe che durerà dieci giorni.
Trentasei ore dopo l'esplosione la decisione di evacuare la zona di Pripyat, a tre chilometri da Chernobyl. Dalla capitale Kyjiv, partono mille autobus che portano via 130 mila persone. Abitano tutte in un raggio di 30 chilometri intorno alla centrale. Viene spiegato loro che sarà solo per qualche giorno. Nessuno tornerà più.
Pripyat è una città fantasma: una ruota panoramica svetta, lugubre e arrugginita. Tricicli e panni stesi sui balconi. Giocattoli abbandonati. Scuole vuote. Edifici invasi dalla vegetazione. Tutti luoghi preda del degrado.

Una pianura posta in mezzo ad una vasta vegetazione. E una strada: la statale E 40. Risalendola da L'viv (Leopoli) verso Kyjiv, arrivati in prossimità di Zhytomyr si prende una strada che si addentra nel territorio circostante Chernobyl. Strade deserte. Boschi scuri e villaggi distanti chilometri dalla strada. Non si incontra nessuno: né auto né camion. Insomma, un vuoto umano totale e si viene presi come da una sorta di straniamento.
All'improvviso, due sbarramenti di polizia. Uno riferito a Chernobyl. La zona è area vietata. È contagiata e vi si può accedere solo con un permesso speciale. Nessuno vi potrebbe entrare. In teoria. In pratica la gente locale ci va quando vuole. Perché coloro che vivono qui, abitano da sempre queste terre di confine tra l'Ucraìna e la Bielorussia; qui sono nati e cresciuti. Da qui se ne sono andati dopo l'esplosione e qui sono tornati.
Slavùtich è una cittadina di circa 60 mila abitanti ai margini dell'area vietata. È qui dove si sono trasferiti tutti gli abitanti di Pripyat, quando si sprigionò la reazione nucleare. All'interno e subito nell'àmbito del perimetro dei trenta chilometri, gli alberi e gli arbusti selvatici stanno inghiottendo tutto.
Sempre percorrendo la strada che porta a Kyjiv, in luoghi fittamente boscosi e rivestiti da fogliame lussureggiante, si incontrano lunghi casamenti vuoti. Vetri rotti a tutte le finestre. Tutte le porte sono state rubate. È bene non toccare nulla. Perché anche la polvere è radioattiva. Nessuno ha mai creduto che la fascia dei 30 chilometri istituita dalle autorità per circoscrivere la radioattività, fosse davvero efficace in termini di impermeabilità.
Quando avvennero le due esplosioni nel reattore numero 4, si liberarono tonnellate di magma. E anche di gas tossici. Il mondo non sapeva nulla. La prima notizia venne data due giorni dopo. All'interno, la censura persisteva. Crudele e imperterrita.
Erano gli anni in cui la censura sovietica funzionava ancora. E bene. Perché l'Ucraìna, nel 1986, era ancora sotto la dipendenza dell'Urss. Ciò fu grave; ma molto più grave fu che si attesero ben otto giorni per somministrare lo ioduro di potassio. Questo farmaco, se preso subito, avrebbe saturato la tiroide. Impedendole, così, di assorbire lo iodio radioattivo. Questo avrebbe salvato molte vite umane. Soprattutto di bambini. Colpiti da cancro alla tiroide e da leucemie.
Migliaia i morti. Quattromila, secondo l'OMS. Molti di più secondo studi scientifici di Germania, Gran Bretagna, Ucraìna, Scandinavia. Diecimila anni il tempo per il quale la terra ucraìna resterà contaminata. Un disastro vero e proprio. Una tragedia. Che ha interessato un territorio di 155 mila kmq tra Ucraìna, Russia e Bielorussia. E che ha coinvolto più di sei milioni di persone.

Chernobyl sembra un ricordo. Ma non lo è. Basta nominarlo per rendersi conto che i visi degli ucraìni fanno ben capire che Chernobyl esiste ancora. Anche perché la centrale è stata chiusa alla fine del Duemila; ma, all'interno del reattore, il 95 per cento del materiale radioattivo è ancora attivo. E gli ucraìni lo sanno.

Periferia di Mosca. Cimitero di Mitino. La statua di un gigante veglia su una lunga, ordinata fila di tombe. Difende il riposo eterno di molti dei 600 mila giovani che sono sepolti qui. Il gigante ha la schiena incurvata. Le braccia distese. Dietro di lui si espande una nuvola radioattiva che racchiude simbolicamente l'emblema immaginario della più grande tragedia nucleare della storia. Una figura simbolica posta strategicamente dove finisce l'Unione europea e dove iniziano i paesi dell'ex Urss. Loro, i giovani, sono i likvidatory di Chernobyl.

Là, sotto il sarcofago della centrale, covano ancora resti nucleari con un potenziale radioattivo pressoché invariato. Che significa che solo il 5 per cento del materiale radioattivo è andato disperso con l'esplosione. La "zampa di elefante", come viene chiamato quel mix di ferro, cemento armato fuso, stronzio e uranio che costituisce il cuore del reattore esploso, ha dovuto essere disinnescata e seppellita. Per farlo sono stati impiegati più di 600 mila giovani soldati. Ognuno passava velocemente sul bordo del cratere e gettava una palata di terra. Con tre uniche certezze: l'esposizione alla radiazione, per quanto breve, poteva essere fatale. Secondo, alla fine del rischio, un misero compenso. E, terzo, una medaglia.
Sono passati 24 anni, da allora. Da quel loro sacrificio. E il sarcofago mostra chiari e evidenti segni di cedimento. Perdipiù, sotto la sua struttura, si è formato un deposito di acqua piovana. Contaminata, inutile dire. Si teme (fortemente) che il mantello possa cedere a causa di un nonnulla: una nevicata più forte del normale; una, anche piccola, scossa di terremoto…
L'ex presidente dell'Unione Sovietica Mikhail Gorbaciov ha detto che la tremenda lezione di Chernobyl non va scordata. Mai. Anche per le sue terribili conseguenze: l'ONU parla di 4000 vittime. Per gli ecologisti fu una strage: quando esplose il reattore numero 4, si sprigionarono nell'atmosfera 50 tonnellate di materiale radioattivo. E quante persone ancora moriranno per i veleni assorbiti allora? Ai 4000 morti Onu, risponde il Centro Internazionale della ricerca sul cancro: i morti salgono a 16 mila. Per l'Accademia delle Scienze di Mosca, solo in Bielorussia – verso cui i venti spinsero enormi quantitativi di sostanze tossiche – si registrerebbero attualmente 270 mila casi di tumore attribuiti alle radiazioni. Di questi, 93 mila dovrebbero avere un esito fatale. Cifre contrastanti. A volte contraddittorie. Sempre raccapriccianti.

A chi dice che Chernobyl è stato soltanto un incidente e non una catastrofe si risponde: «Degli oltre 600 mila likvidatory – tecnici, pompieri e soldati – che dall'Ucraìna, Russia e Bielorussia furono spediti a Chernobyl per tentare di arginare il disastro, 45 mila sono morti. E 120 mila sono rimasti gravemente invalidi».
E, ancora, l'Accademia delle Scienze di Mosca cita i dati di una ricerca secondo la quale, tra il 1990 e il 2004, la nube radioattiva avrebbe ucciso 67 mila persone. Solo in Russia.

Come districarsi fra questi numeri, valutazioni discordanti e previsioni nefaste? A 24 anni da quello scoppio, due cose sono certe: ogni anno, nell'Ospedale oncologico di Kyjiv, arrivano – e vengono ricoverati – oltre duemila bambini. L'abbiamo saputo da una fonte attendibile fra Kyjiv e il confine bielorusso. Seconda cosa: la maggior parte dei dati sono sotto chiave negli archivi di Mosca. La quale li considera segreti di Stato. Quindi inaccessibili all'Ucraìna, teatro della tragedia. Che, nel 1991, divenne indipendente.

Ermanno Antonio Uccelli


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