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Anche quest’anno si svolgeranno le celebrazioni della Resistenza. Il modello che seguono è spesso stantio, fra il rituale istituzionale e la commemorazione di una parte che forse ci crede ancora, ma che ha perduto da lungo tempo il senso e la prospettiva del fenomeno storico e politico complessivo che ha segnato la storia d’Italia nel tornante fra gli anni venti e gli anni cinquanta,
Ci permettiamo di proporre un modo diverso di ricordare/celebrare questa importante scadenza della nostra storia del XX secolo tramite la lettura di un notevole volume, appena uscito, dello storico bresciano Mimmo Franzinelli, Il delitto Rosselli. 9 giugno 1937. Anatomia di un delitto politico (Mondadori, 2007, € 18,50).
Si tratta di un lavoro che per il suo rigore storico, in particolare la presenza di fonti originali mai studiate prima, e per la presenza di un modello interpretativo agile, secco e insieme rigoroso, si impone alla attenzione della opinione pubblica che sia interessata a ripensare criticamente le fasi che costituiscono la premessa del fenomeno militare della Resistenza ed anche alcuni aspetti della fase di fondazione della Repubblica, su cui forse non si è sufficientemente fermata l’attenzione dei più abbacinati, come erano allora i partiti della sinistra e come poi è stata gran parte della cultura che ad essi ha fatto riferimento, dal successo di massa del movimento resistenziale.
Ma cerchiamo di fare i conti con il libro del Franzinelli.
Sappiamo che fra le figure mitologiche dei martiri del movimento antifascista accanto ai vari Matteotti, Gramsci, Gobetti, Amendola, un loro posto, forse minore rispetto alla iconografia della cultura di massa, è occupato dai fratelli Carlo e Nello Rosselli.
Si tratta in questo caso degli eredi di una tradizione familiare alta che si innerva non solo nelle radici della cultura ebraica italiana, che ha dato alcune fra le figure più significative al risorgimento e alla prima fase del periodo unitario, si pensi al sindaco di Roma Ernest Nathan, e che ad esempio ha visto morire, in una casa di famiglia, Mazzini ritornato in Italia sotto falso nome. Insomma, una famiglia della ricca borghesia liberale profondamente intrisa di ideali risorgimentali e “democratici” che vede i fratelli Rosselli, Aldo e Carlo, partecipare come volontari alla Grande Guerra. Anzi il primo, volontario di guerra, cade, come si diceva allora, “sul campo dell’onore”.
Nel dopoguerra Carlo e Nello, il più giovane dei tre fratelli, pur con prospettive diverse, il primo con un forte spirito di partecipazione sociale e politica, il secondo più appartato e dedito a studi risorgimentali, vivono in modo estremamente intenso le contraddizioni che travagliano la società italiana: d’un verso l’incapacità dei socialisti di comprendere il senso del sacrificio vissuto dai militari e delle contraddizioni indotte dalla guerra e dall’altro il rapido processo di involuzione di quei movimenti nazionalistici che, come il fascismo, partendo da rivendicazioni di natura nel complesso attente ai bisogni del sociale, assumono ben presto un volto autoritario e violento.
Il momento di svolta nella vita di Carlo Rosselli è costituito dall’assassinio di Giacomo Matteotti nell’estate 1924 e dal successivo giro di vite di Mussolini che, superando le ultime remore legalitarie, avvia un processo di rapida definizione della sua ristrutturazione autoritaria dello stato, tramite la fascistizzazione del paese.
Per Rosselli e per molti come lui, intellettuali e semplici militanti di base, la trasformazione definitiva del regime in dittatura segna lo smascheramento del progetto politico di Mussolini e avvia un processo di riorganizzazione delle forze politiche maturato anche di fronte alla presa di coscienza del fallimento della classe dirigente liberale e socialista che, dopo la scelta dell’Aventino e l’attesa di un intervento, che non è arrivato, del Re, mostra, in modo definitivo, la sua obsolescenza politica. Si tratta di prendere un’altra strada e Carlo Rosselli, che è per sua fortuna ricco, decide di utilizzare parte dei beni di famiglia per avviare questa lotta. L’inizio è costituito dalla pubblicazione fra il 1925 e il 1926 di due riviste, Non mollare e Quarto stato, che hanno la funzione di risollevare e ricostruire le linee di una opposizione che non è solo battuta ma anche scorata. Questo lavoro ingrato si scontra però con difficoltà crescenti, l’occhiuta presenza della polizia fascista rende difficile la vita di queste riviste e Rosselli si convince che solo passando all’azione, con una serie di colpi di mano che possano scuotere l’opinione pubblica, è possibile innescare un processo di disgregazione del regime. In questa prospettiva viene realizzata la spettacolare liberazione del decano del socialismo italiano Filippo Turati, che fugge in Francia. Il successivo arresto vede Carlo incarcerato a Ustica e poi a Lipari da dove fugge con Emilio Lussu e Francesco Fausto Nitti; li attende la Francia e Parigi.
Carlo Rosselli si aspetta qui una vitale attività politica da parte della concentrazione antifascista e invece scopre che i partiti e i militanti esuli in Francia sono divisi da beghe e conflitti insuperabili che ripetono i vetusti schemi che hanno, almeno in parte, favorito la salita al potere di Mussolini. Come conseguenza Carlo viene preso da quello che Franzinelli chiama un “attivismo irrefrenabile” che lo porta a dare vita al movimento Giustizia e Libertà e a cercare di stimolare così la morta gora dell’antifascismo italiano. Pur dalla sua prospettiva social-liberale Rosselli inizia a parlare della necessità di un “movimento insurrezionale in Italia”, del fallimento storico di un’intera classe dirigente borghese e arriva perfino a teorizzare la liceità del “tirannicidio”, cercando di dare a Giustizia e Libertà una struttura militare accanto a quella più specificamente politica.
Fin qui è il classico modello della prima fase, quella più ardua, della Resistenza al quale siamo nel complesso adusi: volitività individuale, sacrifizio, sofferenze, attesa dei nuovi sviluppi della storia...
Ciò che il libro di Franzinelli mostra, con grande ricchezza di dati, è però un aspetto che, se non erriamo, è stato spesso sottaciuto dagli storici della Resistenza, ovvero la capacità del servizio segreto fascista di infiltrarsi fra gli esuli, arrivando ad avere di essi informazioni precise perfino sui piani più segreti. Può darsi che questo non toccasse in modo così radicale il Partito Comunista d’Italia, ma per Giustizia e Libertà è un dato fin sconvolgente. Il numero dei doppiogiochisti, delle spie, dei falsi amici che circondavano Rosselli è impressionante: perfino i fiduciari di Rosselli, a cui egli dava somme rilevanti per sviluppare le varie attività politiche, erano spesso uomini dell’Ovra. Fra tutti i casi forse merita di essere ricordato quello di Enrico Bricchetti, bresciano di buone frequentazione e imprenditore che, fiumano della prima ora, diventa spia fascista, amico e confidente di Rosselli arrivando, estremo paradosso, perfino a comandare, in sua vece, per un certo periodo, un battaglione delle brigate internazionali “Matteotti”, che operano contro i fascisti in Spagna.
È proprio la guerra civile spagnola che costituisce per Carlo Rosselli il momento più alto della sua elaborazione politica; infatti egli si rende conto, e lo enuncia esplicitamente da Radio Barcellona, che ciò che sta avvenendo in Spagna apre prospettive tragiche per il resto dell’Europa, quali lo spettro di una nuova guerra mondiale, ma anche importanti per chi lotta contro il fascismo. La formula di Rosselli è: “Oggi in Spagna domani in Italia”; e sull’onda di questa intuizione Giustizia e Libertà, soprattutto dopo la vittoria repubblicana della battaglia di Guadalajara, che vede i “volontari” fascisti cedere di schianto e arrendersi a centinaia, può realizzare una campagna di stampa contro il fascismo, mostrandone le miserie e le contraddizioni, in particolare il fatto che i “volontari” fossero per la più parte poveri proletari mandati a morire come vera e propria “carne da macello”. E’ proprio il successo di questa campagna, certo successo relativo ma che mostra all’Europa liberale il volto nascosto del fascismo che, secondo la ricostruzione di Franzinelli, costituisce il motivo ultimo e più forte della decisione che all’interno dell’apparato fascista viene presa di eliminare l’esule.
Chi vuole eliminare Rosselli? La risposta sembra abbastanza facile: sono Galeazzo Ciano, che ha caldeggiato la spedizione in Spagna, e la “corte” che lo circonda, che spera di ottenere da questa azione una serie di benemerenze dal “delfino” del regime, nelle persone di: Santo Emanuele, Roberto Navale e Filippo Anfuso. Si tratta di nomi che rappresentano quel sottobosco del potere che si è per la più parte confuso, con il passare dei decenni, nelle pieghe della nostra storia e che bene fa Franzinelli a riportare, sia pure per un momento, sulla scena della nostra memoria. Sono essi che trovano il modo di scambiare la vita di Carlo Rosselli con un centinaio di carabine semiautomatiche Beretta, (sì, avete capito bene, della premiata ditta valtrumplina!), e qualche migliaio di bombe a mano di una piccola ditta piemontese.
Coloro che ambiscono ad avere tali armi e sono disposti a tale vile baratto sono gli esponenti di un movimento dell’estrema destra francese, la Cagoule, gli Incappucciati, una strana organizzazione con elementi che ricordano il Klu Kluh Klan, e che negli anni Trenta in Francia gode di un momento di triste popolarità. Si tratta di borghesi, grandi imprenditori, liberi professionisti, impiegati e soggetti della criminalità comune che trovano una loro unione ideale nell’antibolscevismo, nell’antisemitismo e nella lotta alla massoneria. Sono alcuni dei loro sicari che il 9 giugno 1937 riescono ad uccidere Carlo e Nello Rosselli. Lasciamo al lettore il macabro piacere di scoprire le modalità di tale assassinio e di ammirare anche una serie di foto d’archivio originali, che Franzinelli riesce a recuperare per snebbiare la nostra memoria.
Poi la guerra inghiotte tutto. Il processo in Francia viene rimandato sine die e nel dopoguerra alcuni degli assassini si riciclano come antifascisti, ottenendo il perdono di De Gaulle, altri vengono protetti da Francois Mitterrand, che da giovane era stato simpatizzante dell’estrema destra, e infine altri terminano i loro giorni, spesso in una condizione di benestanti borghesi, nella Spagna di Franco o nel Sud America golpista. Per la Francia il caso Rosselli è e rimane nel complesso un caso italiano.
La parte del lavoro di Franzinelli che merita più attenzione, e che costituisce insieme la parte più sconsolante, è costituita dall’ultimo capitolo in cui viene analizzato, con dovizia di dati, il modo in cui dal 1944 in poi l’incapacità del ceto politico postresistenziale e la volontà della magistratura fanno sì che gli assassini dei fratelli Rosselli restino impuniti. E’ una pagine tragica, che forse spiega tante cose su avvenimenti più recenti, da Piazza Fontana a Piazza Loggia..., e mostra il perverso intreccio fra un maldestro uso politico della giustizia e un colpevole uso conservatore, per non dir peggio, della magistratura.
I fatti sono relativamente semplici: Mario Berlinguer, il padre del leader del PCI Enrico, nel 1944 avvia un procedimento di epurazione contro una serie di presunti criminali fascisti; fra essi troviamo Mario Roatta, generale massacratore di sloveni nel 1943, Francesco Jacomoni, responsabile della politica fascista in Albania e presunto attentatore alla vita dell’ex re Zogu, e i responsabili del caso Rosselli. Si tratta evidentemente di un processo insieme semplice e difficile, semplice se si volesse una soluzione esemplare, difficile se si è in Italia. Così, per esempio, il generale Roatta, pur sotto stretta custodia, riesce nel marzo del 1945 a fuggire in Spagna. Successivamente, grazie anche alla amnistia Togliatti, tutto si risolve in una bolla di sapone. Vengono comminate alcune condanne lievi che poi sono di volta in volta diminuite fino a che, nel 1949, l’ultima sentenza ha il coraggio di parlare ancora di “torbido mondo del fuoriuscitismo internazionale...” come uno dei possibili scenari del delitto.
Aldo Garosci, storico e amico di Carlo, ebbe a scrivere, nell’ormai lontano 1948, che le sentenze del caso Rosselli erano la testimonianza irrefutabile del fallimento degli antifascisti come ceto di governo. Una analisi lapidaria forse non adeguatamente compresa...
Certo è significativo che uno dei principali responsabili del delitto Rosselli, Filippo Anfuso , il più nazista dei fascisti all’interno della diplomazia del regime, non solo riuscì a ottenere alla fine una totale riabilitazione, ma entrò nel parlamento della Repubblica nelle file del MSI e, ritornato nella sua natia Sicilia, ebbe a scrivere al fratello: “I zuardi, compresi quelli di obbedienza comunista, mi hanno baciato la mano”.
Come ebbe a scrivere Tomasi di Lampedusa: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.
Giulio Toffoli |