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 Nr.10 del 30/04/2007
 
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ARTURO MARTINI


Sig. Direttore

A sessant’anni dalla scomparsa, Milano ricorda l’eclettico scultore Arturo Martini con un’antologia di 100 opere, in gran parte inedite.
Di famiglia poverissima, arrivò nel capoluogo lombardo che eleggerà a sua città d’adozione, a diciassette anni.
Innamorato dell’arte, fu folgorato dalla Grande esposizione al Sempione che lo emozionò a tal punto da decidere di dedicare la sua vita alla scultura.
La sua arte non è una virtuosa virtù, ma un’energia arcaica che attinge al fondo primordiale dell’esistenza. È una conquista calda, feconda, intima, poetica, sarcastica.
Dalla sua scultura che conserva uno stupore fanciullesco sono uscite straordinarie terrecotte di gusto mitico e fiabesco, di grande purezza ellenistica e insieme espressionista.
La mostra di Milano è divisa in due sedi: alla Fondazione Stelline è raccolta la statuaria monumentale, mentre al Museo della Permanente è riassunto il viaggio di un artista volto ad una interpretazione conflittuale, morbida e contemporaneamente aspra dell’arte.
Splendidi La Lupa e le opere dedicate al tema della sete, per le quali trasse ispirazione dagli scavi di Pompei che visitò nel 1931 e che lo indussero a realizzare una serie di figure bocconi a quattro zampe che, rovesciate, sembrano esseri umani.
Scolpì la Pisana d’ispirazione letteraria, Donna al Sole, Donna sulla sabbia, Zingara, Morte di Saffo, la magnifica Donna che nuota sott’acqua.
I gessi di Arturo Martini sono un viaggio intorno al mito: il Ratto delle Sabine, la Morte dell’Amazzone, Salomone, l’Ulisse lasciano trasparire una straordinaria intimità unita a semplicità plastica e vitale.
L’Ercole rappresenta l’immenso stupore del mito.
L’artista si volse all’essenzialità dell’arte etrusca ed alla pietà cristiana che s’intreccia con il mistero pagano, ma dopo gli anni Trenta sorse in lui una certa insofferenza per l’arcaica, primordiale semplicità della scultura statuaria.
Una volta dichiarò apertamente che il suo amore era la musica, ma, essendo di famiglia poverissima, dovette adattarsi alla scultura, detta l’arte dei poveri, poiché gli arnesi per dedicarvisi sono offerti dalla terra.
Dopo la premiazione del 1931 alla Quadriennale di Roma, l’artista ricevette importantissime commissioni di monumenti e di decorazioni pubbliche.
Nell’arco di quarant’anni di attività Arturo Martini guardò a tutti gli stili e reinterpretò tutto con un linguaggio ogni volta diverso, fino alla crisi iniziata nel 1939
che lo spinse a mettere in dubbio l’importanza della sua arte: in un drammatico scritto del 1945 dichiarò che la scultura era ormai lingua morta.
Martini morì improvvisamente a 57 anni a Milano, la città che lo esaltò e che oggi lo onora.

A cura di
Adriana Zagnagnoli


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