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Egidio Bonomi (a dx) ad una presentazione dei suoi lavori |
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Una ricerca porta il titolo “Una vita per gli altri” che narra di don Giovanni Battista Bossini alla sua morte acclamato “El Beàt curadì”, l'altra ricerca è invece dedicata al “Liutaio di Salò”, quel Gasparo inventore di violino, viole e contrabbassi come gli aveva insegnato il suo maestro Girolamo Virchi “il più abile tra i liutai bresciani – scrive Bonomi aggiungendo “La sua specialità erano soprattutto le cetere, capolavori d'intarsio e di decorazione”.
Il Virchì teneva bottega in Bressa – riferiscono documenti dell'epoca – ma si recava volentieri sul lago Benàco, appena poteva, da un amico della famiglia degli Uggeri che teneva un podere a Trobiolo di Salò, distante più d'un quarto d'ora a piedi dalle prime case della cittadina sul golfo entrando per il portone del Borghetto”. Nel libro di Gasparo si racconta fin dalle prime pagine. Il primo capitolo entra nel vivo del racconto sul personaggio che era Gasparo Bertolotti immigrato – si direbbe oggi – a Brescia dopo la morte del padre.
Gasparo da Salò, che, con buona pace dei cremonesi, molto prima del settecento degli Stradivari e degli Amati del Gesù che hanno contribuito ad assegnare alla città del Torrazzo la patria degli strumenti a corda, lavorò alla costruzioni di violini, viole e quant'altro sperimentando i materiali più adatti per realizzare strumenti maneggevoli per suonare musica nelle piazze. Era la premessa all'invenzione del violino. Il racconto è romanzato in quanto Bonomi ricostruisce la vita dei borghesi del Cinquecento, gli Averoldi, i Martinengo, Capriolo, Avogadro, Lechi tra loro in perenne tensione. Ognuno dei 14 capitoli è infarcito di leggende e curiosità sui luoghi tipici della “Bressa” che diede a Gasparo da Salò la fama di liutaio apprezzato non solo entro i confini della Repubblica Serenissima, ma anche presso le corti più rinomate d'Europa. Oggi la sua memoria nei bresciani è solo un debole ricordo.
Un oblio che sembra coinvolgere anche don Bossini fin dal suo tempo invocato “El Beat Curadì”. Bonomi osserva che ha voluto realizzare un' agile biografia, “a suo modo un romanzo breve, ma assolutamente permeato di sola realtà”. Il pio sacerdote visse tra Settecento ed Ottocento, “spendendosi totalmente per gli altri nei periodi di 33 anni quale curato a San Sebastiano, allora frazione di Sant'Apollonio, e di altri 18 passati in città nelle parrocchie di San Giorgio prima e di San Faustino poi”. Nel ricordo popolare è rimasto “el Beàt curadì” per quasi due secoli, ma oggi della sua memoria resta forse una traccia, con un filo di tristezza, nei racconti di qualche anziano. A due secoli dalla morte Bonomi tenta di porre rimedio.
Il parroco di SS. Faustino e Giovita, don Armando Nolli riconosce che la memoria del “Beat Curadì, è stimolata dall'agile biografia in volo rapido anche sul Settecento, il 'secolo dei lumi' fra rivoluzioni, sommosse, carestie, povertà rilassatezza di costumi. Don Bossini è passato, in questo secolo tormentato, pregando tanto, facendo penitenza, dandosi con tutto il corpo e l'anima al suo ministero che contemplava l'assoluta dedizione a Dio e ai fratelli fino a consumare ogni energia”.
Don Bossini dava quanto aveva, perfino la veste talare per coprire un pezzente malcoperto di stracci si legge nel libro di Bonomi nel quale sono riprodotti due dipinti del pittore lumezzanese Pino Negroni, uno in copertina un secondo all'interno.
Le due pubblicazioni sono state argomento della mensile riunione degli associati all'Ucid, l'unione cristiana imprenditori e dirigenti, della Bassa Bresciana riunita nell'ex convento in via Di Rosa a Manerbio. |