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 Edizione del 20/06/2011
 
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Vanno presi seriamente
Gli animali. Lo dice l'etologia moderna, la scienza che studia il comportamento animale: si compie un grossolano errore quando si attribuiscono agli animali caratteristiche umane


  


Questa particolarità, l'antropomorfismo, fa parte del dominio che l'uomo ha sempre tentato di mantenere sugli animali. Meglio, rappresenta la chiave di volta di questo dominio. Che è stato rigettato e combattuto sin dalla antichità.
Platone ne è stato un anticipatore. Nel Fedone, Socrate, il suo maestro, poiché si avvicina il tempo della esecuzione (dovrà bere la cicuta), raduna attorno a sé gli allievi. Vuole dare loro le ultime istruzioni. Similmente come fa il cigno quando sente vicina la morte, che intona il suo canto più lungo e più bello.
Ma non è vero, dice Socrate, che questo tipico animale della specie più bella e famosa della fauna avicola, canti il suo più bel canto in prossimità – e per paura – della morte. Sono gli uomini che proiettano su questo uccello il loro stesso timore della morte.
Ce lo conferma l'etologia che il cigno selvatico ha, come quello reale, piumaggio candido e zampe nere. È detto anche cigno musico o cigno canoro, perché secondo la leggenda, ha un canto dolce o dolcissimo nell'atto della morte. Ma la realtà ci insegna, smentendo la leggenda, che il cigno selvatico – e solo se di sesso maschile –, emette suoni abbastanza musicali ma non propriamente definibili come un canto, quando vola o quando si sente al sicuro nel suo elemento. Il cigno reale, invece, che è detto anche cigno muto, emette in effetti, in cattività e soprattutto nel periodo degli amori, grida paragonabili a squilli di piccole trombe.
Vi sono stati filosofi per i quali parlare di animali ha significato ribadire la nostra superiorità di umani. Per altri è servito a mettere in evidenza i nostri pessimi difetti. Che ci metterebbero sul medesimo piano degli animali.
Il filosofo e letterato del Rinascimento Giordano Bruno ne Lo spaccio de la Bestia trionfante cita gli asini quale riferimento per «pensare quanto di peggio e di più decadente si trovi nell'uomo». In questo testo Bruno tocca alcuni dei suoi esiti stilistici più originali, con un linguaggio che si carica di colori e di luci violente, fino a trasformare la realtà in qualcosa di grottesco e infine liquida questo animale come imbecille.
Per dire: un clamoroso errore, stante che l'etologia ha riconosciuto in questo animale uno dei più intelligenti mammiferi. Capace, perdipiù, di una eccellente memoria. L'aveva capito anche lo storico Diogene Laerzio, della prima metà del III secolo, il quale raccontava di un asino che, ogni volta che doveva guadare un fiume, fingeva di cadere. Con ciò costringendo il padrone ad alleggerirgli il pesante carico di sale.
Il filosofo Arthur Schophenhauer ha attribuito agli animali, in particolare agli elefanti, capacità di riflessione, ragione, ponderazione e comprensione verbale. Si pensi che oggi gli etologi stanno studiando la capacità dei pachidermi di piangere (in qualche modo) i loro morti.
Anch'io, in uno dei miei tanti viaggi in Africa, in Tanzania, ho visto una femmina capobranco, che non riusciva a staccarsi da un elefante di media taglia morto e, unitamente ad altri del branco, lo sollecitava con la proboscide ad alzarsi e a riprendere il percorso. Poi, vista l'inutilità degli stimoli, dopo una mezz'ora e con un penetrante barrito, l'elefantessa ha dato il segnale con il quale l'intero branco ha ripreso il cammino.
Credo che Schophenhauer avesse visto più lontano di molti, nonostante fossimo a cavaliere fra il XVIII e il XIX secolo.
E Friedrich Nietzsche, nel suo Also spracht Zarathustra, 1883-85, Così parlò Zarathustra, pone al centro della riabilitazione il tanto vituperato serpente. Il profeta persiano, morso da una vipera, assorbe il veleno che lo immunizza contro le false verità che, da secoli, sono sedimentate nell'Occidente.
Vi è dunque, nel serpente, questa potente possibilità: aprire la strada alla verità. Solo arrivando alla verità l'uomo ha la possibilità di costruire una esistenza dove ogni momento possiede tutto intero il suo senso. Una esistenza felice, dunque, quella simbolizzata da Zarathustra che danza.
Il contemporaneo prosatore e saggista romeno di lingua francese Émile Cioran, ci istruisce sulla sofferenza degli animali. Egli vede negli occhi dei primati (gorilla, oranghi e scimpanzé), soprattutto disperazione, tanto da definire tali primati «mammiferi funebri».
L'elegante stile aforistico con cui Cioran ha composto i suoi saggi a carattere moralistico, ci consegnano pagine toccanti sulla tristezza di una immagine che ritragga un animale dietro le sbarre di uno zoo o, ancor peggio, quando è impagliato.
E che dire di Friederich Hegel, massimo rappresentante dell'idealismo tedesco, il quale vedeva nella sapiente civetta il simbolo della filosofia? Questo uccello degli Strigidi, dall'acuto grido caratteristico, era il rapace sacro a Minerva. Questa dea incarnava la sapienza femminile, perciò era l'applicazione della intelligenza ai lavori quotidiani, al commercio e alle arti. I grandi occhi gialli della civetta, che nel buio si illuminano, sono un simbolo del raziocinio. Almeno per alcuni pensatori. Per Hegel, essi rappresentano invece la capacità che ha la filosofia di difendersi in campi e aspetti che un tempo le erano preclusi.

Ermanno Antonio Uccelli


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