|
Un giro fra le bancarelle era già un momento di piacere per l’olfatto e per la vista. Ecco l’immancabile zucchero filato, le ciambelle zuccherate, i confetti col rosolio ed il croccante alle nocciole.
Con pochi centesimi si poteva fare una scorpacciata di “patuna” o di “biline” cotte nell’acqua.
I ragazzi andavano matti per le “guaine”, la farina di biline e i “belegocc” che non erano altro che castagne cotte infilzate per farne collane.
L’attrazione principale per grandi e piccini era il “circo equestre” dove tre cavalli ed una ballerina eseguivano salti, corse e giravolte.
Altre singolari attrazioni erano i saltimbanchi, l’uomo mangiafuoco, la donna barbuta o quella senza testa detta “ramaiana”.
Tra le bancarelle e le giostre si aggirava l’uomo del “verticale”, il cantastorie al suono dell’organetto narrava il triste destino di ragazze tradite ed abbandonate dall’innamorato; il foglio con la patetica storia scritta in poesia si poteva acquistare per pochi centesimi. Ci si poteva imbattere nell’individuo che ti proponeva il gioco dei tre campanelli, croce e delizia di chi amava il gioco d’azzardo; sotto uno dei tre campanelli disposti sul tavolino era nascosta una pallina; si trattava di “puntare” con una banconota sul campanello sotto il quale si pensava ci fosse la pallina. Il gioco si concludeva quasi sempre con la perdita della “posta” da parte dell’incauto giocatore.
In omaggio alla tradizione secondo la quale S. Faustino dava alle ragazze l’opportunità di un incontro, la sera del lunedì crocchi di giovani si attardavano fino a notte inoltrata nella speranza di trovare il “moroso”. La festa poteva dirsi finita quando gli ultimi giocatori di “morra” lasciavano l’osteria e annusando l’aria dicevano: “San Faüstì, mercant de nef”. (tratto dall’articolo di Roberto Simoni pubblicato sul quindicinale “Sarezzoinforma” n. 3/2002 del 5/2/2002)
|