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 Edizione del 10/02/2012
 
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Faustino e Giovita
Esaminiamo la figura dei santi patroni di Sarezzo e affrontiamo alcuni aspetti della tradizione religiosa,

I santi patroni vengono raffigurati e descritti con le armature di guerrieri. Lo sono una testimonianza le statue della facciata della parrocchiale, la grande pala del Moretto racchiusa nella soasa lignea e soprattutto la piccola opera di Pietro da Marone custodita nell’ufficio del Sindaco nel palazzo comunale. Ovviamente non si può dimenticare, nella nostra Valtrompia, l’antica arte della lavorazione del ferro, rivolta in particolare alla produzione di armi bianche e armi da fuoco, ma non basta…
È un episodio, una leggenda a far sviluppare questo filone, recuperando un’antica immagine già viva nella tradizione. Ecco come nel 1670 Bernardino Faino racconta questa vicenda. “Comparvero gloriosi il giorno di S. Lucia su le mura della città verso S. Fiorano in faccia dell’inimico gli nostri Santi Protettori Faustino e Giovita in habito militare (come pure fu scritto, et anco espresso in pittura) divinamente diffendendo la loro Patria, con la total rovina di quell’essercito, che vedendo lampeggiare luce divina d’intorno a gli due potentissimi Defensori, intendendo ch’il Cielo guerreggiava per noi Bresciani; il giorno seguente dileguatosi via in altre parti quell’essercito, rimase da i Santi medemi liberata la Città.”
Correva l’anno 1438. Da poco più di un decennio Brescia era passata sotto il dominio della Serenissima, ma i Visconti non avevano rinunciato alla Lombardia orientale. Niccolò Piccinino, famoso capitano di ventura, guidava l’esercito di Filippo Maria Visconti. Il 13 dicembre le truppe milanesi assaltarono il punto considerato più debole: lo spalto del Roverotto, poco lontano dalla porta di S. Andrea e dal forte di S. Apollonio (non lontano da Torre Lunga, quindi vicino all’attuale porta Venezia). L’assalto fu respinto dai bresciani, ma la battaglia fu sanguinosa, con moltissime perdite su tutti e due i fronti.
Il giorno successivo Niccolò Piccinino decise di togliere l’assedio e di ritirarsi, senza dimenticare di devastare (come fece spesso nelle sue campagne militari, pure in Valtrompia) i territori in cui passava.
Lo scampato pericolo spinse i bresciani a festeggiare, ovviamente anche con processioni e cerimonie religiose. Fu probabilmente in quei giorni che si diffuse la notizia che sullo spalto del Roverotto erano apparsi i santi patroni, “con armi d’oro e splendidi nell’aspetto, a fermare le cannonate nemiche e a creare spavento e terrore fra le truppe degli assedianti”.
La prima testimonianza scritta è la lettera scritta da Nicola Colzè, vicario del podestà di Brescia, ad un amico di Vicenza, Nicola Chieregato . Il documento è datato 10 gennaio 1439, quindi meno di un mese dopo la vicenda. Colzè, pur manifestando un certo scetticismo, riferisce dell’apparizione dei due personaggi con armi d’oro, da molti ritenuti i santi patroni Faustino e Giovita. È il segno evidente che la tradizione superò presto l’ambito dei ceti popolari e si diffuse anche tra gli strati socialmente più elevati.
Tra le cronache degli storici è da citare l’accenno di Elia Capriolo che scrisse: “Dicono alcuni in questo luoco, che andò fama nel campo del Picinino come sopra il muro al forte di Sant’Apollonio furono da nemici visti dui Santi in forma de combatenti, quali si pensò dopo, che fossero S. Faustino e S. Giovita”.
Tra i documenti più noti ci sono però le lettere scritte nel 1452 da Lodovico Foscarini, pretore di Brescia, al patriarca di Venezia Lorenzo Giustiniani. In queste missive si parla esplicitamente dell’apparizione, senza peraltro citare i nomi dei patroni.
Dei documenti si occuparono personaggi prestigiosi: in particolare Angelo Maria Querini, vescovo di Brescia, ma anche il papa Benedetto XIV, che riprese le lettere nell’opera “De canonizatione Sanctorum”.
Proprio questa citazione diede grande rilievo alla vicenda, che fu sostanzialmente alla base della discussione che si svolse in particolare tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento.
Tra le ipotesi formulate nel corso degli anni, sono da citare quelle relative ad una diversa identificazione dei santi patroni: non Faustino e Giovita, ma i Santi Paolo, Cipriano, Deodato ed Evasio, i cui resti furono trovati in quegli anni nella chiesa di S. Pietro in Oliveto, quindi non lontano dallo spalto del Roverotto dove si verificò l’apparizione…. (tratto dagli articoli di Roberto Simoni pubblicati sul quindicinale “Sarezzoinforma” n. 3 e n. 4 del 2006)


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