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In questo scorcio di inizio del XXI secolo il “pericolo giallo” è rappresentato dall’impressionante sviluppo e dalla presenza economica della Cina Popolare e dei cinesi della diaspora, sia a livello di prodotti importati sia a livello di spicciola attività di vendita ambulante,
Non si può negare che anche nel bresciano questa sia una realtà che incide, se non sul nostro vivere usuale, sul nostro immaginario; basti pensare al mese dedicato dal Comune di Brescia alle manifestazioni che hanno come tema la cultura e le tradizioni della Repubblica del Drago.
Al di là della contingente ideologia e delle strategie di manipolazione dell’informazione quotidiana che hanno il preciso scopo di produrre tensione psicologica all’interno dell’opinione pubblica, certo il problema di quel che succede in quel lontano e grande paese è una realtà cui non possiamo sottrarci. Per fortuna accanto ai più o meno attendibili resoconti giornalistici trasformati in “istant book” destinati ad una rapida obsolescenza, ecco che una piccola casa editrice ha tradotto in italiano un lavoro dedicato proprio a questo tema e firmato da una delle più significative figure di studiosi del settore della ricerca storico-economica degli ultimi decenni, autore di alcuni fondamentali lavori di analisi storico-economiche sullo sviluppo del capitalismo borghese.
Il lavoro di cui parliamo è Angus Maddison, L’economia cinese. Una prospettiva millenaria (Edizioni Pantarei, Milano, 2006, Euro 20). Il lavoro, uscito nella sua versione originale nel 1998 in una prestigiosa collana dell’OCDE (Organisation forEconomic Co-operation and Development) di Parigi, si avvale di una nuova introduzione dell’autore per l’edizione italiana, che aggiorna alcuni dati e ribadisce sostanzialmente i risultati della sua precedente analisi.
Quali i pilastri della sua analisi? Il primo e più antico, ma che è bene ricordare, riguarda la storia profonda della Cina, che, grazie alla sua struttura imperiale e burocratica, ha certamente goduto fra il X e il XV secolo dell’era volgare di una condizione di indiscusso primato nel mondo, anche se ad occidente, escluso il caso di pochi mercanti come i Polo, nessuno se ne rendeva conto. Il reddito pro-capite era il migliore al mondo, la macchina burocratica del Celeste Impero riusciva a controllare e a far funzionare un territorio vasto come nessun alto e superiore era perfino lo sviluppo tecnologico e la capacità di sfruttamento delle risorse naturali. Tale progresso iniziò ad arrestarsi nel XVI secolo, pur mantenendo una popolazione che era la maggiore al mondo e un tenore di vita nel complesso stabile, con un solo grave limite: la presenza di una burocrazia che per sua natura tendeva a fondare la sua esistenza sulla rendita di posizione ed era restia a favorire uno sviluppo autonomo dell’individuo e della intraprendenza del lavoro. Queste caratteristiche, invece, costituirono la leva dello sviluppo prima culturale e poi economico dell’Occidente, che noi conosciamo con i nomi di Rinascimento, di Illuminismo e di Rivoluzione Industriale. In questa prospettiva la Cina si è trovata impreparata ad affrontare la sfida che l’Europa, con in testa l’Inghilterra, le ha lanciato fra l’inizio del XIX e la metà del XX secolo. Si può dire, ci sembra faccia notare con chiarezza il Maddison, che quel secolo e mezzo sia stata una fra le fasi di maggior decadenza della storia millenaria di quella zona del mondo.
In questa prospettiva la guerra civile che ha visto il Kuomintang soccombere alla Armata Rossa di Mao Tse Tung assume un volto molto meno ideologico e più comprensibile. Al di là dell’esperimento comunista, che costituisce la veste della ripresa politica ed economica di quella terra, il comunismo come ideologia ha rappresentato uno strumento per avviare e realizzare un riscatto anticoloniale e insieme un tentativo di resa dei conti, consentendo a quel grande paese di scoprire una sua strada per avviare un processo di modernizzazione atto a garantire una crescita del benessere materiale e intellettuale delle grandi masse.
Ecco che allora, al di là delle accentuazioni ideologiche che riecheggiano spesso in Occidente gli interessi interpretativi dei gruppi dirigenti conservatori, scopriamo, dati alla mano, che fatta la tara degli insuccessi della fase maoista, che sono innegabili, la rivoluzione non ha solo fornito la base ma ha anche costituito la premessa di quel processo di sviluppo accelerato di cui stiamo vivendo l’articolazione. Tutto ciò ci viene narrato con dovizia di tabelle che fanno uscire la narrazione dal terreno delle solite affabulazioni, consentendoci, nel limite del possibile e della credibilità dei dati econometrici, di verificare la validità delle asserzioni storiche. Anzi, lo stesso autore ci sottolinea come troppo spesso, nella girandola dei dati statistici, l’opinione pubblica possa essere facilmente strumentalizzata e come una ricerca scientifica in un terreno mutevole quale quello dell’economia sia per sua natura costantemente da verificare.
Insomma, per chi è interessato a una conoscenza della realtà cinese fuor di magia e fantasia delle tradizionali ideologie elaborate dalla nostra cultura sull’Oriente, quello di Maddison è certo un libro che bisogna studiare e che non può mancare in una biblioteca aggiornata.
Giulio Toffoli |