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I Santi Faustino e Giovita nella leggenda
Sulla parete rivolta ad est della torre civica di Sarezzo troviamo alcune preziose testimonianze della vita civile e religiosa del comune di Sarezzo
Leggi l'articolo completo in forma testuale ( clicca qui )



I Santi Faustino e Giovita nella leggenda
( VERSIONE TESTUALE )

Una lapide ricorda che la Comunità tutta “ha edificato la torre con suo denaro in onore di Dio Onnipotente, della Beata Vergine e dei Santi Faustino e Giovita e a vantaggio di detta Comunità. Nell’anno del Signore 1585”. Più in alto vediamo scolpito lo stemma del comune con intorno la scritta: “Castelanie Comunis Saretii Vallis Trompie”. Sopra questo stemma due lapidi accostate recano scolpito un altorilievo con le figure dei due santi patroni in vesti di guerrieri, con in una mano la palma del martirio e nell’altra rispettivamente una bandiera ed una spada sguainata.
In alto, sulla facciata della parrocchiale, la scritta latina “Martiribus Faustino et Iovitae Divis Tutoribus” ci dice che i due santi patroni ai quali la chiesa è dedicata sono martiri. Nella pala morettesca del coro i due patroni sono raffigurati insieme ai santi Martino e Bernardino, e nell’ancona lignea vediamo le loro statue. In ambedue le rappresentazioni i patroni indossano abiti da guerrieri e S. Faustino porta la barba. Anche la piccola tela conservata nel palazzo comunale ci mostra i due santi “in arme”, cioè come guerrieri medioevali.
Come si concilia tutto questo con la più antica tradizione che vuole Faustino sacerdote e Giovita diacono?
Che cosa sappiamo con certezza, della vita e delle opere dei nostri patroni oltre al fatto che morirono martiri nei primi secoli dell’era cristiana?

Intorno alle figure realmente storiche di Faustino e Giovita è sorta e si è tramandata nei secoli una lunga serie di leggende. In mancanza di documentati riferimenti storici, la fantasia popolare si è sbizzarrita a creare storie fantastiche, con accadimenti strepitosi e spesso inverosimili. È quello che è avvenuto per tanti altri martiri dei primi secoli considerati alla stregua dei lontani numi tutelari delle prime tribù pagane. Sappiamo tutti, tanto per stare a Sarezzo, della leggenda che ha per protagonista S. Cecilia. Di come la nobile fanciulla romana, perseguitata perché cristiana, fuggì verso Brescia e poi, sempre inseguita dai pagani, si nascose a Zignone, presso Carcina. Scoperta dai soldati, salì sul monte Palosso e si diresse verso S. Emiliano, dove, dopo aver recitato un Pater, riuscì a salvarsi nascondendosi in una grotta, mentre i soldati precipitavano in un burrone detto “la corna dei pagani”.
Ma torniamo ai Santi Faustino e Giovita intorno ai quali è nata una raccolta di episodi leggendari detta “Passio”, composta molto probabilmente nel secolo VIII da un certo prete Giovanni di Milano su richiesta del duca longobardo di Brescia e forse dallo stesso re Desiderio.
Secondo questa narrazione Faustino e Giovita, fratelli, nacquero a Zignone (località che - abbiamo visto- ricorre anche nella leggenda di S. Cecilia) in prossimità di Carcina o, forse a Sarezzo, Faustino nel 90 e Giovita nel 96 d.C., essendo imperatore di Roma Traiano. Figli di nobile famiglia senatoria, furono ben presto avviati allo studio delle lettere e al maneggio delle armi. Ancora adolescenti rifiutarono il paganesimo per farsi cristiani. Ricevettero il battesimo dallo stesso vescovo di Brescia S. Apollonio, nella notte di un Sabato Santo nella basilica cristiana di S. Andrea. In seguito furono ammessi agli ordini sacerdotali, Faustino divenne prete, Giovita diacono. Si dedicarono così ad una intensa attività di predicazione operando prodigi e conversioni straordinarie. Nel 120 l’imperatore romano, di passaggio a Milano, venne a sapere quanto i due bresciani andavano facendo e diede ordine al governatore della Rezia, Italico, di ridurli al silenzio o arrestarli. I due fratelli proclamarono alta la loro volontà di continuare a diffondere il Vangelo. Insieme ad altri cristiani furono imprigionati, sottoposti a terribili supplizi affrontati sempre con straordinaria fermezza. Condotti fra i leoni dell’anfiteatro, si videro le belve accovacciarsi ai loro piedi, gettati tra le fiamme di un rogo il fuoco non lambì le loro vesti, lacerate le loro carni con spuntoni e aculei, continuarono a cantare lodi a Cristo senza un lamento. Di fronte a tali avvenimenti prodigiosi, la stessa moglie di Italico, Afra, volle proclamarsi cristiana, ricevette il battesimo dalle mani di S. Apollonio e finì martire. L’imperatore ed i suoi accoliti tentarono con le lusinghe e con le minacce di costringere Faustino e Giovita a tornare al culto pagano. Più volte rinchiusi in prigione, venivano ogni volta liberati dall’apparizione di un angelo splendente. Furono portati a Milano, a Roma, a Napoli, sottoposti a continue sevizie e crudeli tormenti, sempre riuscirono a salvarsi per intervento divino. Alla fine i due santi vennero ricondotti a Brescia dove furono accolti dal Vescovo Apollonio e da una schiera di cristiani. Ripresero a predicare, a operare conversioni e prodigi. Tradotti ancora una volta in prigione, attesero in preghiera il giorno della sospirata condanna a morte.
Il 15 febbraio dell’anno 146, essendo imperatore Adriano, vennero condotti fuori dalle mura della città attraverso la porta Matolfa, insieme ad altri cristiani fra cui la stessa Afra. Giunti nella località nota come Forca di Cane, sulla via che porta a Cremona, dopo aver perdonato i loro carnefici e alzando le mani al cielo, Faustino e Giovita furono decapitati. I loro corpi vennero composti e accompagnati al vicino cimitero di S. Latino dove trovarono pietosa sepoltura.
Così narra la “Passio” composta al tempo del dominio longobardo, un periodo storico di grandi attese e paure, che tuttavia si apriva a grandi speranze.

Questa fantasiosa narrazione, ulteriormente sviluppata con numerose varianti, divenne un racconto edificante e fu tramandato oralmente di generazione in generazione. I martiri Faustino e Giovita, riscoperti agli inizi del medioevo, assurgeranno ben presto al titolo di primi patroni della città di Brescia. Lungo i secoli il popolo li invocherà come protettori pronti a combattere in difesa della città minacciata e dei suoi abitanti.
È quanto accadde ancora una volta a Brescia sul finire del Medioevo.
La storia racconta che verso la fine dell’anno 1438 le truppe milanesi guidate da Nicolò Piccinino al servizio dei Visconti varcarono l’Oglio e, dopo aver devastato la terra di Franciacorta, Brione e Polaveno, cinsero d’assedio Brescia. Il 13 dicembre ebbe inizio l’assalto alla città. Sullo spalto che conduce al castello, detto Roverotto, poco lontano dalla porta orientale di S. Andrea, ebbe luogo l’ultima estrema resistenza dei Bresciani. Ci furono migliaia di morti da entrambe le parti, ma alla fine il Piccinino fu costretto a levare l’assedio e a ripiegare verso la campagna. Alla vittoria contro i milanesi, i Bresciani iniziarono le processioni di ringraziamento e i festeggiamenti. E immediatamente si diffuse la notizia che nel momento dell’assalto finale, erano apparsi “i martiri di Cristo Faustino e Giovita, splendidi nell’aspetto e con armi d’oro, a combattere per i concittadini e per le patrie mura”.
Ancora una volta storia e leggenda si erano strettamente intrecciate.

(tratto dagli articoli di Roberto Simoni pubblicati sul quindicinale “Sarezzo Informa” n. 3 e n. 4 del 2006)


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