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lunedì 25 novembre 2024 | 01:30
 Nr.16 del 25/06/2007
 
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Tutti pazzi per Bob Dylan
Ripensiamo alla grande performance del leggendario cantautore di Duluth tenutasi al Dacthforum di Assago


  


Il Dacthforum, già poco prima delle 21 è bello gremito di gente di ogni età (dai quindici ai settant’anni). Certi portano magliette del loro idolo, qualcuno si rifà alla moda hippy degli anni ’70, altri mangiano e bevono accovacciati per terra finchè, inaspettatamente, cala il buio completo e una voce fuori campo annuncia, fra urla e tifo da stadio, l’arrivo della leggenda vivente che si presenta sul palco vestito con cappello bianco e un completo nero. Per la felicità di tutti imbraccia nuovamente la chitarra per le prime cinque canzoni dopo anni in cui l’aveva sostituita al piano elettrico, almeno sul palco (si dice per problemi di schiena). Così il “Tour Infinito”, cominciato circa vent’anni or sono e col quale da allora Dylan tiene circa centocinquanta concerti l’anno, è atterrato e per la quinta volta in sei anni a Milano, raccogliendo anche qui, come in tutto il tour europeo, entusiasmo e consensi.
Si parte con un ruspante Cat’s in the well per proseguire con Watching the river flow, It Ain’t Me Babe, It’s alright, ma (i’m only bleeding), To Ramona per poi passare a pagine più recenti tratte dall’ultimo capolavoro uscito in Italia in settembre (Modern Times), vincitore di due Grammy Awards e che ha conquistato il primo posto in tutte le classifiche di vendita mondiali; a questo punto Dylan si “nasconde”, come ormai d’abitudine, dietro le tastiere mentre ogni tanto tira fuori dal cilindro l’armonica a bocca. Così ecco The Levee’s Gonna Break, Rollin ‘and Tumblin’e Spirit On The Water tutte accolte già come dei classici (tant’è vero che una delle ultime canzoni, Thunder On The Mountain si è conquistata il posto d’onore nei bis), senza parlare, sempre restando in tema dell’ultimo album, di When The Deal Goes Down che vede riempirsi di accendini accesi il palasport e Nettie Moore che crea un’atmosfera stile western con la gran cassa che batte come un cuore e il violino che ne accarezza il ritornello. Per il resto è una panoramica della lunga carriera del Nostro che, insieme alla sua “cow-boy band”, si diverte come al solito a stravolgere i suoi classici facendoli diventare irriconoscibili, ma apparire sempre nuovi e comunque piacevoli. È il caso ad esempio di Stuck Inside Of Mobile The Memphis Blues Again o di Most Likely You Do Your Way entrambe da Blonde on Blonde (anno di grazia 1966); anche I’ll Be Your Baby Tonight è completamente rivisitata in una versione jazz anziché country. Si passa così alla triade infuocata tratta dal primo album interamente elettrico di Dylan del 1965 (Highway 61 revisited) con una fantastica Highway 61 e una Desolation Row che incendia l’entusiasmo del pubblico con applausi che scrosciano fra una strofa e l’altra. Seppur anch’essa stravolta, resta straordinaria come sempre Like a Rolling Stone, recentemente considerata da critici e addetti ai lavori come la più importante canzone rock della storia, salutata da un boato e cantata a squarciagola dai circa diecimila presenti. Cala il sipario ma solo per qualche minuto, il tempo di far quasi crollare l’edificio tra applausi, ole e urla alle quali si aggiungono perfino trombe da stadio, finchè ecco riaccendersi le luci, apparire dietro il palco il logo del grande Bob (una sorta di corona di fuoco con sotto un occhio anch’esso infuocato), la band e Dylan per i due bis finali: la già citata Thunder On The Mountain e, dopo la presentazione dei musicisti si conclude trionfalmente la serata con All alagon The Watchtower. Buona la condizione vocale per tutto il concerto di Dylan che ogni tanto si scatena dietro la tastiera e ammicca pure qualche sorriso al pubblico (cosa rara) come ottimi sono stati i cinque musicisti: l’ormai inseparabile Tony Garnier al basso, George Recile alla batteria, Stu Kimball e Denny Freeman alle chitarre elettriche e acustiche e il fantasista del gruppo Donnie Herron al violino, banjo e steel guitar. Bob Dylan con la band al suo fianco, resta in piedi aggrappato all’asta di un microfono e guarda l’ovazione della grande platea di fronte a lui senza dire una parola ma solo alzando un po’ le braccia e movendo la testa; per chi conosce Dylan capisce che anche lui si è divertito e che questo è il massimo dei ringraziamenti che offre. Malgrado continuino gli applausi anche dopo l’uscita di scena del protagonista, le luci si accendono…è il momento dei commenti coi vicini d’avventura, dello scambio di numeri di telefono coi “nuovi amici”, dei saluti, dell’ultima sigaretta o birra per poi lasciare la magica atmosfera creata nella serata e darsi appuntamento al prossimo incontro con la più grande leggenda vivente del rock, che, se mantiene i tempi, dovrebbe tornare nei paraggi entro un anno (è ormai consuetudine dalla fine degli anni 90 che Dylan torni in Italia ogni anno). Grazie della serata Mr. Bob!

Daniele Ardemagni


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