Torneranno i lupi ( VERSIONE TESTUALE )Si narra, che intorno alla metà del diciottesimo secolo, in una località della Francia Meridionale, un enorme lupo, soprannominato “La bestia”, da solo abbia ucciso 123 uomini ed un’infinità di bestiame. Le proteste dei sudditi furono talmente accorate che Re Luigi XV reclutò un vero e proprio esercito composto da circa 40 mila uomini con al seguito 2800 cani. Per venire a capo dell’incresciosa vicenda , per stanarlo e ucciderlo, ci vollero due mesi. O quel lupo era veramente un emissario di Satana, o in quel periodo nella Francia del sud si beveva “roba” veramente forte. Tutti gli studiosi di “lupologia” sono concordi nel rimarcare che la maggior parte delle aggressioni nei confronti di esseri umani si devono a lupi affetti da rabbia, ma i lupi infettati dal virus hanno vita molto breve. Un paio di anni fa, nella zona del Maniva ci fu una strage di pecore, non ricordo il numero esatto, ma penso che fossero più o meno una decina di capi. Veloci come pistoleri in un duello, alcuni giornalisti della provincia, il giorno dopo, riempirono i quotidiani della ferale notizia, ma come purtroppo spesso accade, nessuno di loro si preoccupò di investigare se l’uccisione delle miti bestiole avvenne a causa dell’aggressione di un branco di lupi, di un orso, o di un gruppo di cani randagi. Specialmente nella stagione estiva il comprensorio del Maniva è meta di escursioni da parte di cittadini e non solo, in cerca di refrigerio, di aria moderatamente pulita e di funghi. Nel Nord America e in Europa non si ha notizia di aggressione da parte di lupi a esseri umani, e anche l’orso difficilmente attacca l’uomo, la mia paura, dato che frequento quasi tutto l’anno quelle zone, è che si sia potuto trattare di un branco di cani randagi, tesi avvalorata dalla testimonianza di un amico che mi ha raccontato di essersi chiuso in auto quasi due ore con tre cagnacci che hanno cercato perfino di sbranargli gli pneumatici. I lupi, ovvero “canis lupus italicus”, sono stimati in Italia all’incirca in cinque o seicento individui, mentre secondo i dati diffusi dal Ministero della Salute sono circa seimila i cani randagi vaganti nella penisola. Più preoccupanti sono le cifre diffuse dall’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica che parla di un milione e duecentomila esemplari. Questi animali non hanno paura dell’uomo, avendoci convissuto, e come tutti gli animali rinselvatichiti hanno fame, molta fame. Tra cani e lupi c’è sicuramente una forte barriera comportamentale, il pericolo, dato il consistente numero di cani randagi è che avvengano casi di ibridazione, casi peraltro anche se rari, già accertati. L’idea di buttar giù queste quattro righe sui lupi, non mi è venuta dall’ammirazione che provo per questi stupendi animali, ma perché stranamente all’inizio del mese di Agosto, ho ascoltato l’intervento in diretta su una radio nazionale, del responsabile delle guardie forestali del Nordest che mostrava entusiasmo per l’arrivo sul suo territorio di un consistente branco di lupi. La mancanza di nemici naturali, ha permesso che il numero degli ungulati nell’arco di due lustri fosse addirittura decuplicato creando un notevole squilibrio naturale. Daini, cervi, caprioli, e cinghiali, hanno proliferato in maniera abnorme, e il funzionario ha salutato con gioia gli unici predatori in grado di limitarne la diffusione.
Sono rarissime le persone che hanno visto un lupo vivo e nel suo ambiente a distanza ravvicinata, ricordo che Roberto Ghidoni, il mitico vincitore di alcune Iditarod, mi raccontò che c’era gente in Alaska che in cinquant’anni non aveva mai visto un lupo grigio nonostante gli stessi fossero abbastanza numerosi nel Grande Nord. Io personalmente, ho sentito una sola volta degli ululati, è accaduto in un luogo sopra il paese di Visso, sui monti Sibillini. Era l’autunno del 1972, partiti da Civitanova Marche eravamo diretti ad una casa di proprietà del nonno di Serafino uno dei miei due amici marchigiani, l’altro era il “Gaspa”, un mio compagno di naja. Con noi c’erano mio fratello e le due “morose” dei compagni. Arrivati davanti alla porta della baita, il serafico Serafino si accorse di aver dimenticato le chiavi. Non vi descrivo le facce, provviste ne avevamo, mancava il resto. Io e mio fratello, mezzo nati e mezzo cresciuti nei boschi, trovammo rapidamente la soluzione. Raccolta una porzione di rete metallica abbandonata, con l’ausilio di una grossa pietra e di alcuni sassi, trasformammo parte della stessa in due lunghi forchettoni. Ci inoltrammo “ambesei” nel bosco in cerca di legna secca e di due forcelle di frassino sulle quali avremmo appoggiato i forchettoni adibiti a supporto delle salsicce. Avevo imparato fin da piccolo, che non si va nella foresta senza fiammiferi, e l’accensione del fuoco circondato da un cerchio di pietre, fu un gioco da ragazzi. Nonostante fossimo ai primi di Novembre, la temperatura era gradevole e passammo tutto il pomeriggio ridendo e scherzando fino a che la luce comincio ad affievolirsi e il freddo a farsi dispettoso. Fu verso le sedici che cominciammo a sentire gli ululati, un concerto da far accapponare la pelle. Spinsi gli amici ad abbandonare velocemente la zona , e spensi il fuoco con un liquido di cui non vi dirò, le quattro dita di vino rosso rimasto sul fondo della bottiglia servirono ha ridarmi un poco di colore mentre correvo verso l’automobile. Fu ricordando questo episodio che incuriosito ho voluto indagare da dove venissero i lupi arrivati nel Nord Est. E così ho scoperto quella che chiameremo “La via del lupo”, che guarda caso parte da Visso, o meglio, dai monti Sibillini, e che ha portato i lupi attraverso foreste, parchi naturali, vallate isolate, paesi abbandonati, dagli Appennini delle Marche al Parco del Gran Paradiso, da lì in Valle D’Aosta e sull’arco alpino fino in Trentino.
Ho visto in televisione decine di documentari sugli ippopotami, sugli elefanti, sui leoni, sui leopardi, sulle scimmie catarrine, ma pare che la fauna italica, salvo rare eccezioni, per i nostri “media” non esista. Toccherà dunque a me, a quanto pare, cercare di descrivervi il lupo italiano. Il “Canis lupus italicus” è lungo all’incirca centosettanta centimetri, centotrenta, centotrentacinque di corpo atletico e flessuoso e trentacinque di coda. Altezza al garrese da sessantacinque centimetri a un metro. Difficilmente corre, se non all’inseguimento di prede veloci. Di solito trotterella per risparmiare energie con un’andatura elegante ed elastica. Ciò non gli impedisce su percorsi favorevoli di coprire anche la distanza di ottanta, cento chilometri al giorno. Le zampe sono lunghe, leggermente piegate e pronte a scattare le posteriori. Testa piuttosto grande e collo muscoloso. Canini superiori lunghi cinque o sei centimetri. Quello che impressiona del lupo non è la dentatura, bensì gli occhi, gialli, penetranti, intelligenti, impavidi. Il manto è generalmente fulvo, grigio argentato d’inverno. Il lupo è più ricco di virtù che di difetti, possiede bellezza, fascino, intelligenza, lealtà, coraggio, e un’infinità pazienza quando caccia. Il lupo è un predatore capace di abbattere prede anche dieci volte più grandi di lui, è un padre invidiabile che provvede alla formazione dei suoi cuccioli insegnando loro il rispetto delle gerarchie e a condividere il cibo con il resto del branco, anche se i bocconi più ambiti spettano sempre e solo al maschio e alla femmina Alfa. Quando la femmina Alfa, l’unica che può accoppiarsi con il maschio dominante, partorisce i cuccioli, solitamente da tre a sei, verso i primi di Maggio, ha già pronte per loro quattro o cinque tane diverse per questioni di sicurezza. Superato il periodo dell’allattamento, i cuccioli vengono nutriti da tutto il branco padre compreso. Al Maschio Alfa tocca anche il delicato compito di insegnare ai piccoli l’attività della caccia. Il lupo non è molto veloce nella corsa, ma è molto resistente, al solito le sue prede sono quelle malate o ferite o vecchie, migliorando la selezione della razza. Non ci sono solo gli ungulati nel menù del branco, ma anche piccoli roditori e perfino frutti e bacche selvatiche. Contrariamente a noi occidentali che da sempre abbiamo una visione distorta della figura del lupo, la cultura pellerossa pone l’immagine del lupo in relazione alla stella Sirio, dalla quale, secondo le credenze di quei popoli, provenivano i loro antichi maestri. Il lupo è da loro considerato maestro di saggezza. Egli dopo aver visitato i confini del sapere, ritorna al branco per riferire le sue esperienze. Il suo ululare alla luna è di fatto il tentativo di incanalare l’energia del satellite affinché si attivi la forza dell’inconscio che consenta di imboccare la strada della conoscenza. Ognuno di noi dovrebbe essere in grado di trovare la propria via attingendo potere dallo spirito interiore di cui il lupo è simbolo.
Vi lascio con il testo, spero non troppo profetico di una poetessa pellerossa, discendente dai Koyukan Athabascan dell’Alaska, tale Mary Tall Mountain.
L’ULTIMO LUPO
L’ultimo lupo mi corse incontro
per la città in rovina,
e sentii l’eco dei suoi ululati
tra lo sfacelo dei ripidi alveari
di Montgomery Street e oltre,
i pochi grattacieli dalla cima vermiglia
rimasti in piedi,
i loro ascensori illuminati, inutili.
Passando tra il lampeggiare rosso e verde
dei segnali del traffico,
facendosi strada verso oriente col suo ululato
nel mistero della sua furente falcata selvaggia.
Più distinti i suoni nella notte implacabile
tra cumuli e macerie di silenziosi isolati.
Sentii la sua voce salire su per la collina
e infine il suo gemito profondo allorché arrivò
piano dopo vuoto piano
nella camera dove io sedevo in attesa
sul mio stretto letto rivolta a occidente.
Lo sentii ansimare alla porta e puntai gli occhi.
Attraversò trotterellando il pavimento,
mise il suo lungo muso grigio
sul bianco copriletto striminzito
con gli occhi infiammati di luce gialla,
un tremore nelle sue piccole sopracciglia chiazzate.
Sì, dissi,.
So cosa hanno fatto.
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