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C’è chi ha parlato di una vera e propria crisi della repubblica, della seconda repubblica, affacciando l’idea di una terza repubblica.
Le cause di una crisi ormai più che trentennale crediamo siano da ricercare nell’irrisolta problematica di quella che è nota come l’età delle stragi degli anni settanta.
Su queste pagine di recente abbiamo già avuto occasione di recensire un lavoro di Paolo Pelizzari, da poco pubblicato, dal titolo: «La strage di Brescia tra risposta istituzionale e mobilitazione dal basso. Il punto di vista della sinistra extraparlamentare». Contemporaneamente il sindacato GCIL, in collaborazione con la Fondazione Giuseppe Di Vittorio e l’Archivio Storico Biagio Savoldi e Livia Bottardi Milani, ha pubblicato il volume curato da Ivan Giugno e scritto a più mani da Silvia Boffelli, Cristina Massentini e Marco Ugolini «Noi sfileremo in silenzio. I lavoratori a difesa della democrazia dopo la strage di Piazza della Loggia» (Ediesse 2007, pag. 238, Euro 12).
La lettura dei due libri offre un’istruttiva dimostrazione di come un fatto in sé chiaro e indubitabile, l’attacco neofascista contro una manifestazione sindacale, con il suo strascico di morte, possa essere interpretato in modo diverso, pur da una comune angolazione, quella della sinistra. Non solo: l’intento dei diversi autori è quello di mostrare come allora furono vissuti, in modo radicalmente diverso dalle varie anime di quella sinistra colpita dalla violenza fascista, il clima, le potenzialità politiche del momento, le prospettive che, pur in quella tragica realtà, si aprivano di fronte al Paese.
Ma non anticipiamo quella che potrebbe essere la conclusione del nostro discorso.
Il volume curato da Ivan Giugno presenta una utile prefazione di Dino Greco, che offre un inquadramento dell’analisi realizzata dai giovani studiosi impegnati in questo progetto, fornendo anche alcune linee guida di interpretazione complessiva.
Greco sottolinea come i vari autori abbiano cercato di fornire un quadro «riprodotto con assoluto rigore e scrupolo documentario» delle vicende di quei giorni. Non solo: tale analisi è iscritta in una più generale ricostruzione di una pagina della storia sindacale bresciana forse ingiustamente dimenticata.
Di fronte all’attacco frontale che viene ora condotto contro la classe dei lavoratori, non solo dal mondo padronale ma anche dai partiti che avrebbero dovuto rappresentare i lavoratori - ultimi casi l’indebolimento del diritto alla stabilità del lavoro e alla pensione - sembra incredibilmente lontano il ricordo della stagione delle conquiste che ebbero la loro definitiva sanzione nello «Statuto dei lavoratori», nel superamento della divisione fra il mondo della fabbrica e il resto della società. Greco aggiunge che la Brescia ufficiale, custode dei poteri istituzionali «ancora non capi(va)». Ma ci domandiamo: come poteva capire? Come poteva Giovanni Leone capire? Oppure cosa doveva capire che già non sapesse? Di qui lo sviluppo di quella cesura che ha fatto del ’74 l’inizio di una nuova fase di rapporti sociali, segnata da «un rilancio di istanze di rinnovamento sociale e politico che ispirarono le lotte del ’68 e del ‘69». Vengono poi aggiunte due notazioni importanti: la prima è una sottolineatura dello sviluppo, in quella fase, dell’esperienza dei Consigli di zona, che, accanto ai Consigli di fabbrica, avrebbero potuto rappresentare l’intelaiatura di un nuovo modo di costruire i rapporti sociali fra cittadino e istituzioni. La seconda è un ribadimento del giudizio politico già chiaro e scritto nelle coscienze della gente subito dopo la strage, al di là di quella che si sapeva bene sarebbe stata la «fatica della giustizia»: «il 1° giugno del ’74, giorno dei funerali, in piazza della Loggia comparve per la prima volta quello striscione che portava scritto «sappiamo chi è STATO»».
Greco conclude chiedendosi: «se questa consapevolezza sia ancora tale, oppure ... se l’oblio non sia ampiamente calato su quel tratto di storia, divenuta tristemente estranea alle nuove generazioni e in parte rimossa dalla memoria di quelle più anziane».
Lasciando aperta questa questione, crediamo che la pubblicazione di volumi come quello che stiamo analizzando sia una pur parziale risposta di chi non vuole che la nostra società abbandoni totalmente il cosiddetto «vizio della memoria», secondo la felice formulazione del magistrato Gherardo Colombo.
Entriamo ora nel dettaglio del volume. Dopo un’introduzione che ci guida nel clima dei primi anni Settanta, con una particolare attenzione al mondo della fabbrica, il testo si presenta articolato in tre parti. La prima, di Silvia Boffelli, ci parla de «La reazione alla strage di piazza della Loggia nelle fabbriche bresciane». Si tratta si un interessante intervento che ci aiuta a snebbiarci la memoria sulle azioni del neofascismo degli anni Settanta e sul clima di latente violenza contro ogni richiesta del mondo del lavoro, che faceva della CISNAL lo strumento armato del mondo padronale. Come non leggere con interesse le pagine legate alle vertenze fra i lavoratori e il padronato di Nave, Lumezzane, Villa Carcina? Come non fermarsi sulle «prodezze» degli allora padroni delle ferriere Fenotti e Comini e di Adamo Casotti? Certo, si dirà, altri tempi, ma forse val la pena non dimenticare (pag.. 42-61). L’autrice ferma poi la sua attenzione, con adeguata ricchezza di dati, sulla reazione dei lavoratori, su una rinnovata solidarietà, che riesce a farsi forza di fronte alla tragedia.
Su quest’ultimo tema è imperniato il secondo saggio di Cristina Massentini: «La gestione della piazza», che analizza, giorno per giorno, quel che è successo dal 28 maggio ai primi di giugno, quando i poteri costituiti avevano «perso il controllo» della piazza di Brescia, o almeno questa era stata la sensazione delle larghe masse che hanno vissuto quei giorni.
Infine il terzo intervento, quello di Marco Ugolini, si assume l’onere di concludere il discorso affrontando il problema de: «L’“autogestione della città” e il significato politico del 28 maggio».
Si tratta di un tema di grande momento e arduo da affrontare, ancora di più a trent’anni dalla strage. L’autore divide il suo intervento in tre momenti: un primo rappresentato dalle connivenze precedenti alla strage fra istituzioni e forze della destra; un secondo, una «pars destruens», costituito dalla descrizione dall’oggettiva perdita di legittimità delle istituzioni. Come dimenticare Giovanni Leone che passa, quasi fosse un essere di altro pianeta, fra due ali di folla che lo fischiano senza requie? Infine, come ultima, una «pars construens» rappresentata dallo studio delle posizioni chi si assunse l’onere di dare voce alla richiesta di giustizia che giungeva dalla piazza, ma più in genrale dall’intero paese. Ancora una volta la voce di Paolo Corsini ci pare ben descrivere la situazione di quei momenti, quando ebbe a scrivere che la strage: «costituisce qualche cosa di più di un monito, esige un concreto impegno morale... Spetta ai partiti, alle forze politiche e sindacali interpretare e dare uno sbocco a questa volontà di lotta, rispondere a questo diffuso e generalizzato bisogno di un nuovo assetto civile e sociale». Sono parole del lontano 1975.
Ben altro ci doveva accadere. Alle speranze di una «democrazia progressiva» si sostituivano gli anni dello yuppismo, la dittatura delle leggi del libero mercato e infine, ultima e immensa offesa, la farsa di processi mai conclusi.
Rimane allora irrisolta una domanda: può un paese che si definisce progredito avere uno sviluppo positivo senza che venga mai fatta giustizia? Certo dopo trent’anni e più, come fa notare Dino Greco, non solo le giovani generazioni fanno fatica a trovare stimoli ad elaborare un interesse per questi argomenti, ma soprattutto coloro che li hanno vissuti provano un senso di stanchezza, di frustrazione, di profondo disagio. Come dar loro torto. Cosa hanno fatto i sindacati, i partiti, le forze politiche per realizzare le promesse di quei lontani anni Settanta? Perfino il titolo del volume appare da questo punto di vista un segnale: «Noi sfileremo in silenzio». Inevitabile la domanda: perchè?
Giulio Toffoli
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