Nanni Svampa, ''il gufo rosicone'' ( VERSIONE TESTUALE ) Matteo Renzi, il pollo che si credeva un’aquila, dopo il patto del Nazareno, non si rese conto, che mentre lui giocava a dama, il vecchio e furbo “Berlu” muoveva i pezzi degli scacchi. In conseguenza di ciò, il pollo, è stato probabilmente il politico, che più ha contribuito al quasi totale dissolvimento della sinistra in Italia. Ma, “bando alle trance”, come direbbe l’amico Andrea Bettini, prode conduttore radiofonico di Bez Radio, e parliamo, anzi scriviamo di Svampa.
Nanni Svampa si è assentato (anche se qualcuno parla di uno dei suoi soliti atroci scherzi) alla fine di agosto del 2017. Non so dirvi la data precisa, io ho un cellulare acquistato 15 anni fa, aveva le istruzioni in rumeno, e non ho la fortuna, o la sfortuna di poter cliccare sul mitico responsore che tutto sa. So che è nato a Milano nel 1938, una città che lui amava visceralmente, un amore che la città ricambiava, riconoscendo in lui il suo testimone più affezionato e capace. Forse lo scorso agosto ai funerali di Nanni non c’erano solo la commozione e il dolore degli amici, forse, mi piace immaginare, che il suo assentarsi per sempre, fosse accompagnato dalla pioggia, e che quelle che scendevano dal cielo non fossero gocce d’acqua, ma lacrime, le lacrime della sua città che rimpiangeva la gioia della sua infanzia del dopoguerra, dell’adolescenza piena di voglia di vivere e di risollevarsi. Una città che gridava ai suoi artisti: Dario Fo, Jannacci, Gaber, Cochi e Renato, Franca Rame, Nanni Svampa e i Gufi; “ragazzi basta!” Mi fate morir dal ridere, e un po’ anche dal piangere, siete troppo anche per me. Nanni Svampa era nato a Porta Venezia, quando questa era ancora un quartiere popolare, con le case di ringhiera, suo padre lo spinse all’università Bocconi, dove si laureò non so con quali voti. Ciò era sicuramente, per lui, un’ottima carta da giocare per avere un posto sicuro in qualche banca o finanziaria, ma l’amore per la musica e il suo anarchico anticonformismo, lo allontanarono per sempre da quelle scelte borghesi. Infatti, nello stralcio di un’intervista rilasciata a quarant’anni, Nanni Svampa disse di sé: “Ho quarant’anni, sono ateo da venticinque, non digerisco i digestivi, mi piace la testina di vitello e il barbera di 16 gradi, sono anticlericale viscerale e non riesco a smettere di fumare”.
Cantautore, scrittore, umorista, attore per Elio Petri e Salvatores, protagonista in RAI di quattro puntate esilaranti nello sceneggiato: “Una domenica di settembre, ottobre, novembre e dicembre a San Virago al Lambro”, ambientato in due prospicienti case di ringhiera. L’originalità, stava nel fatto, che nella casa di sinistra, Svampa recitava la parte della moglie milanese di un terrone interpretato da Lino Patruno, e nella casa di destra dava sfoggio di sé nella parte del marito milanese di una consorte terrona con la faccia naturalmente truccata di Lino Patruno. Da studente, mise su un gruppo goliardico e fuori di cotenna chiamato “i soliti idioti”, precedendo non di poco i futuri Skiantos o Elio e le storie tese. Poco più che ventenne si reca in Francia per conoscere il poeta e cantautore Brassens. Da quell’incontro nacquero tre meravigliosi long-playng; “Nanni Svampa canta Brassens”, tradotti direttamente dal francese in dialetto milanese per mantenere intatta la poesia che legava Brassens alla sua gente, gente delle periferie abituata all’argot piuttosto che alla lingua madre. Collabora con il jazzista Lino Patruno e con lui nel1964 fonda il gruppo mai più eguagliato dei Gufi. A Nanni e Lino si uniscono Gianni Magni il “cantamimo”, e Roberto Brivio il “cantamacabro”. Quattro personaggi smaccatamente eterogenei. Confessa infatti a Gianni Barbaceto, giornalista del Fatto Quotidiano il 29 08 2017, Lino Patruno: “Io e Svampa, dei quattro, eravamo i due più uniti, i più amici, anche i più impegnati. Ma quante litigate! Eravamo quattro teste differenti e litigavamo su tutto, le canzoni, i testi, i temi, le coreografie. Eppure rimanevamo amici e lavoravamo insieme, mettendo insieme le diverse idee di quattro teste matte. Certo, io per fare i Gufi, ho dovuto semplificare la mia musica, ma mi piaceva l’idea di fare una cosa nuova, che nessuno aveva fatto prima, siamo stati i primi artisti di cabaret italiani, attorno a noi avevamo amici come Dario Fo e Franca Rame. Eravamo un po’ figli di Dario, ci trovavamo dopo lo spettacolo, Fo e Rame alla fine della loro recita a teatro, noi del nostro cabaret e spesso facevamo nottata insieme.” Risulterebbe riduttivo pensare a Nanni Svampa solo come componente della banda dei Gufi, gruppo autore di un modo di fare cabaret che a distanza di cinquant’anni mostra di non avere né eredi né emulatori. Nanni Svampa è stato anche altro, molto altro. Da vecchio nostalgico rincoglionito, tutti gli anni, quando mi reco in vacanza nelle Marche, porto con me i 12 cd dell’antologia della canzone lombarda, magistrale opera del Nanni. Non la sola, a casa conservo gelosamente tutti i long-playng dei Gufi, un mattone di circa trecento pagine sulle ricerche che ha fatto Svampa sulle vecchie canzoni della terra della Longobardia dal 500’ ad oggi, un libro che parla dell’incontro di Nanni con Georges Brassens, un disco con le sue canzoni in italiano, una sua raccolta di racconti, dove viene , in un capitolo, rivista in modo satirico e divertente la storia dei Promessi sposi. Posseggo anche tre custodie cartonate con delle bellissime copertine con all’interno i 12 dischi che mi sono costati mese di ricerche negli anni settanta e una cassetta vhs al cui interno vi è un’intervista di due ore che io e miei due amici di radio Andrea Bettini e Nicola spada strappammo a Nanni nel 1996. Un’intervista piacevolissima e interessante che condensammo (purtroppo) in soli 50 minuti per esigenze radiofoniche.
P.S. mI è capitato più volte di consigliare l’ascolto delle canzoni dei Gufi e di Nanni Svampa, non so con quale risultato. Oggi, per quelli che hanno dimestichezza con Internet risulterà molto più semplice reperire, e le sue canzoni e quelle della banda dei Gufi. Buon divertimento.
Il crack delle banche
U. Barbieri
Anno 1896
S’affondano le mani nelle casse — crak!
si trovano sacchetti pieni d’oro — crak!
e per governare, come fare?
Rubar, rubar, rubar, sempre rubare!
I nostri governator son tutti malfattor,
ci rubano tutto quanto per farci da tutor.
Noi siam tre celebri ladron
che per aver rubato ci han fatto senator.
Mazzini, Garibaldi e Masaniello — crak!
erano tutti quanti malfattori; — crak!
gli onesti sono loro: i Cuciniello, Pelboux, Giolitti, Crispi e Lazzaroni.
I nostri governator…
Noi siam tre, ladri tutti e tre,
che per aver rubato ci han fatto cugini del re.
Se rubi una pagnotta a un cascherino* — crak!
te ne vai dritto iii cella senza onore;
— crak! se rubi invece qualche milioncìno
ti senti nominar commendatore.
I nostri governator…
Noi sìam tre celebri ladron
che per aver rubato ci han fatto senator.
*cascherino s. m. [etimo incerto]. – A Roma, il garzone del fornaio che portava con la cesta il pane nelle case, o dal forno lo portava al negozio di vendita.
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