ANTICO MESTIERE ( VERSIONE TESTUALE )È come entrare in un solaio dopo tanti anni. Si sono accumulate così tante cose che non sai da dove cominciare per mettervi un po’ d'ordine.
Procedi quindi a caso, inizi da quella vecchia sedia a dondolo tutta impolverata, ti siedi lasciandoti cullare da quel dolce movimento.
Il dondolio ti ipnotizza e vieni catapultato in quell’impalpabile nulla che è il passato.
“I ricordi sono come vermi che divorano”. Ti crogioli nel tempo che fu, sconfiggi la morte sempre incombente e per un attimo vivi in una dimensione altra, effimera, certo, ma non meno reale.
Un filo invisibile ti lega al passato e una dolce eco va ripetendo: “Coltiva i tuoi ricordi, non dimenticare…”
Così, all’improvviso, mio nonno spariva per due o tre giorni.
La nonna gli preparava una piccola valigia con lo stretto necessario. Il suo sguardo diventava cupo, pensieroso, era già in viaggio ancora prima di incamminarsi.
Io rimanevo basito da quelle improvvise partenze immaginandomi chissà quali avventure.
Non dovevano essere poi così piacevoli queste trasferte, il nonno tornava infatti spesso con un’aria stralunata e l’espressione sofferente.
Rivolgeva alla nonna solo qualche mezza parola per me totalmente incomprensibile.Da grande mi fu spiegato tutto, la realtà era semplice, immediata, e meno romantica di
come l’immaginavo.Il nonno faceva il mediatore: moriva un vecchio
padre di famiglia e lui veniva chiamato per mettere d’accordo gli eredi.
Il mediatore doveva parlare correttamente l’italiano e saper far di conto.
Prima del funerale, ancor prima del dolore, scoppiava una vera e propria guerra per quel
poco che rimaneva da spartire.
Lacrime, sì, ma di rabbia, di livore, di rancore. La salma condannata ancora per qualche
ora alle miserie umane, il mediatore la liberava definitivamente verso il Padre eterno, il prete
nelle ore successive suggellava quel distacco. Nelle nostre camminate silenziose per i
monti mi raccontò di una strana mediazione:
era morto G., uomo generoso e benvoluto da tutti.
Nella bara pareva che persino la morte si fosse pentita di averlo portato via così all’improvviso.
Uno strano alone rendeva quel viso stranamente malinconico, ancora umano.
Inaspettatamente, come un fulmine a ciel sereno, scoppiò una lite feroce tra i figli.
Urla, spintoni: nella forte concitazione la bara si ribaltò e il corpo di G. cadde a testa in
giù.
La lite si inasprì finché il figlio maggiore non inciampò sul corpo del padre, che si capovolse.
Gli occhi completamente sbarrati gelarono i presenti. Quell’alone misterioso sul suo volto
si dileguò lasciando il posto al ghigno sprezzante di chi finalmente si è sbarazzato di questo
mondo.
Rimorso, paura, inquietudine: la morte era tornata in sé, aveva messo d’accordo tutti in
pochi attimi. Mi disse il nonno: “Renzo, non dimenticherò
mai più quegli occhi spalancati, mai più…”
öcc spalancàc da là pòra
öcc stralunàc nel vot
(tratto da “Racconti della Valtrompia” di Renzo Cominassi)
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