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Residenza ''Le Rondini'' a Lumezzane Un progetto di avanguardia per l’Alzheimer
Un’altra serata interessante e molto sentita dai soci del R.C. Valtrompia che hanno partecipato numerosi: ospiti tre medici della R.S.A.” Le Rondini” di Lumezzane, invitati a parlare di un nuovo processo terapeutico per alleviare i sintomi della malattia di Alzheimer
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Residenza ''Le Rondini'' a Lumezzane Un progetto di avanguardia per l’Alzheimer
( VERSIONE TESTUALE )

Il Presidente Massimo Paccagnella ha dato subito la parola a Felice Berna, artefice della serata e membro, insieme a Claudio Bugatti ed a Massimo Bossini, presenti in sala, della” Fondazione Le Rondini ONLUS” che da anni sostiene la R.S.A. “ esempio di efficace sinergia tra Ente pubblico( Comune e Regione) e sfera privata “. Massimo Bossini, Presidente della Fondazione, dedica tempo ed energie, ovviamente a titolo gratuito, alla gestione economica e funzionale della Residenza: ordine, qualità, eccellenza sono il suo motto trasferito dalle sue Aziende a questa realtà molto delicata, soprattutto nei rapporti con le istituzioni, allo scopo di mantenere il giusto equilibrio costi -efficienza.
Felice Berna, infine, ha espresso parole di encomio nei confronti dei medici e dei numerosi volontari, fiore all’occhiello per Lumezzane e per la Valtrompia.
La dottoressa Elena Valentini, Direttrice delle Rondini, ha poi presentato la struttura, da tempo completamente modernizzata, che, superato il vecchio concetto di “ ricovero “ è stata riconosciuta e certificata come R.S.A., ovvero Residenza Sanitaria Assistenziale, in grado di adempiere i “ diktat “ della Regione Lombardia in merito all’organizzazione ed all’approccio con l’utenza. E proprio nella prima slide la Dottoressa ha mostrato e commentato l’organigramma, strutturato come in un’azienda, in cui ciascuno dei 139 operatori riveste un ruolo ben preciso per il quale è formato e preparato; da questo sono esclusi i servizi di pulizia e territoriali affidati a due cooperative.
Lo staff dirigenziale, formato dai medici e da un assistente sociale responsabile della qualità, lavora in stretta collaborazione e coordina tutti i servizi. La residenza è contrattualizzata con la Regione Lombardia che eroga un contributo agli 85 + 20 ospiti a contratto; altri 15 ospiti sono solventi accreditati e cinque solventi autorizzati (ma ahimè la lista d’attesa conta 200 persone). La Residenza offre ulteriori servizi: la “ casa “, un esperimento provinciale promosso dalla Regione, ospita persone parzialmente autosufficienti; il servizio diurno, che oggi conta 17 ospiti ed i servizi territoriali per l’assistenza a domicilio (igiene, compagnia, pulizia, eccetera); infine un servizio di pasti a domicilio di cui oggi fruiscono circa 60 persone. Come progressivo è il decorso del decadimento cognitivo così lo è l’accesso degli ospiti ai vari servizi della R.S.A. : l’assistenza domiciliare in una fase iniziale, gestibile dalle famiglie, in seguito i servizi diurni, la” casa” e, nelle fasi più critiche, la R. S.A. vera e propria.
Dell’aspetto clinico delle demenze e della malattia di Alzheimer in particolare, ci ha parlato il dottor Mauro Zimelli, geriatra. Si tratta di malattie neurovegetative dell’encefalo che sorgono quasi sempre in età avanzata e comportano un progressivo declino delle facoltà cognitive compromettendo le attività fondamentali della vita quotidiana. I sintomi inizialmente compaiono in modo subdolo, ma poi si manifestano chiaramente: compromissione della memoria (dapprima solo anterograda, successivamente anche retrograda).
Afasia: impoverimento del lessico con difficoltà sia ad esprimere concetti che a capirli.
Aprassia: compromissione dei movimenti.
Agnosia: incapacità di riconoscere oggetti e persone.
In sintesi lo svuotamento della persona da tutte le facoltà intellettive. I sintomi diventano sempre più severi e sono irreversibili tranne nei casi in cui lo sviluppo della malattia sia secondario ad altre malattie che, una volta risolte, consentono un recupero sia pur parziale.
Le statistiche parlano di 50 milioni di pazienti nel mondo di cui il 50/70% sono affetti di malattia di Alzheimer, dati sicuramente in aumento a causa dell’allungamento della vita media: il 3% dei pazienti ha un’età compresa tra 65 e 75 anni, il 20% tra i 75 e 80 ed 70 80% oltre gli 80 anni.
Esistono fattori di rischio non modificabili: la predisposizione, la familiarità, il sesso femminile (legato al calo di estrogeni) e modificabili, come l’alimentazione, il fumo, l’ ipercolesterolemia, il diabete e l’immobilità.
In particolare la malattia di Alzheimer interessa l’area corticale (più esterna) del cervello e presenta sintomi comuni a tutte le demenze, con un andamento che può durare dai 5 ai 16 anni e rivela, specie in fase avanzata, importanti disturbi di comportamento come l’agitazione, le allucinazioni fino alla disfagia con conseguente cachessia e spesso polmonite ab ingestis ed esito infausto.
Come per tutte le demenze non esistono cure ed il trattamento è solo sintomatico e si avvale di farmaci antipsicotici, mezzi di contenzione, e, più recentemente, di interventi mirati sulla persona, atti a renderle più vivibile gli ultimi anni. E proprio in quest’ottica l’équipe medica ha deciso di utilizzare un metodo chiamato Gentlecare (ovvero cura gentile). Ce lo ha illustrato la Dottoressa Margherita Ceresoli. Riconosciuto e remunerato fin dal 2012, ha potuto essere applicato solo nel 2017 perché ha richiesto , da una parte una completa “rivoluzione” del nucleo Alzheimer con un notevole impegno economico, dall’altra un lungo periodo di preparazione e di formazione dei 35 operatori. L’obiettivo è promuovere il maggior benessere possibile della persona in assenza di stress e la restituzione della propria dignità.
Gli strumenti utilizzati riguardano l’ambiente ordinato, accogliente, tranquillo, ricco di luce e di colore, tale da evocare la condizione domestica e da consentire ai pazienti una certa libertà di movimento “ sorvegliato “. In un contesto chiuso e protetto . È stata simulata una cucina, una nursery, un ufficio: luoghi dove i pazienti possono, a loro modo, svolgere piccole attività già vissute in passato e condividerle con gli altri o con i visitatori esterni. L’altro pilastro su cui poggia il metodo Gentlecare sono gli operatori – educatori che lavorano sempre in sinergia: dalla ricostruzione del vissuto del paziente con il supporto dei familiari ,all’individuazione di strategie riabilitative personalizzate passibili di continue revisioni e correzioni in seguito alla quotidiana attenta osservazione del paziente stesso. Ed i primi risultati positivi sono già arrivati: si sono potuti ridurre i mezzi di contenzione sia fisica che farmacologica grazie ad un miglioramento delle turbe comportamentali più gravi. Il tutto è merito dell’instancabile lavoro profuso dai medici e da tutti gli operatori che, oltre ad essere professionalmente formati, devono essere caratterialmente predisposti all’empatia, alla pazienza, alla generosità. Proprio questa è l’aria che si respira nel nucleo Alzheimer anche per i familiari ed i volontari che vi accedono. Non a caso sulla porta d’ingresso sta scritto “ Se qualcuno ti invita nel suo pezzo di cielo ricordati di portare l’arcobaleno “.


Giuseppe Martinazzi


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