JACQUES PRÈVERT, POETA DA STRADA ( VERSIONE TESTUALE ) La sua era una poesia da usare, da consumare come un buon pasto caldo o un bicchiere di vino rosso. Acuto osservatore, attraversava le strade di Parigi attento allo svolgersi dell’umana tragedia degli ultimi e degli emarginati. Jacques Prévert nasce a Neuilly-sur-Seine il 14 febbraio del 1900 da padre bretone e da una madre originaria dell’Alvernia. Frequenta le scuole a Parigi mostrando già da giovane un atteggiamento insofferente alla disciplina: ... egli dice si con la testa\ e dice no col cuore\ dice si a chi ama\ e dice no al professore… A quindici anni, terminati gli studi, si rimbocca le maniche e comincia a guadagnarsi da vivere svolgendo svariati mestieri, entrando nel cuore di un’umanità lontana dai palazzi della politica, del clero e della nobiltà. Prèvert conosce così lo stato in cui versa l’uomo moderno, e si rende conto che la promessa di un mondo migliore va letta nella realtà quotidiana e che essa non è frutto di un sogno ma di una presa di coscienza. Basterebbe leggere “Cavallo in un isola” per capire lo sdegno e l’indignazione che attanagliano la sua anima tesa verso il linguaggio da strada a tutti comprensibile e pregna di una voglia di ribellione che riconsegni agli uomini tutti la dignità del vivere. Il poeta si mette dalla parte di questo linguaggio, dei sentimenti dell’uomo semplice. Le sue sono narrazioni per i diseredati, per tutti quelli che sono stanchi di attendere in eterno accanto ad una porta. Anarchico, sovversivo, visceralmente anticlericale, Prèvert è il poeta che più ha sbeffeggiato: Chiesa, preti, cardinali e financo Dio. Scrisse di lui Raymond Queneau: “Non credo di essere mai uscito con lui in quegli anni (e allora ci incontravamo quasi ogni giorno) senza che egli causasse qualche incidente.” Nel 1930 la rivista Bifur ospita i suoi “Ricordi di famiglia, ossia l’angelo guarda ciurma” entrando così a gamba tesa nell’ipocrisia del clero non solo francese. Tra il 1932 e il 1936 Prévert scrive dei testi teatrali per la compagnia “Gruppo d’ottobre”. Nello stesso periodo inizia le sue collaborazioni cinematografiche e comincia a scrivere canzoni, alcune interpretate da Juliette Greco. Nel 1937 torna al cinema collaborando con il regista Marcel Carnè. È nel 1938, dopo il soggiorno negli stati Uniti durato un anno che Prèvert scrive la sua seconda sceneggiatura per Carnè: “Quai de brume” ovvero “Il porto delle nebbie” con attori come Jean Gabin Michelle Morgan e altri. L’attore Jean Gabin è anche protagonista di un altro film del regista Marcel Carnè: “Alba tragica” (Le Jour se leve). Se siete curiosi del resto potete consultare Wikipedia. Io vi voglio lasciare con il testo di una lettera che Prévert inviò, presumo nel 1961, all’abate Viénot, curato della parrocchia di San Rocco a Parigi. L’abate in questione pubblicò in un bollettino parrocchiale una sua poesia che aveva per titolo : “Colazione al mattino” titolandola “Mio marito” indispettendo non di poco il poeta.
Signore, gradirei sapere in base a quale diritto divino o altro, voi vi siete permesso di riprodurre nel vostro bollettino parrocchiale, “Il messaggero”, cambiando il titolo-per trarre in inganno- un testo firmato da me ed apparso altrove moltissimo tempo fa. Amministrando così, tipograficamente, il sacramento del matrimonio a due creature di inchiostro, di carta e –come potreste saperlo?- forse contemporaneamente, di presenza reale, di carne e di sangue, non avete agito con inconcepibile leggerezza? Chi vi dice che non abbiate imprudentemente travestito due innocenti ed affascinanti omosessuali da vittime del dovere coniugale? Se vi deste la pena di rileggere attentamente quel testo, sarete costretto a riconoscere che nulla vi consente di rifiutare questa ipotesi azzardata
Termino con alcune frasi di cortesia che ho il tatto, come pure il piacere, di tener celate.
JACQUES PRÈVERT
Colazione al mattino
Lui ha messo il caffè nella tazza,
ha messo il latte nella tazza del caffè,
ha messo lo zucchero nel caffelatte,
ha mescolato col cucchiaino,
ha bevuto il caffelatte
ed ha rimesso la tazza a posto.
Senza parlarmi.
Ha acceso una sigaretta,
ha fatto cerchi col fumo,
ha messo la cenere nel posacenere.
Senza parlarmi.
Senza guardarmi si è alzato,
si è messo il cappello in testa,
ha indossato l’impermeabile perché pioveva,
se n’è andato sotto la pioggia,
senza una parola, senza guardarmi,
ed io ho preso la mia povera testa nelle mani,
ed ho pianto.
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