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Vorrei spezzare tre lance in favore di Charles Bukowski. La prima perché è un grande scrittore, la seconda perché è un grande poeta, e la terza perché non ha mai fatto la puttana a nessuno.
So che la maggior parte di voi non sarà d’accordo con queste mie considerazioni, soprattutto le “puttane” tra virgolette. I suoi racconti e il suo ultimo libro “Pulp”, hanno un’evidenza, una fisicità, un realismo, acuto, pungente, acido, difficilmente riscontrabile in altri scrittori. Lo stile di Bukowski è inconfondibile, unico. Il suo umorismo amaro, sulfureo, e il suo sarcasmo, sono usati come un carapace per proteggere non tanto il suo corpo o la sua anima, ma la sua essenza umana.
Nessuno prima di lui aveva avuto il coraggio di rivoltare le mutande sporche dell’America e mostrarle a tutti indistintamente. Bukowski ha dissacrato il Sogno Americano e la sua delirante e perversa follia, cantando non l’America dei poveri negri, o dei poveri indiani, o dei chicanos, bensì quella dei bianchi poveri, confusi, e senza speranza. Un’America ai margini, plebea, clandestina, pezzente. L’America non glielo perdonò. Il suo primo libro fu pubblicato in Germania, suo paese d’origine, dove ebbe un successo strepitoso. In Italia comparve nel 1975 con un’opera dal titolo intrigante: “Storie di ordinaria follia”. Parolacce, sbronze, seghe. Sporcizia non solo morale.
Uno scandalo in piena genuflessione avrebbe scritto Prevert. Io ebbi modo di conoscerlo attraverso una serie di letture su Radio Uno nel 1978 che durò quasi un mese. Ogni sera dalle 18 alle 18,30 un suo racconto veniva letto da Arnoldo Foà. Cose “Alte”, che non avevano niente a che vedere con “Storie di ordinaria follia” film patetico, scarso, interpretato da Ben Gazzarra e da Ornella Muti.
Un altro film fu tratto da un suo lungo atto unico teatrale: ”Barfly” ovvero “Mosca da bar”.
Quest’ultimo magistralmente interpretato da una Faye Dunaway affascinante come non mai nella parte dell’amante quasi fissa di Chinasky, alter ego di Bukowski, sorretto da un Michey Rourke gonfio, barbuto, quasi plagiato dal personaggio che doveva interpretare. Riconosco che è difficile non provare quasi un antipatia nei confronti di questo scrittore. Un po’ il fastidio che si prova quando dobbiamo cercare qualcosa nel cesto della biancheria sporca. Ma, siate tenaci, curiosi, non cercate solo in superficie, io penso che il modo migliore per capirlo ed apprezzarlo, sia attraverso i suoi scritti: Tutti! Imparerete qualcosa di più sull’animale più pericoloso, feroce e vile che mai abbia popolato il pianeta Terra: “L’uomo”! Nato ad Andernach in Germania nel 1920, Charles Bukowski emigrò negli Stati Uniti con la famiglia all’età di due anni. Visse a lungo a Los Angeles e cominciò la sua carriera letteraria pubblicando racconti sulle riviste “Underground” arrivando poi al successo. Scomparve nel 1994, lasciando un Buko w sky, un buco vivo nel cielo. Tra i suoi libri più noti usciti in Italia citiamo: “Confessioni di un codardo”, “Pulp”, “Storie di ordinaria follia”, “Taccuino di un vecchio porco”, “Musica per organi caldi”, “A sud di nessun nord”, “L’amore è un cane che viene dall’Inferno” e l’autobiografia giovanile “Un panino al prosciutto”, libro chiave per capire meglio la personalità anarchica e individualistica di Bukowski e il suo difficile controverso rapporto con il padre. Bukowski è stato l’Oliviero Toscani della letteratura, ma è difficile pensare a lui come ad un pessimista. Dopo le torture dei parà italiani in Somalia, dopo i pedofili belgi, dopo le torture americane in Iraq, dopo lo scandalo del sangue infetto (do you remember?), e lo scandalo degli aiuti al Terzo Mondo della Caritas, 20 miliardi delle vecchie lire nel 1996 di cui la Corte dei Conti chiese le pezze d’appoggio ottenendone solo per 2 miliardi, dopo lo scandalo Moncini (protetto dalla curia veneta) che chiedeva ad un agente della FBI (naturalmente lui ignorava l’identità del suo interlocutore) se dopo aver torturato la bambina brasiliana (che stava comperando) con i chiodi, poteva anche ucciderla, dopo bambini di dodici anni strozzati e sciolti nell’acido, dopo il contrabbando di organi di giovani e adulti, scandalizzarsi per i racconti di Bukowski sarebbe da mentecatti. Bukowski non è un rimestatore di immondizie o di frattaglie, lui è solo il cronista disgustato e cinico della vita quotidiana nella disumanizzata America. Scriveva Beniamino Placido nella sua prefazione a “Factotum”: “Stiamo attenti per carità alle identificazioni sciocche, Bukoswki non è soltanto un vagabondo, è un vagabondo che scrive. Non è soltanto un senza lavoro, è un senza lavoro che scrive. Non è soltanto un disperato, è un disperato che scrive, che descrive la disperazione sua e quella degli altri. Ma mentre quella degli altri rimane irredenta, la sua risulta riscattata alla fine dalla scrittura.
Così si racconta Bukowski: Bukowski non sa vestire, Bukowski non sa parlare, Bukowski ha paura delle donne, Bukowski ha lo stomaco in cattivo stato, Bukowski è pieno di terrori, odia i vocabolari, le monache, le monete, gli autobus, le chiese, le panchine del parco, i ragni, le mosche, le pulci, i depravati; Bukowski non ha fatto la guerra. Bukowski è vecchio, Bukowski non fa volare un aquilone da 45 anni; se Bukowski fosse una scimmia lo caccerebbero via dal branco …
Queste poche righe (tratte dal citato “Storie di ordinaria follia”) rappresentano una delle più lucide e disincantate descrizioni che l’autore ci abbia offerto di sé. E proprio questa rappresentazione di uomo distrutto, cinico, misantropo e nichilista che lui stesso si ritagliò addosso, lo contraddistinse per tutta la vita, tanto che le cose che caratterizzarono il Vecchio furono più o meno sempre le stesse: le corse dei cavalli, il sesso e l’alcol.
Bukowski non ha scritto “molte poesie”, Bukowski ha scritto una prateria di poesie, ed è stato difficile per me che ho letto ogni sua antologia uscita in Italia sceglierne una che le riassumesse tutte. Spero di aver fatto del mio meglio.
La poesia è un frammento di “John Dillinger e le chasseur maudit”.
…ho ricevuto lettere da un giovane poeta
(giovanissimo, pare) che mi dice
che un giorno sarò certamente riconosciuto
come uno dei massimi poeti mondiali.
Poeta! Una malversazione: Oggi
ho camminato nel sole e nelle strade di questa città:
senza vedere nulla, senza imparare nulla,
senza essere nulla, e tornando alla mia stanza
ho incontrato una vecchia con un orribile sorriso:
era gia morta. E dappertutto ricordavo fili:
telefonici, elettrici, fili per visi elettrici
chiuse nel vetro come pesci rossi e sorridenti,
e gli uccelli erano scomparsi,
nessuno di essi voleva un filo o il sorriso del filo
e io chiusi la porta (finalmente)
ma oltre le finestre era lo stesso:
una tromba suonò, qualcuno rise,
l’acqua scorreva in un cesso,
e stranamente allora
pensai a tutti i cavalli numerati
che sono passati tra le urla,
passati come Socrate, passati come Lorca,
mi piace immaginare che la morte
non avrà troppa importanza
se non come un fatto di roba da smaltire,
un problema come lo scarico dei rifiuti,
e anche se ho tenuto le lettere del giovane poeta
non gli credo,
ma come i palmizi malati
e il tramonto del sole,
ogni tanto le guardo. |