IL TREDICESIMO APOSTOLO ( VERSIONE TESTUALE ) Si era alzato uno strano vento, alcuni piccoli rami di castagno si staccarono come lacrime di legno e si adagiarono sull’erba nuova, morbida come la pelliccia di un orsacchiotto. Il vento era caldo, insolito, carezzevole come il riaffiorare di un piacevole ricordo, come l’attesa degli amici che verso le venti mi avrebbero raggiunto per la cena e per le agognate innumerevoli chiacchiere. Seduto sui gradini della baita, in un rigurgito di infanzia, stavo scortecciando un ramo di nocciolo di circa 120 centimetri di lunghezza e 3 di diametro. Avevo già intrecciato 3 fili di spago sottile per avere una corda leggera e robusta. Insomma stavo costruendo un arco come facevo quando avevo 10 anni, due frecce erano già pronte, avrei appeso il tutto all’interno appena sopra la fionda, in alto, sulla parete divisoria. Mi sentivo osservato, alzai la testa. Tra i due agrifogli posti all’entrata della tenuta avanzava una strana figura. Era un uomo dalla faccia di cuoio, capelli lunghi legati a coda sulla nuca, calzoni di tela grezza tagliati a meta polpaccio, piedi nudi e callosi. Un dèjà vu sconcertante, lo sapevo che quell’amarone da 18 gradi lo dovevo lasciare tappato, perché io quell’uomo l’avevo già visto nell’ottobre del 1970 in piazza delle erbe a Brescia, solo che allora trascinava un lungo carretto sotto gli occhi incuriositi delle persone che affollavano il mercato settimanale. Stessa faccia, stessi capelli, stessa andatura atletica, possibile pensai che dopo 50 anni solo io fossi invecchiato? O era un sogno alcolico ad occhi aperti? Ero seriamente preoccupato. Il tizio si fermò a 4 metri da me. Avrei voluto guardarlo in viso ma non ci riuscivo. In 10 secondi mi radiografò dalla testa alle unghie. Sentii uno strano formicolio. Porca Eva pensai, o è un extraterrestre, o è un androide fuggito da qualche laboratorio sconosciuto. Probabilmente mi lesse nel pensiero, anzi, certamente lo fece, perché si mise a ridere fragorosamente battendosi le mani sulle cosce e disse: Davvero vecchio rincoglionito non mi riconosci? Davvero tu che ti spacci per meccanico, poeta, pseudo giornalista,scrittore, coconduttore radiofonico, pessimo personaggio televisivo, tu bambino Giuseppino, detto anche il “moccioso frignante”, non riconosci l’oggetto, il destinatario delle tue natalizie spregevoli lettere? Porca puttana,pensai, non sarà mica Gesù Cristo? Per tua sfortuna sono proprio io, rispose leggendomi nel pensiero, e lascia stare la Maria Maddalena. Scusa, non era mia intenzione, è un modo di dire, anche perché in Italia, non sono le prostitute il problema, perché loro alla fine danno via del proprio, sono altri che prendono la maggior parte del “nostro”. Ma scusa dammi la “trama”, sei venuto a tagliarmi la lingua, le orecchie, a friggermi il cervello, o ti siedi e beviamo un bicchiere di vino? Perché un po’ di colpa l’avete anche tu e tuo padre di quello che succede, non si possono lasciare i bambini da soli nel parco giochi e poi stupirsi se qualcuno si fa male, o se si picchiano tra di loro. Si sedette spostando lentamente la sedia, pareva gli fossero caduti un paio di secoli sulle spalle muscolose. Entrai in casa e presi un calice di cristallo, non era il Santo Graal ma sperai che lo avrebbe apprezzato ugualmente. Stappai anche una bottiglia di Bonarda. Basta Amarone da 18 gradi. Mi ringraziò con un cenno del capo e alzò il bicchiere per toccare il mio. Sai disse, non ce l’ho con te, prima di raccontarti perché sono in giro in Italia da 50 anni ,vorrei che tu mi spiegassi la storia del tredicesimo apostolo e perché ti spacci per lui. Madonna santa, pensai ,sono rovinato. Ad essere veramente sincero, non ne so molto, ho ricevuto un paio di scritti da due miei amici, due sciamannati che si drogano di acqua minerale e coca cola, e che come diceva Confucio, sono come i secchi per misurare il riso, non vale la pena di parlarne. Anche perché io la storia del tredicesimo apostolo, contrariamente a loro un po’ la conosco e so che è stato forse l’unico che ha cercato di salvarti dalla crocifissione. Per cui di questo fortunatamente sono parzialmente innocente. Dico parzialmente, perché anch’io ho la mia parte di vanità e gli scritti dei miei amici mi hanno fatto piacere. Dovevo assolutamente deviare il discorso dalla storia dell’apostolo. Ma, piuttosto, raccontami del tuo peregrinare per l’Italia tutta, perché io sono assolutamente certo di averti visto trascinare il tuo carretto a maggio del 1971 sulla strada che da Civitavecchia conduce a Roma, l’Aurelia mi pare. Sì, ero proprio io, ma ora non ho tempo, devo tornare su, ma ti prometto che mi farò vivo il prima possibile. Sai ho lasciato detto che venivo giù a fare un salto, e sono stato via mezzo secolo, e poi tra qualche settimana è Pasqua e non vorrei che qualcuno mi riconoscesse e gli venisse voglia di rivedermi su una croce. Una volta mi è bastato.
Vediamo di finire sta bottiglia che in Paradiso sono proibiti gli alcolici. Facemmo l’ultimo brindisi, guardando un meraviglioso tramonto attraverso i nostri calici di rosso. Ciao disutile poeta, me ne devo proprio andare, lo faccio malvolentieri, questo luogo è intriso di buona medicina e se penso che devo presentarmi a Pietro prima di varcare la soglia del Paradiso mi viene il magone. Ah, ma se mi chiede di fare il palloncino, giuro che gli do un pestone che lo sentono urlare fino giù all’inferno, sai le risate dell’Angelo Nero, e se si azzarda ad aprire bocca gli infilo un galletto vivo giù per il gargarozzo, così questa volta i chicchirichì li sente dall’interno quella carogna, che almeno Giuda mi ha tradito per 30 denari, lui no, l’ ipocrita l’ha fatto gratis. Appena torno su vado anche a rileggermi tutte le tue letterine così quando torno a trovarti abbiamo qualcosa di cui parlare. E adesso, pensai, che gli racconto ai ragazzi? Intanto devo far sparire la bottiglia dell’amarone. Poi con calma mi inventerò qualcosa.
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L’ARCOBALENO
Il sole, rosso di vergogna faceva capolino velocemente, nuvoloni grigi carichi di pioggia avanzavano minacciosi;
flebili raggi di sole tentavano di intrufolarsi in quegli interstizi azzurri, la luce si rifletteva sul lago come in uno specchio.
In certi punti pioveva, in altri pareva piovere, si creavano e si disfacevano in pochi istanti quantità incredibili di panorami.
L’ultimo il più affascinante, un meraviglioso arcobaleno, sfumato nel suo nascere, aumentava la tonalità dei suoi colori mentre si avvicinava al cielo.
Dio dopo il diluvio sancì un patto con Noè: “Mai più diluvi sulla terra”.
L’arcobaleno divenne sigillo di quel patto.
Da molto tempo non mi sentivo così in pace, rimasi incantato di fronte a quello scivolo che univa, anche se in modo illusorio, la terra con il cielo.
Per caso incontrai gli occhi di mia moglie.
Un pensiero mi colse di sorpresa. Si convive per amore, per solitudine, per noia, per interesse, per abitudine, per ruoli, per normalità… e questi due ultimi mesi io e te?
Ecco svelato il segreto, noi siamo personaggi di una stessa favola.
Pinocchio è il nostro racconto.
Tu sei un dolce e affascinante grillo parlante, la coscienza, così vicino al reale, una voce che non può mancare.
Io, Pinocchio, vivo nelle bizzarre geometrie dell’invisibile, in folli e strampalati racconti.
Essere due personaggi della stessa favola, ci ha aiutato permettendoci anche nei momenti più bui di intravedere quell’arcobaleno che unisce i nostri cuori.
“Rari, preziosi momenti d’estasi nell’attimo in cui compare un arcobaleno”.
Renzo Cominassi
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