Nel 2005 era stato pubblicato il massiccio volume di Luciano Fausti «Nel novecento a Brescia» (2005, pag. 723, Euro 30), un’analisi approfondita del contributo culturale dato da Renzo Baldo alla cultura e alla vita civile della nostra città. Ora esce un volume di Mario Cassa, curato da una vera e propria legione di amici e allievi, dal titolo «Il primato della ragione. Antologia degli scritti di Mario Cassa» (Edizioni l’Obliquo, 2007, pag. 263, Euro 25). Si tratta di un lavoro davvero notevole poiché costituisce l’esito di una cernita realizzata all’interno degli oltre 1200 scritti giornalistici del Cassa, realizzati nel giro di un quarantennio.
Per loro natura gli scritti destinati ai giornali hanno un destino scandito dalla breve vita della pubblicazione su cui escono: un giorno, al massimo una settimana. Cassa, secondo una vecchia scuola culturale ormai al tramonto, ha cercato sempre di lavorare secondo un altro stile che voleva conservare, anche per le sue opere minori, una dignità culturale alta. Lasciamo la parola allo stesso Cassa: « È vero che scrivendo su un “quotidiano” dovrei occuparmi più presto di attualità, delle cose che accadono: anzi dovrei seguire l’esempio di tanti “maestri” in proposito, che anticipano l’evento e sorprendono il lettore quando ancora gli arcani, nascosti dietro ai fatti, non si lasciano ben vedere. Ma io posso e devo occuparmi invece dell’attualità solo in quel modo, un po’ strano, che consiste nel parlare di ciò che è fondamentale e perciò incombente. Devo evitare di occuparmi dell’attualità che occupa l’orizzonte delle notizie per occuparmi di ciò che stando al centro di questo orizzonte è onnipresente» (pag. 189).
Per i più giovani o per chi non abbia frequentato a fondo il mondo della cultura e della politica dagli anni sessanta a oggi cerchiamo di delineare la figura di Cassa, che a Brescia ha costituito un vero e proprio riferimento culturale decisivo, accanto all’altra personalità di spicco del secondo dopoguerra, quella di Baldo.
Mario Cassa ha havorato per lunghi anni al Liceo Classico Arnaldo e poi all’Università di Verona, occupando la cattedra di filosofia. Questo impegno si è consolidato nella produzione di una ricca messe di lavori, volumi, saggi e articoli, che hanno cercato di interpretare secondo i modelli della ragione occidentale le tematiche della cultura cristiana e di quella marxista, senza dimenticare l’attenzione alle filosofie della crisi, in particolare Nietzsche e il nichilismo occidentale.
La scelta dei curatori è stata di fare una difficile cernita fra gli articoli usciti sul «Giornale di Brescia», su «La gazzetta del mezzogiorno» e su «Bresciaoggi» dal 1954 al 1992. Il volume infine si conclude con una ricca bibliografia utile per chi, spinto dalla lettura di questi testi d’occasione, voglia fare il «grande passo» e leggere le opere più impegnative del Cassa.
Per cercare di dare un’idea della varietà della produzione di Mario Cassa, che spazia dagli interessi filosofico-teologici a quelli politico-artistici con uno sguardo sulla realtà davvero a 360 gradi, fermeremo la nostra attenzione su alcuni articoli campione.
In un articolo del settembre 1967, «Don Milani e la scuola», Cassa cerca di fare i conti con lo scritto da molti punti di vista «rivoluzionario» prodotto dalla scuola di Barbiana pochi mesi prima. Rileggiamo oggi le parole di Cassa, il suo appassionato giudizio: «Non è facile citare oggi un testo che meglio di questo esprima animo pulito, mente chiara e sicura, convinzioni semplici e solenni, ove si incontrano, non per caso, e non in superficie, l’Evangelo e la pratica delle più attuali, concrete esigenze civili e sociali». Paragoniamo queste parole con la difficile realtà della scuola d’oggi e con il giudizio che venne allora espresso su quella recensione da una rivista come «Testimonianze», che sottolineava l’equivoco di chi rischiava «con la lodevole intenzione di rendere più digeribile il testo» di «svuot(arlo) completamente di significato...liquidandone la forza polemica» (Testimonianze 100, dic. 1967, pag. 921). L’analisi di questa polemica può essere un interessante strumento per comprendere un aspetto del processo che, complice l’incapacità da parte delle istituzioni politiche di comprendere e dare voce alle istanze di rinnovamento che allora lievitavano nella società italiana, ha segnato i destini della scuola italiana, fino a portarla a vivere una fase, come quella che stiamo affrontando, di vera e propria imbalsamazione e restaurazione culturale.
Non meno interessante l’articolo del 28 maggio 1986: «La peste del pensiero», che riprende l’irrisolta meditazione su Piazza Loggia, dove Cassa ricorda che quella stagione fu davvero uno «spartiacque nella storia italiana degli ultimi quarant’anni. La minaccia del terrorismo di Stato...giunse in quella orribile estate a fare il colmo nella disperazione di un largo margine di giovani di allora, trascinati via via, da quella disperazione, all’opposto terrorismo; quello appunto inteso a colpire la trama, che appariva altrimenti inafferrabile del terrorismo nero, della congiura di Stato...Tutte le vittime, tutto il dolore di quasi vent’anni di “destabilizzazione”, tutto trae la sua origine prima dalla congiura, dal terrorimo di Stato. Le date parlano chiaro» (pag.138).
Parole lapidarie pensando a quello che è venuto dopo. Un’imponente manipolazione mediatica ha fatto sì che fin nella coscienza profonda della popolazione di questo sfortunato paese si sia venuta sedimentando, in un clamoroso caso di revisione storica strisciante, l’immagine degli anni settanta come l’età del terrorismo rosso, degli «anni di piombo». Un vero e proprio travisamento della realtà, che ha fatto di una parte, pur tragica, il tutto!
Merita continuare a citare alcune righe del Cassa: «Parlo appunto della sincerità, della franchezza, dell’onestà, insomma della luce che rendeva comunque trasparenti le parole, i discorsi, i gesti di quei giovani: e parlo della opacità della rassegnazione all’equivoco, della banalità che spegne le parole, i discorsi d’oggi». Ed ancora: «Non erano violenti in nulla e per nulla i giovani che avanzarono fino al ’74; erano caparbi e tenaci per la forza d’un pensiero. Quale che fosse e comunque lo si giudichi, quel pensiero era comunque schietto pensiero, ossia trasparenza, autenticità, rigore morale». Si potrebbe continuare ma lasciamo questo piacere ai lettori aggiungendo forse che valgono per quella generazione di cui ci sta parlando il Cassa le parole di un altro artista/intellettuale, come Gaber, che ha ironicamente meditato sui nostri ultimi decenni quando ha detto, quasi come suo ultimo lascito: «la mia generazione ha perso».
Infine in «Mario e il mago» del marzo 1990, rifacendosi al racconto di Thomas Mann, Cassa cerca di fare i conti con maghi e maghetti della società d’oggi e fa notare, con parole che a quasi venti anni da quando furono scritte non solo conservano la loro attualità ma anzi appaiono più che mai valide: «Mai, ho detto assolutamente mai, s’è verificato che un’unica forza oggettiva, meccanica, fattuale... governasse il mondo con la indiscriminata, esasperata, assillante e assillata produzione e provocazione di desideri, esonerandoli da ogni sia pur cauto confronto o controllo con le esigenze della ragione» (pag.190). Da queste parole Cassa ne deduce un’analisi certo carica di una nota pessimistica su una realtà in cui la reificazione è giunta alla sua più alta espressione in una realtà in cui la società si è fatta spettacolo e tutti, anche i cosiddetti intellettuali indipendenti, che pontificano dalle pagine dei giornali, ne sono asserviti. «Questo processo che si svolge nel teatro in cui economia e politica impongono la loro concorde, affiancata magia, è di gran lunga il più grosso di tutti: delitti ed eccidi sono oggetto di pronta segnalazione; ma lui, il malfattore, il mago nessuno lo vuole accusare, nessuno lo vuole riconoscere».
Cassa descrive così il mago di cui sta parlando: «il partito del teatro... della paranoia scientifica, del progresso vero verso la morte». Chi gli si oppone? Ancora Cassa: «dall’altro il partito del rifiuto, il partito di chi punta i piedi davanti al precipizio verso la disintegrazione della ragione umana... è il partito di tutti coloro che intanto non hanno voce perchè rifiutano di entrare in quel teatro in cui incautamente entrò settant’anni fa quel Mario personaggio di Thomas Mann». Cassa conclude il suo pezzo con una profezia lanciata verso il futuro: «Io so per certo che solo questo partito invisibile, muove nel senso giusto. Incalcolabili saranno, ahimé queste sì, le peripezie, le tragedie della “lunga marcia”».
Noi oggi siamo in marcia e ogni giorno, dall’Afganistan, dall’Iraq, ma anche da casa nostra, giungono continue indicazioni di nuove tragedie che ci incombono sul capo, ma dobbiamo pur continuare a marciare e le sparse indicazioni di Mario Cassa nel suo volume possono essere un utile breviario per proseguire questa «lunga marcia».
Giulio Toffoli |