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 Nr.23 del 22/10/2007
 
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il flagello
C'è un'aspettativa umana che è fondamentale. E permea di sé milioni e milioni di persone sul pianeta: vorrebbero vedersi garantito il loro diritto di camminare per le strade. Oppure restare a casa. In un caso o nell'altro, senza temere per la propria vita

Purtroppo le persone, tale aspettativa, la stanno smarrendo sempre più. Perché c'è una nuova epidemia che attanaglia l'umanità. O meglio, è una epidemia vecchia, ma che si manifesta con una virulenza del tutto nuova. Esplode in tutto il pianeta. In ogni punto cardinale. Si chiama delinquenza. È un flagello talmente diffuso che non abbiamo la minima percezione della sua espansione.
Basti pensare che, negli ultimi cinque anni, l'aviaria ha ossessionato pesantemente i comportamenti e gli stili di vita dell'intera Europa. Forse si potrebbe dir meglio, dicendo dell'intero pianeta. E, periodicamente, lo spettro dell'aviaria si ri-affaccia. Tuttavia ha mietuto 172 vittime. In tutto il mondo.
Nello stesso periodo sono stati investiti dall'epidemia della criminalità milioni e milioni di persone. Che sono state uccise. Oppure menomate. Con in più l'aggravante di ingentissimi danni economici.
Come tutte le epidemie, anche questa travalica tutti i confini. Ed esplode in luoghi e in tempi diversi. Non c'è un virus che, come per l'aviaria, si trasmette da una specie all'altra. La criminalità di strada, questo il flagello, è prodotta dagli uomini. Che provvedono anche a diffonderla. Ovunque. Ma, si badi bene, questa epidemia di criminalità non ha nulla a che vedere con altri flagelli quali il terrorismo, la guerra civile o i grandi conflitti che continuano ad insanguinare tanta parte del mondo.

Sono aggrediti. Derubati. Spesso, addirittura, uccisi. Civili vittime di altri civili. Che vivono nella stessa città. Magari addirittura nello stesso quartiere. E le vittime condividono, con i carnefici, la stessa variabile: l'estrema povertà. Come se due calvi si scannassero per un pettine.
Un rapporto dell'Onu, del 2003, dice che la criminalità è in crescita costante. In tutti i Paesi.
Un rapporto del PERF (Police Executive Research Forum riferisce che negli Stati Uniti, nel 2005, le ondate di violenza avevano toccato un picco ineguagliato nei 15 anni precedenti. Fra il 2004 e il 2006 gli omicidi erano aumentati del 71 per cento, dell'80 per cento i furti e del 67 le rapine a mano armata.
Londra, riferisce un rapporto dell'Unione europea, è diventata "la capitale del crimine" nel Vecchio Continente. Ma Stati Uniti ed Europa sono ancora isole felici.
Vi sono Paesi nei quali la situazione è talmente grave che a Johannesburg o a Città del Messico i cittadini hanno organizzato grandi manifestazioni di protesta. La frustrazione perché i governi non riescono a proteggerli è dannatamente acuta. Anche a Milano è la stessa cosa.

Nella striscia di Gaza volano proiettili. In continuazione. Il "Washington Post" scrive che, fra il 2002 e il 2006, sono morti qui 729 minorenni israeliani e palestinesi. Sono tanti. La causa? Episodi di violenza e terrorismo. Ebbene, più di due volte e mezzo meno dei 1857 assassinati a Rio de Janeiro nello stesso periodo. E, sia chiaro, il Brasile, con la sua capitale da cartolina, non sta in cima alla lista. Dove invece fa bella mostra di sé la regione dei Caraibi. A seguire l'Africa meridionale e occidentale. Terza, l'America latina. Sono queste le regioni più funestate dalla criminalità.
Il tasso di omicidi è 20 volte più alto in Russia rispetto all'Europa occidentale. E la criminalità si va espandendo in tutta l'Asia. Con conseguenze rovinose nei Paesi più poveri. Perché aumenta i costi delle attività economiche e rende i paesi meno competitivi. Con l'aggravante che alti tassi di criminalità tengono lontani gli investitori. La Banca mondiale ritiene che l'America latina avrebbe una crescita economica di otto volte superiore a quella attuale se il suo tasso di criminalità fosse inferiore. Insomma, le conseguenze degli alti tassi di criminalità sono evidenti. Non così le cause di tale criminalità.
Si è sempre detto che laddove c'è povertà, non ci può essere che il crimine. Un concetto molto diffuso. E altrettanto errato. Perché non vi è correlazione alcuna fra povertà e criminalità. Come a dire: ci sono paesi poveri che hanno alti tassi di criminalità. Altri paesi no. Ad esempio, la Russia è molto più ricca del Costa Rica ed ha una criminalità molto più elevata. C'è chi dice che il livello di criminalità varia in base alla forza delle istituzioni religiose e al grado di coinvolgimento nelle loro pratiche. Ipotesi, naturalmente... perché serie statistiche, al riguardo, non ci sono.
Rimane la domanda: che cosa fa alzare i tassi di criminalità? Per gli esperti, l'unica convinzione passa per l'intreccio di tre variabili: un’alta percentuale di giovani maschi, la diffusione delle droghe e, terzo, il facile accesso alle armi. Ci sono poi pareri discordanti sul fatto che le disuguaglianze economiche e l'urbanizzazione tendano all'incremento della delinquenza. Quel che è vero è il fatto che quando i comportamenti criminali mettono radici, in una città o in un quartiere, occorre poi tempo, molto tempo e grandi sforzi, per riportare la sicurezza nelle strade. Allora bisogna fare estrema attenzione a non liquidare la proliferazione della criminalità come un fenomeno locale. O come un (triste) evento che è sempre esistito. Perché questo sì sarebbe un errore. Gravissimo. Perché, sottovalutandolo, il flagello della criminalità rischia di diventare un incubo. Planetario. E allora sì che sarebbe un evento drammatico.


Ermanno Antonio Uccelli




Scriveva Kahlil Gibran: "Tanto più a fondo vi scaverà il dolore, tanto più posto ci sarà per la felicità futura". Ho perso parecchi amici, durante questo mezzo secolo. Alcuni me li ha arraffati la Morte, molti altri, per banali questioni di soldi. Mi interrogo spesso, se era poi così difficile soprassedere su una cosa, il denaro, che come diceva il mio “vecchio” “…non lo beccano neanche le galline”. I soldi si possono riguadagnare, per gli amici perduti risulta più difficile. Ho avuto la fortuna di poterli sostituire, ed ho imparato che per avere amicizia bisogna rischiare amicizia.
E voglio continuare così, rischiando l’inganno, piuttosto che perdere la fiducia nell’uomo.
Ermanno Uccelli per me non è solo un amico, è un mentore, una sorta di fratello maggiore, che ha cauterizzato le vecchie ferite degli amici persi. Per questo considero sempre un onore poter aggiungere due righe ai suoi scritti. Ci sono delinquenze conclamate, e delinquenze occulte. Ho sempre insegnato a mio figlio che i criminali peggiori solitamente portano la cravatta e non la pistola. Con la pistola puoi uccidere cinque o sei persone, controllando il Fondo Monetario Internazionale, o la Banca Mondiale, o una nazione, puoi risultare responsabile della morte di milioni di uomini. Indirettamente, ma non senza colpe.
La criminalità sta proliferando e sta trasformandosi in un’epidemia incontrollabile, ma io ho sempre ben presente ciò che scriveva Bertold Brecht: “Il vero delinquente non è colui che rapina una banca, ma quello che la fonda”. La delinquenza è una guerra non dichiarata.
In Brasile, a Rio de Janeiro, apparentemente non c’è nessun conflitto, ma gli Squadroni della Morte, una branca deviata della polizia, sollecitati dai commercianti, infastiditi dalla continua e rumorosa presenza dei bambini di strada, hanno commesso atti che gridano a Dio.
Se solo Dio avesse voglia di ascoltare.

È stata la fortissima capacità evocativa e testimoniale di Gian Butturini (un grande fotoreporter bresciano che ci ha lasciato esattamente un anno fa) ad ispirare il testo della mia composizione che ha per titolo “Meninos de rua”.


Meninos de rua

La vita ci infila le dita nei capelli
e ci schiaccia il muso contro il muro,
in questa notte di cieli rovesciati,
dove il piscio dei cani, scivola lento,
lungo il ferro dei lampioni.
Niente de nada,
nel vicolo dietro il ristorante di Paco.
Niente de nada,
sopra e sotto i banchi di legno
del mercato del pesce.
Siamo più soli di Dio stanotte
e più affamati di Suo Figlio sulla croce.
Quando sento raccontare
di Inferno e Paradiso,
penso che metà di quella storia
l’ho già vissuta,
e che l’altra metà
non la vedrò mai.


Jo Dallera


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