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Il Sole e la Terra, l'acqua e l'atmosfera formano un sistema climatico sul quale si sanno molte cose ma che tuttavia implica calcoli matematici assai complessi. Li si sono potuti realizzare solo dagli anni Quaranta, grazie all'impiego del primo calcolatore elettronico in grado di simularlo. A questo fatto si aggiunge l'effetto dell'attività umana che, in un quarantennio (dal 1958 al 1998) ha emesso nell'atmosfera la stessa quantità di anidride carbonica prodotta nei 400 mila anni precedenti. In pratica, i 6 miliardi di carbonio in eccesso emessi nell'atmosfera produrranno, nei prossimi decenni, un aumento della temperatura di circa 4°C nella nostra area. Con ciò, le probabilità di avere stagioni estive simili a quelle del 2003, del 2006 e di quest'anno, sono molto alte. Ridurre le emissioni e rallentarne i tempi, dovrebbe essere l'obiettivo primario di ciascuno di noi.
Il cambiamento del clima rende l'acqua sempre più preziosa. Un suo uso intelligente deve diventare un fatto di buona educazione. Ma perché questo si realizzi, sono necessarie, e importanti, piccole attenzioni quotidiane.
Il Po è lungo 652 chilometri. Lo alimentano 141 affluenti. Sono 4 le regioni attraversate, per un totale di 3200 comuni.
Forse non molti sanno che, in questo bacino, si coltiva il 70 per cento delle pere, metà delle pesche e dei kiwi italiani, il 30% delle albicocche e dei meloni, il 20% delle ciliegie. Un cespo su tre di insalata nazionale viene di qua e anche la metà del pomodoro da conserva. Inoltre, sempre da questo bacino, proviene la quasi totalità del riso italiano e il granturco necessario per nutrire oltre 4,1 milioni di mucche che forniscono il latte per i più importanti formaggi italiani.
Così, per produrre tutte queste derrate alimentari, l'agricoltura consuma il 66 per cento di acqua, il 23 il settore civile e l'11 per cento quello industriale. È bene sapere che, dal Po, si prelevano, per usi irrigui, 22 miliardi di metri cubi di acqua.
L'Emilia-Romagna solo 1,4 miliardi. Il rimanente lo prendono Lombardia e Piemonte. Uno squilibrio incredibile. Una assurda disparità. Che nulla può giustificare. Se non il fatto che l'H2O, l'oro blu, è diventato un business favoloso. E lo sarà sempre di più. Basta vedere come cresce in modo esponenziale il consumo di acqua minerale.
L'ICIJ «International Consortium of Investigation Journalist», ha messo in luce che, negli ultimi quindici anni, le tre maggiori società mondiali coinvolte nel business dell'acqua sono due francesi – Suez e Vivendi – e la britannica Thames Water, di proprietà tedesca. Esse hanno incrementato il loro fatturato (e i loro utili) in misura inimmaginabile. Eppure controllano solo il 5 per cento del mercato mondiale del liquido elemento. Tuttavia, lavorando a stretto contatto con la Banca Mondiale, hanno fatto azione di «lobbying» sui governi, e sulle organizzazioni internazionali del commercio, per spingere alla privatizzazione delle risorse idriche. I risultati parlano da sé.
Nel 1990 solo 50 milioni di persone erano fornite da aziende private. I Paesi nei quali l'acqua era la meno parzialmente privatizzata erano 12.
Nel 2002 i Paesi erano 56 e oggi siamo arrivati a oltre 300 milioni di persone. Con crescite esponenziali anche per quanto riguarda i fatturati. Vivendi, nel 2002, vantava 12 miliardi di dollari nel campo della gestione idrica: esattamente il 140 per cento in più del 1990. E il fatturato di Thames Water era salito dai 25 milioni di dollari del 1990 a 2,5 miliardi.
Ma ciò che non è molto noto sono le conseguenze della privatizzazione forzata in Sudafrica. Qui, la Banca Mondiale ha convinto molte comunità locali ad affidarsi alle multinazionali dell'acqua. In più ha anche «consigliato» alle autorità, di introdurre «minacce credibili di interruzione del servizio». Consiglio che, inutile dire, è stato puntualmente seguìto: ai clienti morosi è stata chiusa la fornitura.
Dieci milioni di cittadini sudafricani. Tale è il computo delle persone che, dal 1998, hanno sofferto del taglio dell'acqua in diverse riprese. Nello stesso periodo, nelle aree colpite dalla privazione dell'acqua, si sono registrate epidemie di colera e violente recrudescenze di malattie gastrointestinali.
Insomma, si può davvero dire che la privatizzazione beneficia i fatturati delle multinazionali, non certo i diritti delle persone. L'acqua è un diritto umano per davvero. Un diritto che non dovrebbe essere commercializzabile.
È importante conoscere (anche) queste cose, perché significa vedere oltre ciò che appare. Del resto per capire quanto sia florido il mercato dell'acqua, non c'è bisogno di andare a guardare chissà dove: l'Italia è un eccellente metro di misura.
Qui è l'acqua minerale che ha fatto il pieno. La beve ormai il 98 per cento degli italiani. C'è stata una costante e puntuale escalation dai poco più di 3656 milioni di litri del 2003, sino ai previsti 12 mila milioni di litri del prossimo 2008. Un dato che è preventivato per difetto, visto che già nel 2006, in Italia, sono stati prodotti 12,2 miliardi di litri di acqua minerale. Con un incremento, rispetto al 2005, del 3,4 per cento. E per un giro di affari, dal produttore fino al negozio al dettaglio, di 3,2 miliardi di euro.
Infatti l'acqua minerale è la bevanda più diffusa in Italia. Non importa che abbia o meno le bollicine. L'importante che non sappia di cloro. Mentre nel 2004 la comprava il 97 per cento delle famiglie, nel 2006 l'ha comprata il 98 per cento.
Da una ricerca condotta dall'Eurisko-Panel Service, è risultato che il gusto guida maggiormente la scelta degli intervistati. Poi la metà del campione pone la massima attenzione all'etichetta per capire la composizione chimica, mentre per il 23% l'acqua minerale risulta «indispensabile per la salute». Addirittura, per un 32%, è «tra gli elementi fondamentali per il proprio benessere».
Naturalmente ognuno è libero di bere quello che vuole. In base al gusto, al sapore e ad ogni altra variabile che il nostro (singolo) cervello voglia mettere in campo. E che sia così lo spiega il consumo di 154 miliardi di litri di acqua in bottiglia per i quali si spendono ogni anno, nel mondo, cento miliardi di dollari. Questo anche perché si crede, si pensa, quando non si è addirittura certi, che tale tipo di acqua è più controllata di quella del rubinetto. Ma non è vero. Non è così. Gli acquedotti vengono controllati ogni giorno. Spesso, più volte al giorno. È vero invece che le etichette delle acque minerali riportano le date delle analisi che, a volte, risalgono ad anni precedenti.
Si pensi, ancora, che il costo dell'acqua in bottiglia, in certi Paesi, è di 2,50 dollari al litro. Pari a 10 mila volte più di quella del rubinetto. Che è acqua buona ma non ha nessuno che la "spinga" presso il consumatore. Costa centinaia di volte meno della minerale ma non è confezionata con il giusto abito che stimoli la sua appetibilità. E poi ha un passato che non è certo impeccabile. Insomma, presso noi consumatori ha una immagine non proprio adamantina. Vero è, tuttavia, che migliori sistemi di purificazione hanno permesso di abbassare, in modo sensibile, la quantità di cloro che veniva immessa nell'acqua del rubinetto. Nella quale, certo, c'è molto calcio e magnesio. Ma non devono fare paura perché, semmai, saranno problemi per le lavatrici, non per noi esseri umani. Peraltro è un falso il mito dell'acqua superleggera; tanto leggera da sembrare eterea. Se non vi sono specifiche patologie, un'acqua con una buona quantità di calcio va bene per tutti, ed è raccomandabile, in modo particolare, per le donne in gravidanza, i bambini e chi soffre di osteoporosi.
Sarà pertanto assai importante che il sistema pubblico continui a fornire, con i suoi acquedotti, un prodotto che è certo dignitoso. In più attivandosi a convincere il suo pubblico. Per ri - conquistarne la fiducia. Perché c'è da vendere l'acqua di rubinetto. Che è buona. E, per farlo, bisogna far venire voglia di berla. Così si darebbe anche un bel colpo all'indifferenza perché è un assurdo bello e buono lo sciupìo che si fa, in termini economici, con l'acqua minerale, quando si pensa che, nel mondo, ci sono ancora 1,1 miliardi di persone che non hanno accesso ad acqua "pulita". E che basterebbero 30 miliardi di dollari per dimezzare, entro il 2015, il numero delle persone che non hanno accesso a impianti idraulici sicuri.
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