Il generale Gabriele Nasci era subentrato nel comando al Generale Italo Gariboldi. L’ottima carriera, che aveva preso avvio nella Prima Guerra mondiale sul Monte Cauriol e attraverso la campagna di Libia e di Albania, ne aveva fatto uno degli ufficiali più titolati a raccogliere il comando del Corpo d’Armata Alpino in Russia. Fu lui in quel 17 gennaio a dare l’ordine di ripiegamento, dopo che sulla destra il XXIV Corpo d’Armata Germanico, del quale faceva parte da circa un mese la “Julia”, era stato travolto e sulla sinistra era venuta meno l’Armata Ungherese. Ormai alle spalle delle linee italiane scorrazzavano carri armati e la fanteria russi. Il giorno prima, il 16 gennaio, i russi avevano attaccato con due reggimenti un nostro fronte di tre battaglioni ed erano stati respinti con gravi perdite. Sul fronte del Vestone si erano contati 800 morti tra le file nemiche, con pochissime perdite per le nostre truppe. Ma, come sappiamo, non era finita lì, anzi, era appena iniziata la straziante e, nello stesso tempo, esaltante epopea che si concluse a Nikolajewka.
Di cose sulla Campagna di Russia e, in particolare, su Nikolajewka se ne sono dette molte. Vorrei tuttavia riproporre alcuni stralci di una lettera che il Generale Nasci scrisse ad un suo Ufficiale nel periodo in cui venivano rimpatriati i superstiti del Corpo d’Armata Alpino e che è stata pubblicata da "L’Alpino" in occasione del ricordo di Nikolajewka del 1964:
“… Dirti delle sofferenze patite, del gelo, delle notti insonni passate attraverso queste steppe deserte della Russia, è cosa inutile: ti basti sapere che siamo rimasti con i soli indumenti che avevamo addosso, privi di tutto perché costretti a lasciare gli automezzi e ritornare alpini con le salmerie e le slitte, senza rifornimento alcuno di viveri e di munizioni per 15 giorni; con la necessità di trasportare al seguito i feriti e i numerosi congelati. E’ stata una lotta epica contro l’avversario, contro gli elementi, contro l’ambiente, vinta solo per la volontà decisa mia e dei miei Alpini di voler uscire ad ogni costo…”
E più avanti: …. Così io ho assisto al trasferirsi dei resti del mio Corpo d’Armata: veggo i miei alpini laceri, stanchi e smunti, pur avendo sempre vinto ogni battaglia, trascinarsi con i piedi avvolti in pezzi di coperta perché quasi tutti con principi di congelamento nonostante l’avvenuto sgombero di dieci mila tra feriti e congelati; veggo i pochi Ufficiali rimasti (grandi furono le perdite, specie in Ufficiali) in testa ai loro reparti che non vogliono abbandonare, anche se le loro condizioni fisiche consentirebbero il loro ricovero in ospedale; veggo i bei muli di un tempo scheletriti, che si trascinano di tappa in tappa diminuendo di giorno in giorno in gran numero per la moria provocata dalle fatiche estenuanti della marcia dalla mancanza di nutrimento, dal freddo patito specie la notte ove abbiamo avuto anche 38° sotto zero….
E conclude: ….. sono dei magnifici soldati, che bisogna conoscere e che si apprezzano soprattutto nel momento dell’azione. Avessi visto il loro contegno di fronte ai carri armati, quando per ben due volte improvvisamente venne attaccato il mio comando a Rossosch: non hanno paura di niente, si fanno schiacciare pur di cercare di mettere a segno le bombe a mano, sparano con armi inadeguate contro questi mostri di acciaio: circa le fanterie russe, le disprezzano addirittura, tanto da dire che basta un Alpino contro dieci russi e lo hanno dimostrato… specie la Julia.
Ti basti sapere che nella battaglia di Nikolajewka abbiamo perduto 40 Ufficiali fra morti e feriti della sola Tridentina e del comando del Corpo d’Armata Alpino…. Quanto dolore e quanta amarezza nelle parole del Generale, e quanto stupore ma soprattutto quanto orgoglio! Sono gli stessi sentimenti che provo ogni volta che vedo, sento, parlo con un Reduce di Russia. Mi sembra di scorgere nei loro occhi un velo di tristezza, quasi volessero scusarsi di aver portato a “baita” la pelle, subito sostituito da un motto di orgoglio: quello di poter essere qui a raccontare come, con i loro sacrifici e con quello supremo dei loro compagni, sono stati capaci di trasformare una disfatta in una delle pagine più belle e più ricche per l’anima di coloro che amano la Patria.
Il 26 e il 27 gennaio 2008 a Brescia potremo abbracciare i pochi tra loro che sono ancora in vita e che avranno la possibilità di spostarsi - giacché l’anagrafe non è un’opinione - e lo faremo in modo solenne, come è costume fare ogni cinque anni. La Sezione di Brescia si sta preparando da tempo e tradurrà come si conviene tutto il nostro affetto e la nostra ammirazione per questi “ragazzi”.
Domenico Castelnuovo
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