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Il libro “L’età d’oro del calcio gardonese. Dagli anni ’20 al 1967” nasce per iniziativa di Mario Mari, un appassionato sportivo impegnato in varie iniziative di beneficenza a livello locale e provinciale, alle quali peraltro intende devolvere l’introito della vendita del libro medesimo.
Il tema è certo di grande interesse per il paese di Gardone, giacché varie sono le memorie relative a squadre od episodi e numerose le persone che hanno avuto un ruolo, ora come giocatori, ora come dirigenti o semplicemente come tifosi.
Se fin dal 1907 erano comparse a Brescia le prime squadre di calciatori e le prime competizioni, in seguito il calcio si diffuse più ampiamente ed anche in Valtrompia. Agli anni ‘20 devono essere fatti risalire i nomi dei primi campioni, che per Gardone sono riassunti in quello di Giuseppe Peruchetti, già portiere delle squadre gardonesi ed in seguito del Brescia, dell’Ambrosiana-Inter e della Juventus, senza dimenticare la sua partecipazione ad alcune gare internazionali nel 1936.
Già prima della guerra è però presente anche un’altra figura che sarà protagonista del calcio locale (ma anche di altri sport) per tutto il periodo cui la ricerca si è rivolta. Si tratta di Pier Carlo Beretta, membro della nota famiglia di produttori di armi e assiduo dirigente e mecenate della squadra gardonese che nel dopoguerra ne portò il nome, oltre che del Brescia, ma che pure ebbe un ruolo di ben più grande rilievo divenendo Commissario Tecnico delle Nazionali italiane dal 1951 al 1953.
Accanto a questi uomini di fama, molti altri giocatori si avvicendarono nelle squadre che, pur a diversi livelli di competizione agonistica, sorsero a Gardone; taluni ottenendo un successo che li portò in formazioni di maggiori centri italiani: sicuramente al Brescia, ma anche al Genova, al Vicenza, al Crotone ed al Cosenza. I nomi gardonesi più ricordati in paese sono certo quelli di Giulio Basilico, Vaifro Bielli, Tino Camplani, Piero Cotelli, Giuseppe Formica, Pierangelo Meda, Eugenio Lechi, Giuseppe Mino, Giuseppe Pintossi, Gianfranco Zappa, fino al notissimo Carlo Franzini, ma questo elenco, purtroppo breve per ragioni di spazio, trascura molte altre figure che pure hanno reso felice quel lungo periodo dello sport gardonese.
Per citare le principali squadre, invece, ecco la Zanardelli e la Gardonese, entrambe d’anteguerra, e poi il Beretta che fu quasi in Serie C; l’Audax, legata alla vita parrocchiale dell’oratorio S. Filippo e per un certo periodo attiva in Prima Categoria; l’Inzino, anch’esso legato all’oratorio di quella frazione e per più anni campione dei tornei provinciali del C.S.I. Ma anche in questo caso se ne tralasciano altre, che se non giunsero a significativi livelli agonistici, altresì testimoniarono la diffusa pratica del calcio nella nostra terra.
Se pure la ricerca ha come oggetto il calcio giocato, essa tende a non trascurare la vita nel paese; le stesse vicende sportive offrono anzi l’occasione per osservare le motivazioni che portarono alla consistente diffusione della pratica sportiva, fenomeno che non è certo neutro rispetto al modo di vivere di una comunità. Se molti testimoni di quel tempo raccontano sinteticamente che “si giocava a pallone perché nel tempo libero non c’era altro da fare”, a ben osservare la storia sportiva si nota quanto, accanto alla passione degli individui, essa sia sostenuta dalle più varie intenzioni, ora esplicite ora meno. Ecco dunque confrontarsi, ad esempio, la spinta militarista e nazionalista del fascismo con la filosofia del sacrificio agonistico come allenamento per la fortificazione spirituale, tipica dell’ambiente cattolico degli anni ’50.
Ma la vicenda del Beretta in quanto squadra e del suo massimo dirigente, permettono di cogliere anche un altro aspetto, forse più peculiare di altri nella cultura gardonese, e cioè quello del rapporto tra la comunità e la grande fabbrica, i cui proprietari erano veri e propri “signori” la cui benevolenza interviene più o meno direttamente a regolare i rapporti sociali nell’intero paese. Oggi questo vissuto è profondamente modificato e solo in termini residuali la fabbrica è percepita come la “grande madre”: la distanza anche fisica dei nuovi proprietari dal paese, i moderni e più distaccati criteri di gestione aziendale, la crisi stessa della mentalità del “lavoro sicuro in fabbrica”, propria degli anni a noi più vicini, hanno segnato una rottura rispetto a quel passato.
La ricerca ha avuto come fonti principali la stampa provinciale o - per certi periodi - quella specialistica nazionale e, dove possibile, la testimonianza dei diretti protagonisti. Quel che, nello spirito del curatore, il libro non vuole essere, è il semplice almanacco dei dati di campionato. Certamente anche in questa ricerca sono presenti sintetiche schede sui risultati, sui campionati e i tornei, sulle formazioni; ma ciò compare come allegato e non come centro focale, posizione che invece è mantenuta dal racconto, dalla conversazione, dall’esaltazione o dal rammarico sportivo, dalla riflessione culturale.
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