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sabato 04 maggio 2024 | 05:22
 Edizione del 18/09/2012
 
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Dalla Valtrompia il cuore della solidarietà
Ciò che può essere uno spreco per noi, potrebbe essere oro per qualcun altro: il VALTROMPIASET-GIORNALE DELLA VALTROMPIA invita i propri lettori ad aderire al ''PROGETTO KALUNGU-KIBWEZI'' della gardonese Fiorella Bonsi


  



  



  



  


22 giorni nella “deep Africa”. Destinazione: Kibwezi, Kenya, un villaggio sorto accanto alla ferrovia costruita dai coloni inglesi, il cui nome deriva dalla posizione assunta dalla gente (in piedi con le mani sui fianchi) in attesa di poter vedere per la prima volta il passaggio del treno.
Dopo essermi laureata in Esperto linguistico per le relazioni internazionali, ho deciso di voler coronare un mio sogno nel cassetto: andare in Africa, ma non da turista, da volontaria. Tramite una Onlus di Roma, Oikos, ho inviato la mia candidatura ad un’ONG, UONGOZI, termine “Kiswahili” che significa leadership (capacità di essere guida). Il campo di lavoro al qualche ho aderito (Teaching and feeding orphans and Vulnerable Children) ha come obiettivo l’assistenza ai minori, quindi l’insegnamento dell’inglese e l’organizzazione di animazione didattica e la promozione dell’igiene e della salute.

Questo progetto, iniziato nel 2010, coinvolge la comunità di Kalungu, dove, a causa della povertà e dei chilometri che separano il villaggio alle scuole più vicine, la maggior parte dei bambini non possono godere del diritto all’educazione. E a rimetterci sono soprattutto i bambini sotto i dieci anni. Per questo motivo UONGOZI ha dato vita a una “nursery school” (scuola materna) nella chiesetta del villaggio, se così si può chiamare: 6 panche che richiamano il legno usato da noi per le staccionate per le nostre vacche, un pavimento sporco quanto quello di una stalla, una lavagna e qualche cartellone a colorare un po’ le pareti.
I bambini usano quadernetti, o meglio, un insieme di tre fogli fatti di una carta che per noi forse andrebbe bene come carta igienica e usano matite che somigliano più a degli stuzzicadenti. A mezzogiorno “pranzano”: mettono in comune le quattro o cinque ciotoline di fagioli che hanno. Ognuno lava le mani all’altro, stando attenti a non sprecare quella poca acqua disponibile, ma è un gesto inutile dato che per mangiare si siedono in terra e quindi c’è lo sporco a fare da condimento al cibo. Ecco il perché del gonfiore delle loro pance, piene di vermi, e della testa martoriata di piaghe. Sono i più piccoli ad iniziare a mangiare: bambini di due, tre, quattro, cinque anni si dividono da soli le porzioni nelle manine e se qualcosa rimane lo danno ai bambini più grandi che nel frattempo giocano con il pallone o giocano sull’altalena: una corda appesa ad un ramo.

A ricoprire i loro corpicini mingherlini ci sono vestiti non di seconda mano, di quinta! Buchi e scuciture ovunque, tutti lisi e sporchi che forse noi useremmo come stracci per spazzare per terra, e non hanno nemmeno le mutande. La maggior parte non ha le scarpe e chi le ha.. beh è un complimento chiamarle tali! Sono fatte di paglia o con i copertoni delle auto. Puzzano e sono sporchi peggio delle bestie: se li tocchi sembra di toccare la carta vetro da quanto sono ruvidi e se ti saltano in braccio ti lasciano tutto lo sporco addosso. Ma quello che più stupisce è il loro sorriso mozzafiato, quello che te ne fa innamorare, che ti si stampa nel cuore e nell’anima, e quella loro voglia di scoprire, la loro curiosità, la loro vivacità, così come la responsabilità e fratellanza fra loro.

La prima volta a Kalungu i miei occhi e quelli di Gaia Manfredonia (Milano), l’altra volontaria, sono riusciti a reggere lo “spettacolo” per una decina di minuti… per poi riempirsi di lacrime, amare da mandar giù.
Cosa fare? Smettere di piagnucolare e tirarsi su le maniche! Abbiamo trasportato in moto le tre valigie cariche di medicine, quaderni, matite, pennarelli, giochi e vestiti che avevamo portato con noi dall’Italia e abbiamo assistito alla gioia e alla sorpresa dei bambini, alla loro timidezza nel prendere un pastello e accontentarsi, anzi esserne felici e usarlo come se fosse l’unica cosa che gli è concessa di avere. Abbiamo cercato di insegnare loro qualche parolina in inglese, impresa un po’ ardua poiché loro, compresa la maestra, parlano il Kikamba (un dialetto locale) e non lo swahili (lingua ufficiale) né tanto meno l’inglese, ma quando si tratta di bambini la lingua non costituisce di certo una barriera. All’arrivo di un altro volontario, Angelo Suardi (Bergamo) abbiamo iniziato ad aiutare nella costruzione della classe per i bambini, adiacente alla chiesetta, altra impresa difficile dal momento che i ragazzi della comunità non sono molto ferrati a fare lavori di falegnameria e muratura. Durante gli ultimi giorni a Kalungu abbiamo somministrato ai trenta bambini più bisognosi una medicina per curare le infezioni intestinali (Zenitel): una pastiglia e mezzo bicchiere di acqua..e di acqua ne volevano ancora, ma non ce n’è. Infine ci siamo armati di catini, saponi, salviette e cinque taniche di acqua (purtroppo ancora troppo poca) e li abbiamo puliti dalla sporcizia, abbiamo gettato i vecchi “vestiti” e gliene abbiamo messi di nuovi, che regalavano un nuovo involucro a quei loro corpicini di cui si iniziava a vedere i lineamenti e a sentirne la morbidezza, come dovrebbe essere ogni bambino del mondo. Era il loro primo bagno.
Rientrati in Italia ci siamo resi conto di non essere più quelli che hanno preso il volo a Malpensa diretto a Nairobi a fine luglio. Nelle nostre menti, nei nostri cuori abbiamo tatuato ciò che abbiamo visto e vissuto e non c’è nulla che possa farcelo dimenticare. L’iniziale senso di disorientamento e rabbia provato al rientro ha ceduto il passo alla voglia di fare e ai progetti. E vogliamo pensare in grande: c’è la classe da finire, i banchi e i libri da comprare, il cibo da assicurare e un maestro valido da pagare. Forse siamo troppo ambiziosi? Non credo, volere è potere.

Per informazioni, se siete interessati a fare questo tipo di esperienza o volete mettere a disposizione le vostre capacità, se avete dei vestiti e delle scarpe che non usate più, o se volete fare una piccola offerta per la realizzazione del progetto chiamatemi (333 6403229) o scrivetemi (f.bonsi@hotmail.it). GRAZIE.



Fiorella Bonsi


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