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 Nr.28 del 03/12/2007
 
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UNA PERFETTA ALLEATA: L'AMICA PATATA


Versatile ed economica. Coltivata in mille varietà. Si presta a preparazioni semplici o raffinate. Da sempre riesce, da sola, a risolvere il menu. Molti chef la considerano un ingrediente dal quale, in cucina, non si può prescindere.
Piena di virtù: poco calorica, nutriente, digeribile. Pronta a tutti gli usi. Golosa per tutti i palati. Un tubero che si presta per ricette originali di incredibile varietà. Di grande originalità. Di delizioso sapore. Perché, aggiungendo virtù a virtù, la patata vanta un utilizzo pressoché infinito. Anche così, da sola, in beata solitudine: bollita, al forno, con solo una presa di sale. Magari grosso. Ancor meglio se "fior di sale".

In Europa, Grecia e Inghilterra sono inarrivabili con il loro consumo: un quintale (scarso) a testa. In Italia se ne consuma meno della metà: 40,6 chili a testa. Nell'ultimo decennio un massiccio battage dietistico ha inchiodato la patata nell'elenco degli alimenti nemici perché carboidrato e quindi ingrassante. Madornale errore. La patata ingrassa semplicemente perché la inondiamo di grassi: fritta o condita in insalata, al forno assieme all'arrosto, con carni o pesci in umido…
Adesso questo tubero abbiamo imparato ad amarlo e a cucinarlo senza pregiudizi. Grazie anche ai grandi chef che, nei loro menu, usano le patate come base-principe per le loro specialità internazionali. Ma non è stato facile, per la patata, conquistarsi il ruolo di specialità gastronomica.
Giunse in Europa negli anni Quaranta. Del Cinquecento. Fu trattata con (molto) distacco. L'avevano scoperta gli Spagnoli. In Perù. E la fecero conoscere in Francia, in Italia e in Germania. In Inghilterra, invece, arrivò direttamente dall'America. Era il finire del secolo. Ma fu vissuta come un cibo da animali, non da uomini. Tanto che, per un paio di secoli, i contadini europei non vollero proprio coltivarla nei loro campi. Poi, quando lo fecero, fu per necessità, non per scelta. Una necessità dettata dagli anni di carestia e di fame. Siamo nella seconda metà del Settecento. Tempo nel quale la coltivazione della patata inizia sempre in coincidenza con gravi calamità alimentari.
In Germania, ad esempio. Durante la guerra dei Sette anni (1756-1763), e durante la carestia del 1770-72, il nuovo prodotto si diffuse in modo considerevole. Perché la paura del nuovo, unitamente alla curiosità, è un atteggiamento ricorrente nella storia dell'alimentazione.

Antoine-Augustin Parmentier era un agronomo francese. Che fu fatto prigioniero dai prussiani. E là, in Prussia, incontrò la patata. Ne divenne un sostenitore entusiasta. Ne studiò le proprietà alimentari. Poi tornò in Francia. Qui le patate servivano solo di nutrimento al bestiame. Con il sostegno di Luigi XIV, il re Sole, propagò l'uso del tubero. Fu chiamato l'«uomo incomparabile», oppure l'«apostolo della patata». La crema Parmentier, che fu dedicata ad Antoine-Augustin, è una crema a base di patate. L'agronomo sosteneva che con la farina di patate, opportunamente mescolata al grano, si poteva fare il pane. Infatti egli si occupò anche del mais, delle castagne, del modo di macinare il grano… tutto per convincere i contadini francesi ad introdurre nella loro dieta la patata; per rassicurarli che il nuovo prodotto non avrebbe modificato le loro tradizioni. Anzi, le avrebbe consolidate.

Siamo negli anni a cavaliere fra le ultime decadi del XVIII secolo e i primi anni del XIX secolo. Anche gli agronomi italiani, nei loro scritti, sostengono la validità della patata. Fra gli altri, il riminese Giovanni Battarra. Egli, nel 1778, canta le lodi del bianco tubero (chiamato, in Italia, anche "tartufo bianco"). Con il quale, egli dice, la fame sarà definitivamente sconfitta. Perché sì, è vero che le patate erano ancora ritenute un cibo da animali, ma Battarra ne raccomandò l'uso anche ai contadini perché, diceva «sono un ottimo cibo per gli uomini non meno che per le bestie». E aggiungeva: «Felici noi, se potremo introdurre de' buoni piantamenti: perché non soffriremo mai più di carestia».
Ma furono le autorità politiche che si impegnarono a fondo nell'opera di propaganda. Federico Guglielmo I di Prussia e suo figlio Federico il Grande istituirono cattedre ambulanti di agronomia. Ai contadini si illustravano le qualità delle patate e il modo di coltivarle. In Italia la diffusione fu affidata ai parroci. Che i pubblici poteri riconoscevano come «uno degli stromenti più efficaci per insinuare e diffondere nel popolo le utili verità e le pratiche più vantaggiose alla società e allo Stato».
Durò a lungo questa immagine di «cibo per affamati». Così come la destinazione popolare della patata. Che, a poco a poco, entrò in una dimensione nuova e più francamente gastronomica. Succede nella prima metà dell'Ottocento, quando la patata fa la sua comparsa nei ricettari di cucina borghese. Cosicché i suoi impieghi si diversificano per preparare vivande vecchie e nuove: gnocchi e creme, torte e timballi…

Davvero, chi riuscirebbe ad immaginare, oggi, una Europa senza patate?

Ermanno Antonio Uccelli


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