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 Nr.7 del 07/04/2008
 
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LA CASA DALLE FINESTRE SENZA TEMPO


La storia ebbe inizio nel 1982, un giorno, che come era mio solito, stavo “fuorileggiando” con la mia moto da trial, esplorando i luoghi più reconditi che il monte Palosso nasconde geloso sotto la folta pelliccia dei suoi innumerevoli alberi. Molto probabilmente era un pomeriggio di sabato e avevo da poco imboccato la strada sterrata che conduce in località Zignone, covando una strana sensazione, quasi un richiamo, che mi portò appena dopo circa un chilometro a virare in una piccola stradina sulla sinistra della carrareccia, che mi condusse su una lingua di terra lunga una trentina di metri, che terminava davanti all’ossatura di una futura costruzione. Lo scheletro di un probabile capanno, era circondato da decine di immensi castagni, e aveva alla sua destra, leggermente rialzato, un bosco di betulle di incomparabile bellezza. Rimasi più di due ore in quel luogo, parlando con i castagni, accarezzando la pelle delicata delle betulle, provando per la prima volta nella mia vita, una sorta di invidia nei confronti della o delle persone che avrebbero abitato quella radura per me affascinante, da cui trasudava, come avrebbe detto un pellerossa, “buona medicina”.
Dopo solo un anno, in seguito a coincidenze fortuite, diventai affittuario della casa virtuale e di circa seimila metri di terreno invaso dai rovi e dalle robinie.
La fortuna aiuta gli audaci, ed io e mia moglie acquistammo una vecchia baracca dimessa da uno dei terremotati del Friuli. Con l’aiuto di mio padre, di mio fratello, e di alcuni amici, in poco più di una settimana il sogno divenne realtà.

La casetta, di circa quaranta metri quadrati, prese forma e vita tra due castagni secolari, sentinelle silenti e generose d’ombra e di frutti. Ci vorrebbe un tomo di mille e più pagine per descrivere le gioie, i canti, le discussioni, le risa fino al pianto, le grigliate, le bevute, le sedute interminabili sotto le stelle, che duravano a volte dal tramonto fino all’alba del giorno dopo. Quando si profilò la possibilità di comperare quel piccolo appezzamento di terreno, alcuni amici cercarono di dissuadermi, dicendo che il prezzo era fuori mercato, esoso. Ma, ditemi, cari, rari lettori, chi può veramente valutare cosa valgono i ricordi, gli amori e i sogni? Persi alcuni amici, ne trovai altri. Non avrei sopportato che un nuovo proprietario uccidesse il biacco (che in Valtrompia viene chiamato “bis bastuner”) che io e mia moglie battezzammo “Bisio”, che togliesse la vita ai ghiri, solo perché erano ladri di nocciole e rumorosi, che inventasse trappole per “Gas Gas” il furbo topolino che aveva una tana con dieci entrate, che tendesse agguati alla lepre, che ad ogni calare del sole, attraversava come un centometrista il prato antistante la piccola casa, che sterminasse i ramarri dalla testa blu, con un fucile ad aria compressa, che mettesse lacci trappola per volpi, col desiderio
di avere un trofeo imbalsamato da mostrare agli amici.
Io e mia moglie ci facemmo carico di un piccolo debito per onorare il contratto d’acquisto, e mai soldi furono spesi meglio. Ogni quindici giorni mi trovo, solitamente di venerdì, con i miei nuovi amici che più di una volta hanno collaborato ai miei articoli direttamente, o con saggi consigli e osservazioni pertinenti alla stesura degli stessi, e ricordo che uno di essi, accomiatandosi dopo una piacevole serata, si volse verso la facciata della baita, e disse: “Che strana casa, pare che in quelle stanze il tempo abbia un altro scorrere, un’altra dimensione, e anche se non può avere pietà di noi, pare ci comprenda e ci rispetti”.
La poesia che segue è dedicata a loro: a Renzo, a Walter, a Franco. Ognuno di loro mi ha insegnato qualcosa, e coltivo la speranza che la nostra amicizia continui, per un vicendevole arricchimento umano e culturale.

LA CASA DALLE FINESTRE SENZA TEMPO

C’è una baita, sulla montagna di chissà dove,
nel folto del bosco di chissà chi,
nessuno ricorda con precisione,
il sentiero che lo aveva condotto lì.
All’interno
la sabbia della clessidra turbinava confusa,
le parole lapidavano urgenze,
e i ragni del pensiero
tessevano tele e labirinti.
Nella casa senza tempo
si parlava dell’Uomo Vecchio
e del Nuovo Uomo,
della lotta in cui ambedue furono vinti.
All’esterno scorrevano ore
come torrenti in aprile,
schiumeggiando contro i vetri appannati.
Sulla scacchiera del tavolo
i bicchieri si muovevano lenti
come pedoni impacciati,
e la bottiglia, regina improvvisata
ostentava etichette e noncuranza.
Il Custode del Tempo
tentò la maniglia più volte,
una voce, resa roca dal fumo,
gli gelò i secondi nelle vene:
“Aspetta il tuo turno bastardo!
Perderemo,
ma la partita è appena cominciata”.


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