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 Nr.9 del 21/04/2008
 
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Sette domande all’Assoenologi
In occasione del 63° Congresso nazionale di Assoenologi abbiamo rivolto qualche domanda sulla storia, l'evoluzione e lo sviluppo della categoria dei tecnici vitivinicoli al Direttore generale di Assoenologi, Giuseppe Martelli


  



   Giuseppe Martelli


Giuseppe Martelli è anche presidente dell'Union Internationale des Œnologues ossia della Federazione, con sede a Parigi, che a livello mondiale riunisce e rappresenta le associazioni nazionali dei tecnici vitivinicoli per un totale di oltre 45.000 enologi.

L'enologo è il tecnico del vino. Ma come si diventa enologo e qual è la differenza tra enologo ed enotecnico?

Fino al 1994 il tecnico del vino in Italia era l'enotecnico, un professionista formato da pochi Istituti superiori con ordinamento speciale per la viticoltura e l'enologia, attraverso un corso sessennale, di cui il primo fondato a Conegliano (Treviso) nel 1876. Con l'apertura delle frontiere europee non solo alle merci ma anche alle attività intellettuali e quindi alle professioni, nacque la necessità di individuare i tecnici vitivinicoli. Questa esigenza coincise anche con la necessità di far riconoscere in Italia il titolo di enologo, visto che era assurdo che uno dei primi paesi vitivinicoli del mondo non avesse un professionista riconosciuto a livello europeo e preparato a livello universitario così come imposto dalle direttive comunitarie.
Per risolvere questi problemi e dare nel contempo una giusta cornice alla consolidata professionalità dell'enotecnico, la nostra Associazione nazionale di categoria, sulla base di quanto precedentemente fatto in Francia, promosse la promulgazione di una legge atta a riconoscere in Italia il titolo di enologo, fissandone la preparazione a livello universitario e stabilendone l'ordinamento professionale. La legge fu approvata dal Parlamento Italiano il 10 aprile 1991 con il n. 129 e venne pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 17 aprile dello stesso anno.
L'articolo 1 della legge non solo sanciva attraverso quali corsi universitari l'enologo dovesse essere formato, ma anche che gli enotecnici con almeno tre anni di attività specifica e continuativa nel settore potevano acquisire, dopo il vaglio di una commissione interministeriale, il titolo di enologo. Questa commissione, nominata con decreto il 26 luglio 1991, era composta da 5 membri di cui 4 in rappresentanza dei Ministeri dell'Università, della Pubblica istruzione, della Sanità, dell'Agricoltura, ed uno dell'Assoenologi. Essa valutò quasi 3.500 pratiche, riconoscendo il titolo di enologo a 2.953 professionisti.
I suoi lavori terminarono nel 1994, per questa ragione, da questa data, il tecnico del vino in Italia è diventato ufficialmente l'enologo. Oggi l'enologo è formato attraverso un corso di laurea specifico in viticoltura ed enologia.

Da quanto tempo esiste questa professione?

Dal 1880, ossia da quanto uscirono dalla Scuola enologica di Conegliano i primi enotecnici. Basti pensare che l'Associazione enologi enotecnici italiani - Organizzazione nazionale di categoria dei tecnici vitivinicoli - Assoenologi, è la più antica associazione del settore vitivinicolo al mondo, essendo stata fondata nel 1891. Così come il suo organo ufficiale di stampa la rivista "L'Enotecnico", oggi "L'Enologo", è la più antica al mondo essendo stata fondata nel 1893, e pertanto quest'anno festeggia i suoi 115 anni di attività.

Come si è evoluta nel tempo? Quali sono state le sue tappe più importanti?

La nostra storia è lunga e parallela all'evoluzione del settore vitivinicolo italiano. Tra la metà e la fine dell’Ottocento la vite e quindi il vino rischiarono di scomparire dall’Europa a causa dell’avvento dall’America di tre gravi parassiti: l’oidio, la fillossera e la peronospora. La viticoltura europea uscì da questo trauma profondamente trasformata, certamente turbata, ma consapevole che il suo futuro era legato alla ricerca, alla sperimentazione, ad una tecnologia capace di sopperire ad eventuali nuove calamità.
Il pericolo e le preoccupazioni che i tre parassiti suscitarono fecero capire che non si poteva andare avanti con le tecniche colturali, che dal tempo di Columella e Virgilio venivano tramandate da padre in figlio, bensì che ci si doveva basare su concetti e principi di agronomia, di biologia, di fisiologia, studiando e ricercando le cause che stanno alla base di ogni fenomeno. Si capì che la tradizione non indirizzava i viticoltori, non combatteva le calamità.
Così, come dicevo prima, nel 1876 nasceva a Conegliano la prima Scuola di enologia d’Italia, con lo scopo di assicurare uomini specializzati, preparati, in grado di seguire e far proseguire, su basi scientifiche, il settore vitivinicolo nazionale. L’enotecnico venne a costituire il fattore determinante su cui si sarebbe basata tutta la vitienologia.
Vini migliori, senza difetti significarono mercati più facili, salita delle richieste e, per i viticoltori, produzioni più remunerative. Nacquero le prime cantine sociali, dirette da enotecnici, con lo scopo di vinificare e curare i prodotti di quegli agricoltori che, per mancanza di attrezzature e di conoscenze, spesso vedevano vanificate intere annate.
Nacque la fermentazione in bianco, quella a temperatura controllata, si diede sempre più importanza alle analisi enochimiche, ai controlli microbiologici, all’igiene della cantina: la qualità della produzione vinicola italiana aumentò.

Quali sono le caratteristiche che deve avere chi sceglie di intraprendere la strada dell’enologo?

L'enologo è il professionista che dalla coltivazione della vite, alla raccolta dell'uva, alla sua trasformazione in vino, al suo affinamento, all'imbottigliamento, decide e sovrintende ogni operazione al fine di ottenere, sia pure nelle diverse fasce di consumo, il massimo della qualità sulla base della materia prima a sua disposizione, di cui ha la responsabilità, per legge, verso il consumatore.
Oggi in Italia operano circa 4.100 tra enologi ed enotecnici di cui il 40% ha mansioni decisionali in aziende private o cooperative, il 10% svolge la libera professione e la rimanente percentuale è impegnata con mansioni diverse. Gli enologi formati dall'Università ed impegnati nel settore sono oggi il 7%, il 93% sono quindi enotecnici diventati enologi attraverso la prima citata legge 129/91.
Quanto sopra da l'idea delle responsabilità che questo professionista ha nella gestione del comparto. Pertanto gli studi non sono facili. Basti penare che ogni anno s’iscrivono, presso le diverse università, circa 600 matricole di cui meno di 300 giungono alla laurea. Chi pensa di intraprendere un corso universitario facile, con materie semplici, più edonistiche che manageriali, si sbaglia ed è destinato a gettare, già nel primo anno, la spugna.

Com’è il trend del settore in Italia e che tipo di sviluppo può avere?

Il business dell'intero settore vitivinicolo italiano è di 12 miliardi di euro, di cui 3,3 miliardi di euro dati dall'esportazione i cui valori negli ultimi tre anni sono costantemente cresciuti. I primi dati del 2007 mettono in luce un ulteriore incremento che fa salire al 12,3% i volumi ed all'11,5% i valori ei nostri vini esportati. Mentre i consumi interni sono in calo, oggi siamo a 46 litri pro capite contro i 50 del 2000 ed i 110 degli anni Settanta, le nostre esportazioni continuano a cresce, tanto che l'Assoenologi prevede che entro il 2015 il vino mandato all'estero supererà quello consumato in Italia.
Ed in questo contesto il ruolo dell'enologo è fondamentale. Anche i più scettici si sono convinti che la tradizione da sola non risolve i problemi, non migliora la qualità, non sana i bilanci e che il vino, come qualsiasi altro prodotto biologico alimentare, senza tecnologia solo casualmente può essere di qualità. E quando si parla di tecnologia si parla di tecnici, nel nostro caso di enologi.
Quindi l'evoluzione di questa categoria è illimitata, ma, come dicevo prima, con una selezione sicuramente superiore a quella di un tempo, nel senso che la laurea in viticoltura ed enologia non è un punto di arrivo ma solo di partenza: sarà poi il mercato a selezionare ed oggi le aziende assumono solo il meglio.
In base ad una recente indagine di Assoenologi, quando una cantina o un’azienda vitivinicola assume un giovane enologo vuole che egli sappia non solo la teoria ma anche "dove mettere le mani". Il 65% delle aziende, oltre ad una preparazione adeguata ai tempi, vuole che l'enologo sappia professionalmente usare il computer, conosca bene almeno una lingua straniera, meglio se l'inglese, sappia di legislazione e abbia attitudine al comando.


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