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 Nr.9 del 21/04/2008
 
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… della Resistenza
Scriveva Romeo Rosario: “La Resistenza, opera di una minoranza, è stata usata dalla maggioranza degli italiani per sentirsi esonerati dal dover fare fino in fondo i conti con il proprio passato”


  



  


Ovvero per scriverla come Leonardo Sciascia: “Gli italiani sono fondamentalmente fascisti, hanno continuamente bisogno di qualcuno che decida per loro”.
Dobbiamo constatare malinconicamente, che cinquant’anni di rimbecillimento televisivo, hanno perpetuato il bisogno di un uomo forte o di un’oligarchia consolidata. Ambedue le cose non fanno per me. Io, come molte altre persone che ho conosciuto(psicologi, professori, registi teatrali, operai, attori, meccanici…) so che non c’è nessun bisogno di uomini forti, di eroi, di super atleti, ma bensì di persone normali, che svolgano con amore e dedizione il proprio compito, non solo per se stessi, ma con lo sguardo rivolto al bene comune. Il migliore esempio di democrazia ci è stato tramandato dalla Resistenza. Per sconfiggere il nemico, il nazifascismo, forze normalmente in opposizione, si sono coalizzate per il bene della Nazione. Il nazifascismo non è stato compiutamente sconfitto, non è scomparso, si è solo mimetizzato.

Sono cosciente che l’antologia poetica “Della Resistenza”, diffusa in circa seimila copie, nelle scuole e nelle biblioteche della Valtrompia, è solo un piccolo dito nella diga, un tentativo, teso ad arginare la riscrittura acritica della Storia passata. Scrivendo di gente comune, di fatti dimenticati, ho solo voluto ricordare l’enorme contributo che l’uomo della strada, o meglio, del paese, ha dato, affinché nascesse una vera Repubblica, o Rex Pubblica, o cosa Pubblica, cioè: di tutti. “Cisco il Rosso è morto per questo, ed è per questo che alla vigilia del 25 Aprile voglio raccontarvi la sua storia.

“CISCO IL ROSSO”

“Cisco il Rosso” è un appellativo di fantasia. Non sarà difficile, per chi conosce a fondo la storia della Resistenza in Valtrompia, intuirne il vero nome. Agli altri ricordo, citando dagli “Scritti sulla Resistenza bresciana”: “…che dei morti della Resistenza o dei morti civili occorre farne memoria, perché un popolo senza memoria storica, non merita la libertà di cui gode, ed è sempre in procinto di perderla”. La sua storia, come altre storie partigiane, appartiene ormai al passato, sebbene non tutti fortunatamente abbiano dimenticato la lunga guerra fratricida che per alcuni anni insanguinò
l’Italia, mettendo a volte fratello contro fratello, figlio contro padre e così via. La vicenda mi ha incuriosito, perché ci sono, sulla sua cattura, versioni palesemente discordanti (peccato, che i nostri morti siano proprio veramente morti, e non possano tornare a riferire).
La prima, quella ufficiale, racconta che “Cisco il Rosso”, recandosi all’appuntamento con un certo “Paride”, trovò ad attenderlo le SS, che lo arrestarono, lo tradussero all’Arsenale di Brescia dove avvennero i primi interrogatori. Successivamente, venne condotto in carcere e sottoposto ad inaudite sevizie. Fu fucilato nella Caserma “Ottaviani” il 27 gennaio del 1944. Non vi darò altri indizi.
Gli avvenimenti che seguono (versione non ufficiale), mi furono narrati da un amico, figlio di una cugina del condannato, la quale ricorda lucidamente, nonostante l’età, i fatti che lo consegnarono ad una fine immeritata. Il racconto riportato parla di una storia d’amore tra “Cisco il Rosso” ed una ragazza che gestiva, o prestava servizio, in un’osteria ubicata alle porte di Pezzoro, del fratello della ragazza (di provata fede mussoliniana), e di come, presumibilmente, si architettò il rapimento della stessa, per tendere la trappola ad uno dei primi comandanti partigiani che operava lungo le pendici del monte Guglielmo. A quei tempi, narra la storia, il “Cisco”, scoprì suo malgrado, che era più facile comandare un gruppo di partigiani anarchici e affamati, che tacitare un cuore innamorato.
Poiché fu l’amore che lo spinse ad abbandonare le fedeli montagne e salire sul primo tram che portava in città (per recarsi alla prigione dov’era rinchiusa la sua amata) e cadere in un agguato subdolo e spiazzante che lo lasciò attonito e senza parole. La “passeggiata”, dopo le torture di rito, legato sul cassone di un camion fino a Collio e ritorno, fu un’umiliazione da niente in confronto
al dolore che provava per il presunto tradimento della sua donna. Spero per lui, che sia morto prima di essere giunto alla soluzione dell’atroce dilemma. E, spero per tutti noi, che l’ipotesi comprensibilmente umana, del dispiacere e della pietas, di coloro che lo fucilarono, abbia un fondamento di verità.



PARTIGIANO NON CHIEDERE

Partigiano non chiedere!
Il più duro tra noi
ha preso a calci i suoi cani
e spezzato il frustino.
Quando l’amore tradisce l’amore,
il nemico non è altri che un uomo.

Ti caricammo di malavoglia
sul camion della vergogna
avanti e indietro a monito,
lungo tutta la strada
che attraversa la Valle.

Un eroe partigiano
ingenuo come una quaglia,
orgoglioso e ribelle come un indiano,
venduto per un pugno di niente,
da una giovane donna
ciarliera e graziosa.

Ho sparato due spanne a sinistra,
quando hai rifiutato la benda,
addossandoti al muro
come aspettassi qualcosa o qualcuno.
A più d’uno tra gli altri
ha tremato nelle mani il fucile.

Noi soldati di ferro dalle brune camicie
sembravamo un plotone di vecchi,
persi nel ricordo struggente
di un amore lontano
nello spazio e nel tempo.




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