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 Nr.13 del 09/06/2008
 
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Il topo? Non ha più paura del gatto !
La rivista Nature ci informa che è stata fatta una delle scoperte più importanti del XX secolo. Si tratta della delucidazione sulla natura chimica del materiale genetico


  


A partire dalle osservazioni di un medico britannico fatte nel 1928, un biologo americano dimostra che una sostanza chimica derivante da batteri morti (pneumococchi), può essere captata da batteri vivi e può trasmettere loro un potere patogeno. Lo pneumococco è l'agente della polmonite. Inoltre questo è anche trasmissibile ereditariamente. Questa sostanza chimica viene identificata come l'acido desossiribonucleico o DNA. Una conclusione che non viene subito accettata universalmente. Ma che tuttavia sprona vari ricercatori a studiare la struttura fisico-chimica del DNA. E ciò porterà Watson e Crick all'altra eccezionale scoperta del XX secolo, la struttura a doppia elica del DNA. Nel 1953. È di certo la più importante scoperta della storia della biologia. Nel 1966, cioè tredici anni dopo, il codice genetico sarà completamente chiarito. Vale a dire che il DNA stabilisce la forma e la funzione delle nostre cellule.

Con un piccolo ritocco al DNA, hanno disattivato alcune cellule olfattive nel ratto. È successo in un laboratorio di Tokyo, dove il gruppo di ricerca della locale università, guidato da Hitoshi Sakano, ha lavorato su un ratto geneticamente modificato. Hanno disattivato il suo sistema olfattivo inserendo nel DNA un gene capace di eliminare alcune cellule nel bulbo olfattivo: quelle, appunto, che intercettano l'odore del gatto. Sono tali cellule che lanciano al cervello il segnale elettrico che fa scattare l'allarme-predatore e scatena l'istinto di fuga. Disattivate quelle, il topo non ha più paura. Di più, gioca addirittura con il suo eterno nemico. Ha vinto la paura. Persino quella della preda nei confronti del predatore. La più atavica delle paure.
È un esperimento, certo. E ci si augura che si fermi lì. Perché, inutile negarlo, la Natura ha posto delle regole rigide per regolare i rapporti fra la preda e il predatore. È proprio grazie a loro che l'equilibrio fra le specie viene garantito. Perché è vero che paura e coraggio sono sì funzionali alla sopravvivenza, ma i singoli animali possono rivelare personalità diverse. E, in questo caso, non parliamo solo di animali che convivono abitualmente con l'uomo, ma di una sessantina di specie, per le quali si sono riscontrate finora delle differenze tra individui. Che si possono assimilare a tratti di personalità. Ci sono, insomma, spiriti disposti a correre rischi, più impavidi e temerari, avventati e spericolati. Che osano. E vi sono caratteri animali più timidi e paurosi, scoraggiati e timorosi. Che non osano. Non si sa il perché. In quanto l'origine e il significato evolutivo delle personalità nel mondo animale sono ancora sconosciute. Anche se vi sono alcuni studi degli etologi che sottolineano come, tra le cause, vi sia la scelta dei singoli individui di puntare su un successo riproduttivo presente o futuro.

C'è una teoria, a tale proposito. È basata sulla costruzione di un modello matematico. L'hanno elaborata all'Università di Groningen, in Olanda. Spiega che chi non ritiene di riprodursi nell'immediato – perché le risorse ambientali non sono idonee ad allevare la prole –, si dimostra più cauto nel correre rischi con i predatori. Viceversa, chi conta di riprodursi subito, si manifesta più spavaldo verso i predatori. E anche più propenso alle esplorazioni.
Uno studioso italiano di comportamento animale, ha scoperto che un altro elemento che può fare la differenza tra paurosi e coraggiosi, all'interno di una stessa specie, è lo stress materno al momento del concepimento. Studiando le cinciallegre, il ricercatore ha notato che la loro personalità si sviluppa già a partire dall'uovo. Sottoposte a stress, le madri producono ormoni – che poi si rintracciano nell'uovo –, in grado di influire sull'indole della prole. Che nasce più spavalda.
Ci sono poi degli animali che sembrano temerari. In realtà lo sembrano solo. Perché, di fatto, sanno di non correre pericolo alcuno. E infatti non vale parlare di coraggio, ma di simbiosi. Come nel caso degli uccelli di palude. Essi si infilano tra le fauci dei coccodrilli. Ripuliscono i loro denti dai resti del cibo. Il grande predatore tollera l'intruso perché, con il suo aiuto, può evitare infezioni dentali. Contemporaneamente, gli uccelli possono nutrirsi in tutta tranquillità in un luogo al riparo da ogni tipo di predatore.
E potremmo dire anche delle bufaghe. Questi uccelli che gambettano sul dorso dei bufali e rinoceronti, sembrano coraggiose. Ma in realtà c'è un interesse reciproco. Gli uccelli stanano e mangiano i parassiti della pelle di questi possenti animali. Che sono per loro, così piccoli, una garanzia contro i nemici: chi mai si avvicinerebbe ad animali di quelle dimensioni e potenza?
Per non parlare di quei passeri che depongono le uova dentro al nido delle aquile. Temerari o incoscienti? Nessuna delle due. Si comportano così perché sanno benissimo che la regina dell'aria non è per nulla interessata a prede così piccole. E si potrebbero fare molti altri esempi. Come quello del topo temerario della ricerca giapponese. Il quale ha trovato, davanti a sé, dei predatori mansueti in modo del tutto insolito. Sì, perché gli sperimentatori, prima di presentare il loro mutante ai gatti, hanno provveduto a rimpinzarli adeguatamente, affinché non lo divorassero. Com'era scontato che sarebbe accaduto.

Comportamento adottato in nome della scienza, perché in natura una tale alterazione dei rapporti non avrebbe alcun senso. Vale a dire che un topo che non ha paura dei gatti corrisponde ad un topo "impazzito". Che ha perso il suo istinto. Un drammatico svantaggio, non c'è che dire, in termini evolutivi. Una "snaturazione". Per ottenere la quale non serve neppure manipolare il DNA. In cattività, ad esempio, accade spesso che gli animali non abbiano paura dell'uomo perché, dallo stesso, sono stati svezzati. L'imprinting che ricevono li porta, assai spesso, ad identificarsi con la specie umana. La perdita della paura, insomma è sempre alla base della domesticazione. In natura un pappagallino che se ne sta appollaiato sulla spalla di una persona, sarebbe un suicida. Tanto quanto un topo che non teme la presenza del gatto.

Ermanno Antonio Uccelli


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