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 Nr.17 del 22/09/2008
 
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I giochi
Sono antichi i giochi olimpici, od Olimpiadi. Venivano celebrate nella piana ai piedi del monte Parnaso, nella Grecia amica. In onore di Apollo. Si celebravano ogni quattro anni, dal 582 a.C.


  


Su consiglio dell'oracolo di Delfi, nel 776 a.C. Ifito, re di Elide, istituì le Olimpiadi. Che si disputarono ininterrottamente fino al 396 d.C. Le gare si svolgevano sempre a Olympia, in uno stadio che poteva contenere sino a 60 mila persone. In occasione della celebrazione delle Olimpiadi, le guerre venivano sospese.
Nel 396 d.C. le Olimpiadi furono soppresse. Fu Ambrogio, arcivescovo di Milano, che pretese l'abolizione dei giochi, considerati pagani. Trascorsero 14 secoli. Nel 1829 i francesi riparlarono di Olympia. Dovettero passare ancora 11 anni perché, a Parigi, il sociologo barone Pierre De Coubertin proponesse la ri-edizione delle Olimpiadi. Due anni dopo, il congresso
sportivo internazionale diede la sua adesione. E così dal 1896, l'Olimpiade, strettamente riservata ai dilettanti, si è sempre disputala ogni quattro anni. Con l'eccezione degli anni 1916, 1940 e 1944, quando fu sospesa per eventi bellici.

In questo 2008, in Cina, in contemporanea con i giochi delle Olimpiadi, è partito anche un altro gioco ancor più antico e spettacolare: quello della guerra. Gioco nel quale l'uomo è particolarmente vocato. Guerra fra la Georgia e la Russia, questa volta. Così alle medaglie dei primi giochi, fanno da contraltare i drammi, i lutti e i profughi di questi secondi giochi.
Chi ama la guerra, non l'ha mai provata. Forse non è vero per tutti, ma certo la guerra può sembrar bella o meno a seconda della parte dalla quale la si guarda. Che significa se vista dalla parte di chi la combatte e da quella di chi la subisce. Quel che è vero è che la guerra si ripresenta. Puntuale. Ad intervalli (forse) irregolari ma, certo, abbastanza ravvicinati.
Siamo stanchi di guerra. E non mi riferisco alla ennesima carneficina armata tra Georgia e Russia. L'Ossezia del Sud, che fa parte della Georgia, sostenuta da Mosca, vuole l'indipendenza. L'Ossezia meridionale è una striscia di terra che si sente filorussa e si è proclamala indipendente da Tbilisi, la capitale della Georgia.
Mi riferisco al fatto che non viviamo mai in pace. Perchè si compie, ogni giorno nel mondo, il sacrificio del giusto. Con il cinismo del mondo tecnologico e televisivo che permette alla viltà di uccidere senza vedere in
faccia la vittima e assumere la responsabilità del dolore.
Si guarda, increduli e sgomenti, lo scorrere drammatico degli eventi. Con immagini comunque terrificanti. Con (ancora) i missili intelligenti. Lo sventolio di bandiere. Si useranno tulle le (consuete) armi della propaganda... Insomma, la solita penosa esibizione di stucchevole superficialità. 1 bombardamenti chirurgici. Le cluster bomb. Si lanceranno accuse di pulizia etnica. Con immagini di massacri lampo. Con migliaia di morti. Fra i civili, naturalmente. In ogni caso, come sempre, una catastrofe. Un enorme dramma umanitario.
Siamo stanchi di guerra. Ma ahimè, come si è visto, l'uomo non ha ancora imparato, dopo migliaia di anni, a farsi civiltà e non cronaca di macellerie.
Ci fanno vedere uomini e donne che piangono. Che fuggono con poche e povere cose. Una massa umana disperata. Davanti a queste scene strazianti, ci si chiede chi sono gli uomini e le donne che piangono e che fuggono. Domande che potrebbero anche non avere risposta. Perché poco conta da che parte si muore, e forse anche da che parte si uccide. Conta molto di più come
si muore e si uccide. Conta perché si uccide e si muore. Per quali motivi. A quali scopi. E in Georgia si uccide e si muore per i motivi e per gli scopi più ciechi e crudeli. Questo ci suggeriscono i nostri occhi, mentre scorrono le immagini sconvolgenti che ci vengono dalla tivù.
Sono migliaia di anni che i popoli si scannano. Sono migliaia di anni che giocano al feroce e crudele gioco della guerra. Lo fanno perché si credono diversi da coloro che uccidono. Per questo si uccidono. Gli uni contro gli altri. Perché non si ritengono uguali. Quindi è ovvio (parrebbe di capire) che, poiché non si sentono uguali, anche ora si uccidono.
Ma, è ben altra l'opinione nella quale noi ci confermiamo davanti a queste immagini. Perché ci pare che gli uni e gli altri siano sorprendentemente simili. E persino uguali. Ci sembra che gli uni siano l'immagine allo specchio degli altri. E che questi altri siano l'immagine allo specchio dei primi.
Identiche sono le buche che scavano nella terra. Identica è la paura. Identici il dolore e la sofferenza. Identiche (addirittura) le parole: questa terra è nostra. Da sempre. Questo dicono da entrambi i lati dello "specchio". Perché è identica la certezza di avere ragione.
E allora ci si chiede se, ai reggitori del mondo, non sia mancato un insegnamento alto e severo come quello che Seneca ha impartito a Lucilio. Da come si muovono, da come si comportano, da come (goffamente) si destreggiano con la vita quando devono operare per l'umanità, sembra
proprio che questi soggetti non abbiano avuto maestri. Non abbiano letto opere capaci di moderare il loro esibizionistico e ipertrofico narcisismo. Che, in molte occasioni, sconfina in ferocia.
Una cosa non mi pare dubbia: che, da molti lustri a questa parte, non vi siano voci accorate e autorevoli di personaggi pubblici che cercano di avviare i giovani verso ideali di solidarietà e di tolleranza. Così come mi pare che non ci sia un Seneca, anche se, in ogni secolo, non sono mancati eccellenti educatori. In ogni modo, sono davvero inadeguati i tentativi che, in modo
flebile e svogliato, hanno messo subito in atto le organizzazioni internazionali, dall'Onu all’Unione europea, per venire a capo dell'orrore dei cadaveri, del disumano (e inutile) dispendio di vite profuso a piene mani in questo stupido, barbaro e inutile gioco della guerra.
E poi, via, diciamolo. A noi le immagini che vengono dalla Cina, dal Tibet, dalla Georgia e da tutti gli infiniti luoghi dove si gioca ad uccidere, a massacrare, suggeriscono un dubbio. Una sorta di "prudenza": ci si uccide in quanto si è diversi, o ci s’immagina diversi per potersi uccidere?
Insomma, nonostante millenni di buone intenzioni, è del tutto inutile che ci diamo tante arie: l'uomo è una bestia feroce. La più feroce: immerge l'aragosta, ancora viva, nell'acqua bollente.
Perché, si giustifica, così è più buona.
Vale la pena ricordare qui l'affermazione di John F. Kennedy. Nel messaggio all'Onu del 25 settembre 1961, disse: “L'umanità deve porre line alla guerra, o la guerra porrà fine all'umanità”.

A dire quanto civile e veritiera sia quest’affermazione, è venuta la risposta dagli altri giochi che, anch’essi come quelli olimpici, usano le armi in Georgia. E che (almeno cosi pare) si sono fermati. Anche se, sarà inevitabile, qualche colpo di arma da fuoco sarà ancora sparato, i bombardamenti e lo scannatoio quotidiano sono cessati.
Il medagliere di questi giochi può sfoggiare cifre molto più significative ed eloquenti degli altri giochi: 2 mila morti. Molte migliaia i feriti. Quattro giornalisti uccisi e altri 4 feriti. Danni (per ora) incalcolabili. E centomila
profughi (sino ad ora). Che andranno ad incidere sui fragili equilibri delle vicine repubbliche dai nomi esotici e instabili. Già segnale da violenze. Mancanza di democrazia. Penetrazioni islamiche.
A me pare davvero singolare che, come uomini, abbiamo il coraggio di chiamare feroci le bestie!

Ermanno Antonio Uccelli


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