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 Nr.19 del 13/10/2008
 
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Un ritorno che invita a pensare
Possiamo parlare di una lieta novella. Fresco di stampa, è presente sulle scansie delle librerie un libro che ci viene annunciato essere la “prima edizione integrale” delle Storie del signor Keuner di Bertolt Brecht (Einaudi, pag. 139, Euro 15)

Non dovrebbe neppure essere necessario fermare l’attenzione su Brecht, se non fosse che il tanto decantato processo di tramonto delle ideologie ha, come suo esito perverso, portato anche alla caduta dell’interesse persino verso i capisaldi della tradizione culturale del XX secolo di cui Brecht è indubitabilmente parte. Allora soffermiamoci, sia pure brevemente, di fronte alla figura del drammaturgo e poeta tedesco nato ad Augusta nel 1898 e morto a Berlino nel 1956. Berthold, che muterà poi il suo nome in Bertolt e infine, nel modo più stringato, in Bert, conosce il vero volto della realtà, ha la sua iniziazione alla vita, come tutti quelli della sua generazione, nel crogiuolo della Grande Guerra. Dal 1924 è a Berlino e qui entra in contatto con il mondo dell’espressionismo tedesco, iniziando a mettere in scena una serie di drammi che conoscono un crescente successo e che pongono Brecht al centro della cultura tedesca dell’età della Repubblica di Weimar. Le sue opere passano da una prima fase di analisi incentrata sui temi della manipolazione dell’uomo nella società della tecnica, che ha il suo apice con L’opera da tre soldi, alla fase più politica, che giunge al suo acme con Santa Giovanna dei Macelli.
L’ascesa al potere del nazismo costringe Brecht ad un esilio di quindici anni che lo porta a muoversi per tutte le regioni d’Europa che non erano ancora sotto il tallone del fascismo, per poi finire il suo peregrinare in USA. La doppia esperienza del nazismo e del dramma della seconda guerra mondiale porta Brecht ad approfondire la sua meditazione sulla condizione umana, il che favorisce lo sviluppo di nuove abilità espressive. Accanto al drammaturgo ecco svilupparsi il romanziere e l’autore di dissacranti opere, spesso non totalmente concluse proprio per la loro intima problematicità, che sfruttano tutta la gamma degli strumenti del letterato, dal breve pensiero all’aforisma, dalla massima all’epigramma, dal dialogo “socratico” all’apologo fino alla raccolta di una ricca messe di notazioni diaristiche.
Quella che va dai primi anni trenta alla morte è una produzione vasta e colma di ricerche sul senso dell’esperienza umana; la loro inesauribile attualità si rivela anche nell’essere, almeno da certi punti di vista, enigmatiche ed irrisolte. Si pensi solo alle grandi opere drammatiche di quest’epoca, da Madre Courage e i suoi figli, che nella descrizione della guerra dei 30 anni pone un drammatico parallelo con la guerra seconda guerra mondiale, alla Vita di Galileo, segnata dall’esito dell’esplosione della bomba di Hiroschima, fino a Puntila e il suo servo Matti. Si tratta di una serie di opere che rappresentano uno dei momenti in assoluto più alti della drammaturgia del secolo appena concluso. Non di meno le opere minori, che vanno dalla Storie da Calendario ai Dialoghi dei profughi al Me-Ti Libro delle svolte fino al nostro Storie del signor Keuner, sono momenti di altissima poesia in cui emerge il Brecht meno noto, quello che non aveva un immediato bisogno di giungere al pubblico e perciò, privo di un’urgenza e di rapidità, meglio esprimeva il travaglio interiore dell’autore.
Un esempio significativo è proprio rappresentato da questa raccolta di 136 brani di diverse dimensioni, 121 già noti e 15 ritrovati di recente fra carte inedite del drammaturgo. Si tratta di una raccolta di testi che ha accompagnato l’intera vita del poeta, se è vero che i primi devono essere stati pensati e scritti intorno alla fine degli anni venti e gli ultimi erano ancora in fase di rielaborazione quando Brecht morì.
Quale il motivo dell’invito a leggerli, anzi a ragionarci sopra, quasi fossero parabole di una verace “novella” che parla di noi e delle contraddizioni del nostro oggi? Il motivo è semplice: Brecht, almeno a nostro avviso, in questi testi si libera dalle necessità della narrazione, vorremmo quasi dire della “professione”, fosse quella di letterato, fosse quella di militante della sinistra antifascista. Qui Brecht si impegna in un’opera del tutto particolare. Prende di petto l’intera cultura e civiltà occidentali, cercando di passarne al setaccio le qualità e il valore. E’ per questo motivo che, soprattutto nell’ultima opera, il Me-Ti, si verifica una strana ma forse inevitabile mutazione, e alla cultura dell’Occidente si oppone quella della millenaria civiltà cinese. Tramite la sapienza cinese viene messa in discussione la razionalità sistematica e asservente del logos occidentale. Si tratta di cercare per lo meno di insinuare qualche dubbio di fronte ad una realtà in cui la barbarie non viene da una qualche barbarie del singolo ma, come Brecht soleva ripetere, dal modo di produzione stesso.
Si tratta insomma di elaborare una nuova forma di moralità e di azione politica che sappiano aggredire il futuro: questo è il messaggio che emerge da queste opere “minori” di Brecht e che sta a noi saper leggere in un presente che appare incredibilmente senza speranze e fondato sulle forme più regressive dell’egoismo individuale. Qui la voce del prof. Keuner può farci da guida, sta proprio e solamente a noi saperla ascoltare.
Se riusciamo ad acquisire di nuovo questa capacità di ascoltare, essa giungerà a noi fresca più che mai, aiutandoci a riprendere un itinerario di comprensione della nostra realtà interiore. Ad esempio ci ricorderà delle verità tanto ovvie quanto troppo spesso dimenticate. Una per tutte:
“- È bella, - disse il signor K. vedendo passare un’attrice. – Di recente ha avuto successo perché è bella, - disse il suo compagno. Stizzito il signor K. disse: - È bella perché ha avuto successo…” (B. Brecht, Storie del signor Keuner, pag. 96).

Giulio Toffoli


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