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 Nr.21 del 27/10/2008
 
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Nelle pieghe della storia
Da una testimonianza degli anni venti una lezione per comprendere a fondo i paradossi della Germania nazista


  


Ci è giunto fra le mani di recente un volume pubblicato dalla Garzanti un quinquennio fa. Non sappiamo se per nostra disattenzione o per un normale processo di perdita delle informazioni non lo avevamo incontrato sul nostro percorso. Il titolo del volume è Storia di un tedesco e il sottotitolo redazionale recita Un ragazzo contro Hitler dalla repubblica di Weimar all’avvento del terzo Reich (Garzanti, pag. 235, Euro13,50). L’autore, Sebastian Haffner (1907-1999), ci viene presentato come un esempio classico della società tedesca della prima metà del secolo, ma il sottotitolo non fa giustizia al valore del testo, che si allarga molto al di là della semplice esperienza di Weimar, gettando le sue radici nell’esperienza della prima guerra mondiale vista con gli occhi di un bambino e finendo con il radicamento del nazismo nella società tedesca, ben oltre la semplice salita al potere di Hitler. Infatti Haffner ci offre una testimonianza che in una certa misura si allunga fino alla prossimità della seconda guerra mondiale, visto che l’autore riesce a sfuggire alla morsa del regime nel 1938, proprio quando si addensano sul mondo venti di guerra.
Ma vi è un secondo elemento che stuzzica alla lettura: il dattiloscritto di questo testo, pur risalendo al momento della fuga dalla Germania nel 1938, è stato pubblicato solo nel 2000 dopo la morte dell’autore, come una vera e propria testimonianza postuma. Vogliamo credere che Haffner, giornalista e a suo modo storico di una certa caratura, abbia voluto mantenere un velo di pudore sulla sua personale “tragedia” che si iscrive così bene nella più generale drammatica pagina storica che ha coinvolto il suo popolo e il mondo intero.
Questi primi elementi che ne consigliano la lettura, uniti ad uno stile giornalistico molto scorrevole, che coinvolge il lettore nei suoi tentacoli fino all’ultima pagina non sono tuttavia i veri motivi che ci impongono di parlarne.

Le ragioni vere sono invece di due tipi: motivi di tipo storico metodologico e motivi di tipo più propriamente informativo storiografico.
Haffner in questo scritto ci scodella con grande umanità la storia della sua famiglia e la sua storia personale. È la storia di una famiglia della grande burocrazia statale prussiana, culturalmente e politicamente conservatrice e nazionalista, che si trova ad affrontare in una prospettiva totalmente diversa da quelle a cui siamo abituati le contraddizioni del decenni dal 1914 al 1938. Il padre dell’autore, gran commis dello stato, ha solidamente ancorato la cultura e l’educazione del figlio ad un modello individualistico-borghese, ed è da quest’angolatura che la storia della Germania ci viene narrata, senza nessuno spiraglio ad attese messianiche o ad avventure militariste, e senza lasciare spazio a momenti di liricità romantica.

Il senso del volume emerge fin dalle prime righe: “La storia che qui si vuole raccontare ha per argomento una specie di duello. Si tratta di un duello impari tra due avversari molto diversi: tra uno stato oltremodo potente, forte e brutale, e un piccolo privato cittadino, anonimo e sconosciuto. Il duello non si svolge su quello che viene comunemente considerato il campo della politica; il privato cittadino non è in alcun modo un politico, né tanto meno un congiurato, un “nemico dello stato”…Non desidera altro se non proteggere… la propria personalità, la propria vita e la propria onorabilità. Tutto questo viene costantemente aggredito dallo stato in cui vive e col quale ha a che fare, con mezzi estremamente brutali, anche se abbastanza grossolani.” E’ questo terremoto che Haffner ci descrive e aggiunge: “ Chi vuole saperne qualcosa deve leggere le biografie, e non quelle di statisti, ma quelle troppo rare della gente comune. E lì si vedrà se un certo “evento storico” passa sopra la vita privata…come una nuvola sopra un lago; nulla si muove… Un altro sferza il lago come una tempesta… Il terzo evento forse consiste nel prosciugamento di tutti i laghi.”
Ed è evidentemente questo ultimo il caso che ci viene narrato. Dai giochi di guerra dei bambini che seguono le fasi della prima guerra mondiale come un “innocente gioco” di figurine fino ai giochi di guerra delle reclute dell’esercito del grande Reich Millenario cui anche l’autore deve partecipare. Si tratta di un percorso di sfarinamento della società tedesca che emerge come una specie di inesorabile destino che il conservatore Haffner non riesce a comprendere e vive come una crescente tragedia personale e familiare… Dalle vicende paradossali della Repubblica di Weimar, di fronte a cui la borghesia tedesca appare incapace di individuare una propria identità, fino all’avvento del Reich è un processo di avvitamento in un mondo nuovo di cui l’autore ci descrive il sommarsi di disastri che un’opinione pubblica impotente accetta come ineluttabili. In fondo anche la presa del potere da parte di Hitler è accettata come ineluttabile. Dall’altra parte vi erano i comunisti, che avevano fatto di tutto per farsi sconfiggere… Poi però il quadro muta. La mano ferma del nazismo schiaccia l’una dopo l’altra le libertà borghesi, riduce quegli spazi di libero pensiero e di libera associazione in cui i giovani “bene” come Haffner stavano costruendo il loro futuro di classe dirigente. Il potere cade nelle mani di una marmaglia violenta, aggressiva e complessivamente ignorante. È l’inizio di un’esperienza che l’autore descrive in pagine vivide e sofferte: la scoperta della discriminazione razziale, che colpisce amicizie e affetti, il frantumarsi della stessa realtà amicale giovanile su cui ciascun individuo costruisce parte della sua identità… Il bisogno della fuga, la scoperta della difficoltà di sfuggire al pugno di ferro dello stato.

Ma qui ci fermiamo poiché ci pare di aver offerto materiali sufficienti per stimolare un percorso fra quelle smilze duecento paginette alla fine delle quali non si è più gli stessi. Haffner ci invita ad una meditazione che dall’ieri si estende all’oggi…, ricordandoci la nostra responsabilità di uomini che stanno costruendo un incerto futuro.

Giulio Toffoli


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