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 Nr.27 del 22/12/2008
 
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Lettera a Gesù Bambino
Caro Gesù Bambino, scrivo a te per secondo, e mi scuso profondamente di averti messo per secondo, ma Santa Lucia Gelmini non è stata molto buona con me

Hai fatto bene a farla cecata e a darle un asino invece di un furgone della Fiat, che poi qualcuno mi deve spiegare quanti doni può portare un ciuco. Con tutta la sua buona volontà, potrà portarne sessanta o settanta, ai bambini che sono già ricchi o raccomandati, che poi questi bambini le buttano via, le fionde, le noccioline americane, i “portogalli”, le mele e i giocattoli di legno. Dimmi tu caro Gesù Bambino, se è possibile che io rischi di morire a sei anni in un aula scolastica, per uno squallido cadere di soffitto, quando il mio sogno è di perire a vent’anni in una piccola fonderia del varesotto. Non si uccidono così le speranze dei piccoli. Il mio nonno è in pensione, ma siccome ha sempre lavorato da disoccupato, non prende un “tolino”. La mia nonna ha l’Alzheimer, e pensa, non ha dovuto neanche fare il mutuo per averlo.
Il mio papà è in cassa disintegrazione, la mia mamma anche lei è in una cassa, quella di abete.
È morta la settimana scorsa in fabbrica, bruciata. Il padrone dice che è colpa sua, non aveva il piede di porco regolamentare per aprire le porte di sicurezza.

Caro Gesù Bambino, da due giorni mi mangio le unghie, sono rimaste le uniche cose commestibili in casa. Ieri papà ha triturato le gambe di una sedia mescolando la segatura con del latte scaduto, e questo ha procurato a tutti un mal di pancia pazzesco. Io sono andato a “liberarmi” vicino alla discarica abusiva che si trova cento metri a nord dalla nostra abitazione. Certe lacrime, grosse come biglie. Però sono stato fortunato, nonostante la sofferenza, perché lì vicino ho trovato un mezzo sacchetto di argilla rosso mattone, e un bel metro quadro di moquette verde muschio, sai che bel presepe salta fuori. Per il bue, l’asinello, e qualche pastore andiamo bene, ma per te che sei sempre raffigurato come un cucciolo rosato, come facciamo? Non ti facciamo che è meglio. Tanto né tu né tuo Padre avete fatto una madonna per “gli ultimi che saranno i primi”. Mio padre ha la Panda, ma vince sempre la Ferrari, la mia mamma è morta per prima, e non ci hanno dato, non dico una coppa, ma neanche due etti di mortadella.

Caro Gesù Bambino, perché l’hai chiamata in Paradiso, che se la lasciavi viva, non mi sarebbe toccato di lavare i panni di tutti, anche del nonno, che se la fa sempre addosso, e puzza come un caprone in amore. Poi, ti prego di lasciar sposare i preti, perché l’unica volta che mi sono confessato, il parroco mi ha chiuso le ginocchia tra le sue, e mi ha preso il viso tra le mani, per fortuna che quando mi ha chiesto che lavoro faceva il mio vecchio, gli ho risposto che costruiva tenaglie per castrare i tori e che votava comunista. Non mi ha lasciato neanche elencare tutti i peccati, mi ha dato due assoluzioni e mi ha detto di cambiare parrocchia. Mi ha raccontato la mia nonna che sei morto a trentatre anni, inchiodato a due traversine del treno, e che sono stati gli ebrei. Sei nato in Palestina, cosa pretendevi? Adesso lì, nella striscia “della gazza”, i bambini muoiono a sei o sette anni, e le donne come la tua mamma, le fanno partorire in attesa ai chek point, con quaranta gradi all’ombra, distese sulle rocce, anche se non sono gli ebrei che li uccidono o le maltrattano, ma un popolo dal nome strano “i Sraegliani” mi pare. Dice la nonna, che ha l’Alzheimer, che Hitler doveva fare i forni più larghi. Strano, perché a scuola la maestra ci ha insegnato che il Fuhrer prima faceva l’imbianchino, non il fornaio. Dice la nonna, che non ci crede all’arcangelo Gabriele, secondo lei era il dottor Spock con la sua tuta aliantica, ed è lui che ha praticato “l’inseminizzazione artificiale” alla tua mamma. Che abbia visto troppi film di Star Treck?

Caro Bambino Gesù, scusami, sto divagando, perché so che non sono stato molto buono quest’anno.
Ho già avuto l’angelo custode, ma di questo te ne parlo dopo. Quello che ti voglio chiedere, è un grosso regalo per il mio papà. Lui lavorava dodici ore al giorno come un negro, e ha un amico negro che lavorava dodici ore al giorno come lui, e lui non riesce ad essere razzista, anche se è bianco come uno della Lega. Ecco, volevo chiederti a Te, anzi al tuo papà, che ha il tuo stesso cognome, (me l’ha detto la nonna che di cognome ti chiami Dio) dicevo, tuo padre è proprio un bel fannullone, (gli va bene che in cielo non c’è “Brunanetta”) aveva cominciato un così bel lavoro, ungendo un signore di qui, mi chiedeva il mio papà, dato che lo ha unto per bene, non potrebbe anche friggerlo? Mi ha detto il mio papà, che se lo fate contento, smette di andare a pisciare di nascosto nelle acquasantiere, e mio papà è uno di parola, anche se, non ho ben capito perché ieri sera stava immergendo nella cera dei piccoli candelotti che sembrano di legno con su scritto nitro qualcosa, disegnandoci sopra delle madonnine con l’aureola. Che si stia convertendo?

Caro Gesù Bambino, per me non voglio regali, anzi, io e la mia famiglia ti dobbiamo qualcosa, anche se non sappiamo come ripagarti. La nonna ha cinque nuovi pennacchi per la polvere, e mi ha costruito un copricapo di piume bianche battezzandomi “Vitello Seduto”. Il nonno ha bucherellato una tibia spolpata e ne ha ricavato un bellissimo flauto. Insomma, devo dirti, che il divino volatile, ce lo siamo mangiato, e che sapeva di anatra vecchia. Se recito una ventina di Ave Maria, puoi mandarci un angelo custode con le piume colorate al sapore di porchetta? No? E se ci metto cinque Pater Noster? Neanche? Ma cosa vuoi, che ti adoriamo? So che lo fanno in tanti, specie sotto Natale, soprattutto quelli che non hanno l’ombelico incollato alla spina dorsale come noi, anzi, sai cosa ti dico, mi è venuta una fame, questa lettera non te la mando neanche, la faccio a pezzettini, la metto in un pentolino con del brodo di mosche, e andate a farvi benedire: Te, il tuo Papà, lo Spirito Santo, i Testimoni di Genova, quelli della Settima chiesa della presa per il culto, e “I Sraegliani”, perché, come dice il mio papà, (che è stato bocciato anche a catechismo) ”L’aver avuto cattivi maestri, non può essere un comodo alibi per diventare pessimi scolari”.


Non so voi, cari rari lettori, ma io non riesco a trovarlo malvagio questo bambino. Non odia Cristo, lo sta cercando. Ama suo padre, è contento di avere una nonna, pur se con l’Alzheimer. Non sono cose minime. Circa un mese fa, ho chiesto ad un’amica sedicenne di mio figlio, che lavoro svolgesse suo padre, mi ha risposto che non lo sapeva.

La poesia che segue (da “Poeti Ungheresi”), la dedico a quel piccolo monello, e a quelli che mi daranno del “baffuto nipotino di Stalin”, ricordo la frase pronunciata da un cardinale sudamericano: “Quando do da mangiare ai poveri, dicono che sono un santo. Quando chiedo perché i poveri non hanno da mangiare, mi chiamano comunista”. BUON NATALE.


POESIA DEL RAGAZZO PROLETARIO

Mio padre, dalla mattina alla sera,
suda, va e viene, lavora.
Non c’è uomo migliore di lui,
non c’è, non c’è in nessun posto.
Porta una giacca logora mio padre,
ma a me compra un vestito nuovo,
e mi parla di un bel futuro,
amorosamente.
Dei ricchi, è prigioniero mio padre,
e lo maltrattano, lo umiliano, poveretto,
ma la sera, lui ci porta lo stesso
una buona speranza.
Mio padre è un combattente, un grand’uomo.
Per noi, vende orgoglio e forza,
ma non umilia mai se stesso
davanti al denaro.
Mio padre è triste pover’uomo,
ma se non avesse riguardo per suo figlio,
fermerebbe lui, questa grande,
triste commedia.
Se mio padre non volesse,
non esisterebbero i ricchi,
così, ogni mio piccolo compagno
sarebbe come sono io.
Se mio padre dicesse una sola parola,
ah, in molti tremerebbero,
e in molti non vivrebbero
così allegramente e felicemente.
Mio padre lavora e lotta,
non c’è nessuno più forte di lui,
forse è più potente anche del Re
mio padre.


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