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 Nr.6 del 16/03/2009
 
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L'incenso E il suo misterioso percorso
Tutto, nel mondo antico, era avvolto dai fumi e dai profumi dell'incenso: il sacrificio e il banchetto, la danza e la tomba, il fasto e la gioia, la malinconia e l'ebbrezza…


   Incensiere romano



   Incensiere in bucchero


Anche nelle nostre chiese, fino a qualche tempo fa, le maestose polifonie e l'ultimo viaggio delle nostre spoglie erano accompagnate dai tintinnii e dagli effluvi dei turiboli ardenti: essi cercavano di annunciare il senso dell'eterno e del divino.
Questa gommoresina, l'incenso, è ottenuta per incisione della corteccia di diverse piante arboree originarie dell'India e dell'Africa. Bruciato, l'incenso emana un fumo denso e un profumo particolare e aromatico. È utilizzato nelle cerimonie di molte religioni antiche e anche nel cristianesimo, perché è un simbolo di venerazione, di onore o di adorazione. È pur vero che il suo uso è antichissimo, tanto presso le religioni pagane che presso gli Ebrei.
Forse dapprima fu usato nel culto dei morti, quale omaggio all'anima del defunto. In Grecia, fu preceduto da legni odorosi e, dopo il secolo VIII a.C. cominciò ad essere gettato sul fuoco o sulla vittima. Ebbe poi una parte importante anche nel rituale dei misteri.
A Roma, anticamente, furono impiegati legni odorosi. Qui, l'incenso sarebbe stato introdotto con il culto del dio Bacco. Era contenuto in una cassetta dalla quale si versava sull'altare, commisto a vino, prima che venisse esposta la vittima, e lo si bruciava con essa.
Nella cappella domestica dell'antica casa romana, destinata al culto dei Lari, i numi tutelari della casa, l'incenso ardeva in bracieri, detti focus o turibulum, innanzi alle immagini.
Nella liturgia cristiana fu dapprima usato nei funerali, nel III secolo; più tardi in tutte le manifestazioni rituali, bruciato o sopra un supporto fisso detto paletta o badillum, o sopra un oggetto mobile, l'incensiere o turibulum. Solo dopo il Mille l'incenso è entrato stabilmente nel rituale cattolico.

Una spezie preziosa, l'incenso. E mitica. Perché proveniva da un punto remoto del mondo allora conosciuto. Da dove giungeva di certo anche quel re mago che portò l'incenso alla capanna di Betlemme. È un fatto che nessuno degli scrittori che ne trattò si sottrasse alla suggestione che ebbero, più tardi, la seta e il caffè.
Ad esempio, l'anonimo autore del Periplo del Mar Rosso scrive, nel I secolo dopo Cristo: «Sulla costa meridionale dell'Arabia, dopo Cana si apre un'altra baia molto profonda, chiamata Sachalites, che è coperta da una spessa nube e da una aria densa di vapore a causa dell'incenso che promana dai suoi alberi. Gli alberi non sono né alti né grossi, e l'incenso che producono si appiccica a gocce sulla loro corteccia come da noi in Egitto stilla la gomma. L'incenso viene raccolto dagli schiavi del re e dai forzati, inviati là per punizione. I dintorni sono spaventosamente malsani anche per chi naviga lungo la costa e generalmente letali per quanti vi lavorano. L'incenso giace su tutto quel territorio come fosse una città saccheggiata, esposto e incustodito come se lo sorvegli una potenza divina. Infatti senza il permesso del re non può essere caricato sulle navi, e tutto quello prodotto viene trasportato nella capitale Sabbatha a dorso di cammello e lungo la costa a bordo di zattere e battelli».
Il prezzo dell'incenso era altissimo. Era talmente prezioso che si favoleggiava le piantagioni fossero custodite dai grifoni, questi uccelli di grandi dimensioni con piumaggio bruno, ali e coda nere, un collare bianco alla base del collo. Erano i Fenici che dominavano il commercio di questa spezie: dall'Hadramut alla Mecca, ad Aqaba (in Giordania), alla Siria. Essi perciò cercavano di tenerne segreto l'esatto luogo di origine.

Un tempo il raccolto avveniva una sola volta all'anno. Nel periodo più caldo. Tempo nel quale gli uomini erano meno avidi di guadagni e perciò lasciavano all'incenso il tempo di formarsi e si raccoglievano quindi grani grandi quanto una mano. E, dagli alberi più vecchi, si raccoglieva l'incenso più profumato. Poi l'ingordigia degli uomini fece sì che lo si raccogliesse due volte l'anno. È Plinio il Vecchio che ci informa di ciò, attingendo soprattutto da Teofrasto, il filosofo greco discepolo e successore di Aristotele, a capo della scuola peripatetica. Scrisse la Storia delle piante e Ricerche sulle piante, con i quali libri diede il suo maggior contributo come naturalista costruendo, nella antichità, un modello unico di studio delle scienze naturali. È dal primo di questi libri che Plinio ci dice che «La regione che produce l'incenso si chiama Sariba [è di lì che andò a Salomone la regina di Saba], nome che, secondo i Greci, significa mistero. Esposta a levante, è circondata da rupi inaccessibili e da un mare di scogli inabbordabili. Il suolo è rosso, le foreste d'incenso dall'alto delle colline scendono fin alla pianura. Ma gli Arabi sono i soli che vedono quell'albero, per cui non si è nemmeno d'accordo su quale sia il suo aspetto».
Così, da queste righe, si capisce come questa magnifica spezie ha altresì una storia magnifica.

Ermanno Antonio Uccelli


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