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 Nr.22 del 16/11/2009
 
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La morale? Sempre più un accessorio
«Poveri ragazzi, poveri ragazzi topi che percorrete il labirinto della adolescenza convinti che, all'uscita, ci sia per voi [il rinforzo di, ndr] un pezzo di formaggio o un brandello di libertà. Ma, purtroppo per voi, non c'è formaggio alla fine del labirinto. E anche di libertà ce n'è sempre di meno»


  


Sono parole di Jo Dallera, l'amico poeta che si rivolge ai giovani. Purtroppo, credo che l'accorato appello di Jo sia vero. Soprattutto per quanto riguarda la libertà. Perché la libertà esteriore è il frutto e il portato di quella interiore. Alla quale nessuno ci educa. Cosicché noi adulti, che liberi non siamo, come faremo a nostra volta ad educare i giovani ad essere liberi?
Si parla (spesso) di questi giovani e se ne ricava la sensazione come di persone che credono che lo spinterogeno sia un ansiolitico. Oltre a ricavarne (perlopiù) il disagio di cogliere che loro siano, come dire… partiti, fuori dalla realtà.
Personalmente trovo che in una kakistocrazia (il governo dei peggiori), ci sia, da molti anni, – da noi e per noi – una onagrocrazia: il governo degli asini. Quelli a quattro zampe, per intenderci. Voglio dire che, fra questi termini difficili, c'è il rischio concreto di cadere in una padella ancor più rovente: quella della «ignoranza al governo» Tale situazione aleggia per ogni dove… o almeno io la leggo così. Intendo che nei rapporti quotidiani con le persone (adulti e giovani) siamo ben lontani dal sentire discorsi rigorosi. Si sentono, invece, parole generiche e astratte. Si coglie la mancanza di chiarezza che circonda il nostro agire quotidiano… e si vive il desiderio di incontrare persone che sappiano quel che dicono.
C'è come una deformazione intellettuale che ci induce a considerare il mondo come orribile e miserevole. Credo sia così perché non c'è più morale. È vero che ogni tempo ha la sua morale, ma certe regole restano immutabili. La morale è come una montagna; non si abbassa, tocca all'uomo scalarla. Francesco Bacone diceva che «Si può essere individui morali senza essere credenti». È bene ricordarlo oggi, in tempi nei quali pare che la moralità stia tutta e solo da una parte.

Così, quando guardo il mondo dalla stretta finestra del mio provincialismo, mi avvolgo in una sensazione sapida di decadenza. Mi guardo attorno e vedo gente che tira a campare. Che gioca in difesa. Che professa il verbo del si salvi chi può. Insomma, intorno non vedo slanci, né entusiasmi, neppure progetti. Vedo ogni tanto la folla in piazza che si affanna, ma non lo fa per costruire o liberare: lo fa per difendersi. Per conservare: questa scuola pubblica, questo stato sociale, queste pensioni, questa vita… Vogliamo la pace. Vogliamo starcene in pace. Una pace che sarà per pochi fortunati, per la verità. Perché questa sarà una decadenza lunga, lenta, molle, priva di promesse, densa di onanistici piaceri. Per i fortunati che se lo potranno permettere. Perché, per tutti gli altri, ci sarà l'oppio dei quizzoni, dei grandi fratelli, dei tarocchi multimediali… oppure la rabbia della invidia e della ingiustizia.
D'altro canto, quando i giovani hanno, come modelli di comportamento, persone che si gloriano di non "leggere un libro da molti anni" – come confessano compiaciuti alcuni pagatissimi personaggi dello sport e della televisione – io credo non sia azzardato scomodare il poeta e drammaturgo tedesco Heinrich Heine che diceva che quando si comincia a bruciare i libri, si finisce poi per bruciare gli uomini. E la cronaca quotidiana ci dice che, tragicamente, siamo arrivati anche a questo. Purtroppo. E sono i giovani, a farlo. Per "noia". O per provare "emozioni forti".

Insomma, voglio dire che costruire uomini è una impresa matura e responsabile che emana un buon odore di pulito. Una impresa cui la scuola (perlopiù) non prepara. E non solo lei. Certo, ogni epoca ha i suoi miti. Oggi il mito dell'Uomo televisivo sembra un mito stupido. Non lo è. È arrogante, semmai. Questo sì. Ma non è una stupidaggine. Bisogna fare molta attenzione a non sottovalutarlo. Perché veicola le variabili del successo, della fama, del potere, del prestigio, della (possibile) facilità con cui farsi strada… Sarebbe già importante, secondo me, che non venisse rispettata la triade di chi auspicava che l'uomo viaggiasse, nella vita, attraverso «edonismo, esclusività, aplomb», laddove il primo privilegia il piacere come il bene sommo dell'uomo e il suo conseguimento come il fine esclusivo della vita; la seconda l'àmbito di un ambiente frequentato da persone qualificate e raffinate (o ritenute tali), e l'aplomb, la sicurezza, la disinvoltura e la spigliatezza del e nel vivere. Il perfetto ritratto di un imbecille, secondo me naturalmente.
Ecco, dovrebbe ripartire da qui l'urgenza di ripensare il cammino di formazione dell'uomo e i compiti educativi per una armonizzazione individuale e universale. È necessario vedere con lucidità gli avvenimenti e i fatti che ci circondano. Solo così potrà scaturire la giusta azione da intraprendere.

Ma c'è un problema. Serio: come faremo a vedere i fatti quando non riusciamo neppure a vedere oltre la punta del nostro naso? più in là di chi siamo noi e solo noi?
Credo sia per questo motivo che i giovani e i giovanissimi (a volte con meno di 14 anni) non si rendono conto di quello che vanno facendo. Soprattutto nei confronti delle violenze che vanno compiendo su vittime che hanno la loro stessa età. Violenze che molte volte si manifestano nel feroce rito collettivo dello stupro. Aguzzini che poi non risparmiano, alle loro vittime, ulteriori umiliazioni, tipo quelle di mandare e far circolare descrizioni, con messaggini e video, delle loro squallide bravate. Insomma, quasi sempre si vantano di queste "imprese" a scuola e sui loro aggeggi elettronici. Così, oltre alle violenze di strada, vengono spesso alla luce stupri di gruppo da parte di amici o di compagni di scuola, ripresi con i telefonini e poi fatti circolare in Rete. Una nuova barbarie. Segno e frutto della diseducazione sentimentale dei ragazzi in una società ossessionata dal sesso. Nella quale i maschi si sentono forti e, facendo gruppo, possono arrivare in situazioni particolari (quando, per esempio, riescono ad isolare una compagna più debole, più ingenua) a fare dell'altra l'oggetto del loro disprezzo.
Oltre a quella dell'ossessione del sesso, ci sono anche altre cause: l'aumento dell'uso di alcolici, della droga e di quel tipo particolare che è la droga dello stupro: non lascia traccia, non addormenta, si scioglie facilmente in una bibita e dà come una sorta di amnesia. Quando riacquista lucidità la vittima è smarrita; comprende che è successo qualcosa, ma non sa che cosa.
Quello che si capisce molto bene è che, dopo un uso smodato del corpo femminile nei media e in tv, adesso pare proprio che ciò non basti più: ci vuole la donna violata. Ci vuole un’affermazione di sé. Ci vuole un annullamento dell'altra. Che, nella prostituzione, lo si esercita con i soldi; nello stupro con la forza fisica e le minacce.
È evidente, anche se ci dà fastidio ammetterlo, che è stato abbandonato l'intento educativo dei servizi primari come la scuola e la famiglia. Così oggi si addestrano i giovani alla diffidenza. All'egoismo. Alla furbizia. Gli spazi vuoti vengono riempiti da modelli negativi.
Da almeno due lustri viaggia attraverso le file dei giovani un veleno che più tossico non si può: la sicurezza. Vista come il bene assoluto. Da perseguire ad ogni costo. Che passa attraverso questo concetto: solo i tuoi amici e familiari sono importanti; tutti gli altri sono nemici. Dai quali è bene guardarsi con attenzione. Nemici che, all'occorrenza, possono diventare prede.
Anche la sessualità è legata alla concezione consumistica del prendersi quello che si desidera. Che poi si può mostrare come uno status symbol. Così la sessualità viene considerata, percepita e vissuta come un qualsiasi bene di consumo. Con buona pace della morale degli adolescenti. Che rispondono con i comportamenti che leggiamo e ascoltiamo ogni giorno sui mass media. Comportamenti che, come nel bullismo, hanno un unico scopo: umiliare la vittima. Così la morale non solo resta sospesa, ma diventa sempre più un (inutile) accessorio.

Ermanno Antonio Uccelli


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